Professione e Mercato

Sospensione dalla professione per un anno al legale che omette di versare le spese di lite

Non accolta, in quanto tardiva, la tesi della difficoltà economica conseguente all'impossibilità di lavorare a causa di una grave patologia

di Giampaolo Piagnerelli

Legittima la sanzione disciplinare al legale che non abbia pagato le spese di lite. Le Sezioni unite della Cassazione, con l'ordinanza n. 1249/23, hanno dato torto al professionista ripercorrendo il percorso disciplinare. E allora il Consiglio distrettuale di disciplina riteneva sussistere la dedotta violazione deontologica (posta a tutela dell'affidamento dei terzi nella capacità dell'avvocato di rispettare i propri doveri professionali) e applicava (anche in considerazione del protrarsi per lunghissimo periodo dell'inadempienza, oltre che dei significatii‘ precedenti e della pendenza di ulteriori tredici procedimenti disciplinari) la sanzione della sospensione dalla professione forense per un anno osservando, da un lato, che il mancato pagamento delle spese era stato pacificamente riconosciuto dall'avvocato e che, dall'altro, la giustificazione da questi addotta (difficoltà economica conseguente all'impossibilità di lavorare a causa di una grave patologia comportante assoluta inabilitazione) non poteva essere condivisa, dal momento che il debito da soccombenza in questione risaliva al 2010, mentre soltanto nel novembre 2013 l'avvocato aveva dedotto la precarietà delle proprie condizioni di salute (del resto documentate con un certificato medico prodotto solo nel febbraio 2014). Di qui il ricorso presso il Consiglio nazionale forense che però ha rilevato delle irregolarità formali legate all'affidamento a un altro avvocato della propria causa (ex articolo 182 cpc). In assenza di regolarizzazione mediante allegazione di procura speciale alle liti finalizzata all'impugnazione, il giudizio veniva quindi dichiarato estinto, con conseguente "stabilizzazione" della decisione disciplinare impugnata. Il legale, come ultima chance, ha proposto ricorso in Cassazione affidandosi a un motivo. Quest'ultimo era relativo all'asserita insussistenza dell'illecito deontologico, trattandosi di inadempimento che non aveva comportato la spendita della qualifica di avvocato, e comunque giustificato dalle sue gravi condizioni di salute ed economiche. La Cassazione, però, non ha accolto l'appello in quanto l'unico motivo atteneva all'asserita integrazione – per ostative ragioni di salute - della fattispecie di impedimento assoluto a comparire ex articolo 420 del cpp, vale a dire a una questione insorta nel procedimento di primo grado avanti al Consiglio distrettuale di disciplina, e neppure dedotta in sede di reclamo al Consiglio nazionale forense.

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