Il CommentoLavoro

Il punto su controlli datoriali, provvedimenti disciplinari e diritto alla riservatezza

La giurisprudenza ammette i controlli difensivi, anche occulti, in caso di gravi illeciti 

di Alberto De Luca, Martina De Angeli*

Lo scorso 12 novembre 2021 la Corte di Cassazione, con sentenza n. 33809 , è tornata ad affrontare il tema dei controlli datoriali mediante l'utilizzo degli strumenti informatici, alla luce dei principi e delle restrizioni applicabili in materia di protezione dei dati personali. In particolare, la Suprema Corte ha confermato che tutti i dati contenuti nel pc assegnato al dipendente costituiscono patrimonio aziendale e che il datore di lavoro, nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza, ha la facoltà di acquisire ed utilizzare i dati lì contenuti ai fini disciplinari e difensivi, senza che ciò comporti di per sé una violazione della normativa privacy. Nel corso del tempo, seguendo l'evoluzione della normativa in materia di tutela dei dati personali, la giurisprudenza si è più volte pronunciata su queste tematiche, così da potersi oggi identificare i principi basilari su cui individuare il punto di equilibrio tra la facoltà di controllo del datore di lavoro e il diritto alla riservatezza dei dipendenti.

In proposito, la norma cardine è come noto l'articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970); nella sua versione originale, ossia prima della modifica apportata dal Jobs Act (il D.lgs. 151/2015), la norma prevedeva due livelli di protezione della sfera privata del lavoratore "uno mediante la previsione del divieto assoluto di uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori non sorretto da ragioni inerenti all'impresa; l'altro, affievolito, ove le ragioni del controllo fossero state riconducibili ad esigenze oggettive dell'impresa, ferma restando l'attuazione del controllo stesso con l'osservanza di determinate «procedure di garanzia»" (in questo senso, Cass. 22 settembre 2021, n. 25732).

Successivamente alla riforma attuata con il Jobs Act, il novellato articolo 4 ha riproposto il divieto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. La norma poi ha confermato la deroga generale a questo divieto che, in presenza di accordo sindacale o in subordine autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro, giustifichi l'installazione di impianti e strumenti che consentano il controllo a distanza, purché motivato da
(i) esigenze organizzative e produttive,
(ii) salvaguardia della sicurezza sul lavoro e
(iii) tutela del patrimonio aziendale. 


Una novità di grande impatto normativo (sebbene ridotto nella prassi e nella giurisprudenza da un approccio spiccatamente garantista) è stata invece introdotta dal secondo comma della norma novellata, prevedendo che il divieto generale (con obbligo di accordo o autorizzazione) non si applica agli strumenti utilizzati dai lavoratori per rendere la loro prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

Fermo restando quanto precede, le informazioni raccolte per il tramite di controlli leciti, sempre ai sensi dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro (quindi anche quelli disciplinari), a determinate condizioni, ossia che: a) sia stata data adeguata informazione al lavoratore circa le modalità d'uso degli strumenti stessi e di effettuazione dei controlli e
b) siano state rispettate le disposizioni di cui alla normativa in materia di protezione dei dati personali (attualmente rappresentata dal Regolamento (UE) 2016/679 e dal D.Lgs. 101/2018.

Tra i distinguo introdotti da un sistema normativo articolato, i c.d. controlli difensivi, ovvero i controlli su comportamenti illeciti dei lavoratori, si sono sempre tendenzialmente sottratti alle rigorose limitazioni sopra richiamate. Ciò, come confermato da un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, da ultimo, Cass. 22 settembre 2021, n. 25732 che ha confermato che "i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati (…) ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto". 

Affinché siano legittimi e sia pertanto possibile utilizzare le informazioni eventualmente raccolte, i controlli in questione devono, quindi, essere "esercitati ex post e sollecitati da episodi già occorsi", intervenendo per reprimere o far cessare condotte illecite già prodottesi.

Tali controlli possono avvenire anche in maniera "occulta", i c.d. «controlli difensivi occulti», a condizione che l'attività di accertamento effettuata dal datore avvenga con modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti.

Il datore di lavoro al controllo deve poi essere sempre attuato secondo canoni di correttezza e buona fede e deve rivestire carattere occasionale e non sistematico nonché costituire una extrema ratio in quanto tecnicamente indispensabile e non sostituibile con altri tipi di indagine.

In generale, quindi, può concludersi che la giurisprudenza ammette i controlli difensivi, anche occulti, in caso di gravi illeciti (quali ad esempio furti, sospetti di perdite economiche, danneggiamenti, comportamenti lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale). 

Alla luce di tutto quanto sin qui riportato, con una analisi da compiere sempre caso per caso, sarà dunque possibile la legittimità dei controlli in funzione dell'interesse datoriale che si intende tutelare, nel rispetto delle condizioni illustrate e avendo cura di bilanciare i principi di proporzionalità, non eccedenza e riservatezza propri della disciplina della protezione dei dati personali; solo così sarà possibile utilizzare le informazioni raccolte per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, compresi quelli disciplinari, e difendersi in sede di eventuale contenzioso.

Va sottolineato che questi principi non sono tipici esclusivamente del nostro sistema giuridico, ma sono stati ripresi e confermati diffusamente nelle diverse giurisdizioni europee. In epoca recente, ad esempio, si è espressa la Grande Camera della Corte di Strasburgo che ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad alcuni dipendenti addetti alle casse di un supermercato spagnolo, perché "filmati", tramite telecamere appositamente installate, intenti in attività furtive (European Court of Human Rights, Grande Chambre, Judgment 17 ottobre 2019, "Case of Lopez Ribalda and others v. Spain"), ritenendo proporzionate e legittime tali modalità di controllo rispetto ai diritti lesi. 

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*A cura dell'Avv. Alberto De Luca, Dott.ssa Martina De Angeli, De Luca & Partners