Lavoro

Disciplinare magistrati, il certificato medico non assicura il rinvio d'udienza

La Cassazione, sentenza n. 28271 depositata oggi, ha respinto il ricorso di un Pm milanese radiato

di Francesco Machina Grifeo

La presentazione di un certificato medico non assicura al magistrato sottoposto a procedimento disciplinare il rinvio dell'udienza. Il Csm può infatti ritenerne superflua l'audizione alla luce della documentazione in atti. Lo hanno chiarito le S.U. della Corte di cassazione, sentenza n. 28271 depositata oggi, respingendo il ricorso di un P.M. milanese radiato dalla magistratura per aver esercitato, avvalendosi del proprio ruolo, indebite pressioni nei confronti di un imprenditore per ottenere un attico in centro ad un prezzo di favore. La vicenda aveva avuto un ampio risalto mediatico.

I fatti - Il pubblico ministero, tra l'altro, aveva affermato che "nell''esercizio della propria attività professionale, avrebbe potuto trovarsi a trattare procedimenti penali" aventi ad oggetto proprio il prodotto commercializzato dalla srl della persona offesa. E avrebbe potuto "finanche procedere al suo sequestro". Aggiungendo che "all'interno della Procura può capitare di tutto alle aziende con l'inchiesta sbagliata". Affermazione aggravata dall'essere egli effettivamente componente del Sesto Dipartimento della Procura della Repubblica nella cui competenza rientravano, fra gli altri, i reati in materia alimentare e farmaceutica.

La motivazione - "Nell'ambito del procedimento disciplinare a carico di magistrati – si legge nella sentenza -, l'impedimento dell'incolpato che giustifica il rinvio dell'udienza innanzi alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura deve essere assoluto", atteso che, mancando nella norma (articolo 15, comma 8, lettera d), del Dlgs 23 febbraio 2006 n. 109), "la definizione positiva dei caratteri dell'impedimento, la previsione dell'audizione dell'incolpato non attribuisce a quest'ultimo il diritto di presenziare al processo disciplinare nella sua interezza, ma soltanto quello ad essere sentito personalmente per poter esporre direttamente le sue ragioni prima delle decisione, trattandosi di una garanzia di minore contenuto rispetto a quella riconosciuta all'imputato nel processo penale».

Il diritto dell'incolpato a rendere dichiarazioni spiega la Corte, "deve essere bilanciato con le esigenze di celere definizione della procedura disciplinare, essendovi un chiaro interesse pubblico alla disciplina dei magistrati". E nel caso di specie all'udienza del 17 dicembre 2020 la difesa aveva chiesto che il PM venisse ascoltato, ma allo stesso tempo ha prodotto una certificazione medica che ne attestava l'impedimento a comparire per quella udienza. A questo punto, la sezione disciplinare del Csm ha ritenuto "non assoluto" tale impedimento e quindi ha proceduto senza assumere le dichiarazioni dell'incolpato.

Con una valutazione di merito endoprocedimentale "insindacabile nei profili di fatto, salvo vizi della motivazione, che tuttavia non sono stati dedotti" e che "non è in contrasto con i principi del ‘giusto processo' sanciti dall'art. 111, secondo comma, Cost. e dall'art. 6, CEDU non avendo né l'una né l'altra disposizione una specifica disposizione al riguardo".

«In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrato - scrive la Cassazione -, il diritto all'ammissione delle prove a discarico sui fatti addebitati, riconosciuto all'incolpato, va contemperato con il potere-dovere del giudice del dibattimento di valutare la rilevanza della prova richiesta ai fini della decisione, la cui negativa valutazione, ove adeguatamente motivata, è incensurabile in sede di legittimità». E nel caso di specie la sezione disciplinare ha affermato "la superfluità della testimonianza alla luce della documentazione già in atti e delle dichiarazioni già assunte nel processo penale» e tale argomentazione, più che congrua, non è ulteriormente sindacabile in questa sede".

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