Penale

Responsabilità amministrativa dell'ente ed integrazione dei presupposti di cui al dlgs 231/2001

Nota a sentenza

di Bonaventura Franchino e Domenico Franchino*

La sentenza oggi in commento è la n 39625/2022 con cui la Corte di Cassazione ha ribadito il principio in base al quale, ai fini della integrazione dei presupposti per il riconoscimento della responsabilità amministrativa di cui al dlgs 232 2001, è necessario che sussista il nesso tra l'evento colposo e la condotta posta in essere dall'ente

La sentenza, oggi in commento, prende le mosse da una sentenza con cui la Corte d'Appello di Bologna, confermando una sentenza con cui il Tribunale di Rimini, ritenendo provata la responsabilità dell'azienda nella produzione di un danno, la condannava ad una sanzione amministrativa.

Nei fatti il giudizio avanti il Tribunale di Rimini aveva origine da una azione proposta da un lavoratore in danno della società datrice onde vederla rispondere dei danni amministrativi di cui al dlgs 231/2001 artt 5 e 25 septies in relazione a lesioni colpose subite dallo stesso: la società datrice si era resa responsabile delle violazioni delle norme a tutela della sicurezza sul lavoro a seguito del quale l'attore aveva subito lesioni gravissime cui seguiva una invalidità permanente quantificata in ragione del 75% . Il Tribunale di Rimini sulla provata esistenza dei citati presupposti, condannava la società datrice. La sentenza in parola, sottoposta a gravame presso la Corte d'appello di Bologna, veniva confermata.

Veniva quindi interposto ricorso per cassazione che si concludeva con la sentenza oggi in commento A sostegno del ricorso per cassazione la società datrice deduceva la contraddittorietà ed illogicità della motivazione della corte di merito.

Con il secondo motivo deduceva la violazione di legge ( art. 521 c.p.p.) per la mancata correlazione tra l'imputazione e la sentenza; contestava, altresì, la sentenza impugnata in quanto ritenuta viziata nella motivazione sotto il profilo del computo della sanzione amministrativa e dell'importo delle quote.

La SC in via preliminare riteneva opportuno procedere ad una ricostruzione storica intervenuta in sede giurisprudenziale in relazione alla applicabilità del dlgs 231/2001 con particolare riguardo ai reati colposi.

Nel fare ciò iniziava la sua opera di ricostruzione partendo dalla disciplina di cui al dlgs 231 precisando che solo con la promulgazione di tale normativa è stata posta in essere la responsabilità penale degli enti; difatti con tale normativa, apportando rilevate modifica al principio " societas delinquere non potest " ha posto in essere una disciplina idonea ad integrare l'ipotesi di responsabilità dell'ente , riconducibile ad un comportamento integrante illecito amministrativo conseguente alla consumazione di un reato perpetrato da persona fisica .

Per la integrazione di tale fattispecie concorrono due elementi ovvero : che la persona fisica abbia agito nell'interesse o a vantaggio dell'ente . Per la integrazione di tale fattispecie è di tutta evidenza la necessarietà di una connessione soggettiva ed oggettiva ovvero la necessaria sussistenza di un rapporto tra la persona fisica e l'ente ovvero che la persona fisica abbia agito nell'interesse ovvero per conto dell'ente.

Per quanto attiene il presupposto soggettivo, l'art 5 c 1 lett.a) prevede espressamente che la persona fisica che ha commesso il fatto possa trovarsi in posizione apicale ovvero sottoposta alla direzione di altri.

Quanto previsto dalla lett. a) art 5 è norma che connota il principio della identificazione mediante il quale l'ente si identifica con il soggetto posto in posizione apicale: nei fatti è come se l'ente avesse commesso il fatto costituente reato. Gli effetti di tale norma vengono mitigati dall' art 6 ; difatti , viene espressamente disposto che l'ente non risponde nell'ipotesi in cui dia prova della sussistenza di quanto disposto dall'art 6, c. 1 ovvero della correttezza nella attuazione dei modelli di organizzazione e gestione " idonei a prevenire la commissione di reati della specie di quello verificatosi " .

Nella ipotesi prevista dalla lett.b), diversamente da quanto previsto al capo precedente, dobbiamo evidenziare che si verte in tema di fattispecie colposa ( ex art 7) in ragione del quale l'ente risponde dei fatti costituenti reato solo nella ipotesi in cui non abbia ottemperato agli obblighi di direzione e vigilanza costituenti parte del modello di organizzazione, gestione e controllo ( commi 2,3 e4 art 7) .

In ragione di quanto esposto in precedenza può affermarsi che la responsabilità dell'ente può essere definita come "responsabilità da colpa di organizzazione" che può connotarsi con il cattivo funzionamento della organizzazione dell'ente, che dovrebbe essere predisposta al fine di prevenire reati; il tutto mediante la previsione di appropriati modelli organizzativi.

La SC a sezioni unite, a tal proposito, ha espressamente precisato che in tema di responsabilità da reato degli enti, " la colpa ..è fondata sul rimprovero derivante dalla inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione di reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo , dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli ((Cfr n 38343/"014 ). Con la sentenza delle Sezioni unite è stato chiarito che la responsabilità penale ex dlgs 231 è da configurare quale ipotesi di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza; analogamente è stata ribadita l'autonomia della responsabilità dell'ente nei confronti della responsabilità penale della persona fisica che ha commesso il reato/presupposto; difatti, a mente di quanto disposto dall'art 8 de dlgs, è stato disposto che, anche nella ipotesi in cui non sia stato individuato l'autore del reato ovvero non sia imputabile o il reato estinto ( per causa diversa dall'amnistia ) la responsabilità " amministrativo-penale da organizzazione ( dlgs 231/2001) investe direttamente l'ente in quanto lo coinvolge rinvenendo nella commissione del reato ( da parte della persona fisica) non il presupposto ma la integrazione del reato.

Il modello "repressivo " disciplinato dal dlgs 231 è chiuso in quanto i reati puniti sono da ritenere esclusivamente quelli indicati nell' art.24 ; poiché di tale elenco non facevano parte i delitti colposi di omicidio e lesioni personali sul lavoro, si è provveduto con la L 123/2007 ad inserire nella normativa, oggi in commento ,l'art 25 septies intitolandolo "omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro" ; tale norma nella sua attuale formulazione ha subito una nuova modifica con il dls 81/2008 dall'art. 300 .

Le citate implementazioni hanno suscitato varie perplessità in relazione alla sussistenza dei requisiti per la integrazione dei presupposti di cui al dlgs 231; difatti, da più parti è stata evidenziata la totale assenza di uno dei presupposti fondamentali rappresentato dall'interesse /vantaggio dell'ente; ritenendo di tutta evidenza la legittimità di tali obiezioni, considerato che per superare tale ostacolo bisognava riformulare la norma in modo conferente, la Corte, a sezioni unite, con la sentenza 38343/2014 , ha provveduto a porvi rimedio, affermando che nei delitti colposi l'interesse non è riferito alla commissione dell'evento reato ma inerisce la condotta ; difatti, è solo al momento della valutazione della condotta che è possibile rilevare il fine di procurare un interesse o vantaggio all'ente; vantaggio ravvisabile nell'accelerare la fase lavorativa, ridurre i tempi e quindi i costi dell'ente.

Anche a proposito della dizione contenuta nella norma riferita a interesse e vantaggio dell'ente sono intervenute varie teorie risolte poi, ancora una volta, dalla giurisprudenza che ha dichiarato non trattarsi di endiade in quanto non sono concetti analoghi ma concetti giuridicamente diversi tra di loro: interesse a monte rappresentato da un indebito arricchimento e vantaggio conseguito con la commissione del reato. L'interesse opera sul piano soggettivo ed il vantaggio su quello oggettivo. Il primo oggetto di indagine ex ante ed il secondo ex post.

A tale conclusione è pervenuta anche la Suprema Corte a sezioni unite dichiarando espressamente che in tema di responsabilità da reato degli enti, i criteri di imputazione oggettiva, di cui all'art 5 dlgs 231/2001 "interesse o al vantaggio " debbono ritenersi alternativi e concorrenti tra di loro essendo il primo apprezzabile ex ante mentre il secondo, avendo riscontri oggettivi, ex post.

Dopo tali premesse in diritto ed alla stregua dei principi sopra illustrati, la Corte passava ad esaminare la domanda e, quindi, le questioni poste dal ricorrente in merito alle quali rilevava che a parte ricorrente con la sentenza di primo grado gli era stato contestato di " aver omesso di predisporre ed attuare le misure di prevenzione ed i modelli di organizzazione previsti ex lege, idonei a scongiurare la commissione di reato"; con ciò, rilevando la assoluta importanza della predisposizione dei modelli di organizzazione atti alla prevenzione di impedire la commissione di reati, evidenziava ulteriormente la carenza di formazione, rilevava ulteriormente la carenza sia nella valutazione del rischio che nella predisposizione di un protocollo standard teso a disciplinare le varie fasi operative.

Di converso la Corte riteneva fondato il motivo di ricorso nella parte in cui deduceva il silenzio della corte territoriale in merito alla scelta di operare in orario notturno affermando la ragionevolezza della scelta anche se comportante la compressione dei diritti.

A sostegno della censura mossa in relazione a tale titolo, rifacendosi' alla impostazione adottata dalle sezioni unite in relazione al processo Tyssankroup , la Corte ha precisato come "debbono essere intesi l'interesse ed il vantaggio in riferimento ai delitti colposi ex art 25 septies: i temi di " imputazione oggettiva " di cui all' art 5 e, quindi in relazione all'interesse ed al vantaggio sono alternativi e non concorrenti e debbono riferirsi alla condotta e non all'evento .

Da tale considerazione ha fatto discendere la conclusione in base alla quale ricorre il requisito dell'interesse nell'ipotesi in cui l'autore ha consapevolmente violato la norma con l'intento di conseguire una utilità all'ente; nel mentre ha ritenuto sussistere il requisito del vantaggio in ogni ipotesi in cui vi sia stata violazione ( da parte della persona fisica) della normativa di prevenzione di guisa da consentire una riduzione dei costi ovvero il contenimento della spesa con conseguente maggior profitto.

Quindi, la Corte, partendo dalla considerazione che l'interesse ed il vantaggio sono due concetti tra di loro distinti ed alternativi, e che non è dato far rientrare nella nozione di interesse ogni tipo di profitto derivante all'ente, ha precisato che l'interesse è solo " un criterio soggettivo il quale rappresenta l'intento del reo di arrecare un beneficio mediante la commissione del reato ".

In ragione di tale considerazione, l'interesse è " indagabile ex ante" di guisa che di nessuna rilevanza è la realizzazione del profitto.

IN ragione di ciò si può concludere affermando che sussiste l'interesse dell'ente nelle ipotesi in cui vi è consapevolezza di violare norme antinfortunistiche in quanto è solo da tale violazione che l'ente possa trarre beneficio economico; ipotesi in cui tale violazione diviene di facile evidenza è nelle ipotesi di colpa cosciente o con previsione dell'evento ( ipotesi in cui, pur avendo consapevolezza delle conseguenze, si astiene dall'agire ) riponendo fiducia "nella non verificazione dell'evento" .

Appare di tutta evidenza che si appalesa l'esistenza dell'interesse con la volontà di risparmiare da parte dell'ente; difatti, omettendo di intervenire si evita di sostenere costi idonei ad evitare il verificarsi di conseguenze negative .

Per quanto attiene il vantaggio, invece, ogni valutazione va effettuata ex post onde poter tener conto solo del vantaggio conseguito dall'ente a seguito della commissione del reato attraverso la condotta che, nei reati colposi contro la vita e di incolumità sul lavoro, si integra con la mancata predisposizione dei presidi di sicurezza; tale valutazione viene effettuata ex post solo perché, così facendo, è possibile valutare l'esistenza di un vantaggio economico ( riduzione dei costi ed ottimizzazione del profitto); per quanto attiene la consistenza del vantaggio, si precisa che deve comunque trattarsi di un importo non irrisorio la cui valorizzazione viene demandata al giudice di merito cui compete la quantificazione, e piena motivazione e giustifica (cfr nelle ipotesi di piena motivazione e giustifica, il provvedimento non è sindacabile)

Rilevava, altresì, la SC il silenzio della corte di merito in relazione al gravame posto circa la "colpa di organizzazione"; a tal fine, evidenziando come tale requisito assume la identica funzione assunta dalla colpa nelle ipotesi di persona fisica, è da ritenere elemento costitutivo idoneo ad integrare la ipotesi di violazione colpevole della regola cautelare; tale considerazione evidenzia come l'assenza di modelli organizzativi e di gestione ( ex art 6 e 7 d 131/2001 e art 30 dlgs 81/2008), pur non essendo idonea ad integrare l'ipotesi di elemento costitutivo, è idonea a dimostrare l'esistenza della colpa di organizzazione ; tale circostanza deve però costituire oggetto di prova, positiva da parte dell'accusa e negativa da parte della difesa.

In ragione di quanto sopra, gli elementi costitutivi dell'illecito dell'ente, oltre alla relazione tra il soggetto responsabile dell'azione e l'ente (cd immedesimazione organica) sono rappresentati dalla colpa di organizzazione ed il nesso causale esistente tra i citati elementi.

In ragione di tanto, rilevando che la corte di merito non abbia fornito motivazione alcuna circa la colpa di organizzazione dell'ente e non avendo dedotto alcunché in relazione all'assetto operativo ed organizzativo alla prevenzione di reati e né se la mancanza di tale assetto abbia inciso sulla determinazione del reato, annullava la impugnata sentenza rinviando ad altra sezione della corte di merito per un nuovo giudizio

*a cura di Bonaventura Franchino, avvocato cassazionista, Giornalista, membro CTS School University e Domenico Franchino - dr. p.avvocato, giornalista pubblicista

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