Penale

Niente sospensione per il sindaco

di Giovanni Negri

Non ci sono margini. La sospensione dalla funzione di sindaco non è possibile. Neppure dopo la legge Severino e la ancora più recente riforma dei reati contro la pubblica amministrazione. Il Codice penale parla chiaro e vieta l’applicazione della misura per tutti gli «uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare». Lo chiarisce, con una punta di rammarico, una Corte di cassazione che, con la sentenza n. 10940 depositata ieri, ha annullato l’ordinanza del giudice del riesame di Bari che aveva invece sospeso dall’esercizio delle funzioni di sindaco un politico al quale erano contestati i reati di induzione indebita e violenza privata.

La Cassazione mette in evidenza come la disposizione, articolo 289 ,comma 3 del Codice di procedura penale, sia estremamente stringente e, nello stesso, tempo, abbia sollevato nella dottrina un dibattito acceso. Si introduce infatti una sorta di immunità o esenzione dalla misura interdittiva proprio in un settore come quello dei delitti contro la Pa dove, più di altri forse, l’applicazione della sospensione potrebbe avere un’efficacia importante. A volere tacere dell’incoerenza di un sistema che ammette nei confronti dei titolari di uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare forme di restrizione della liberta personale anche detentive e, nello stesso tempo, lascia in vigore una sorta di “scudo” da provvedimenti interdittivi.

Certo, la Cassazione si è mossa per un bilanciamento tra rispetto della volontà legislativa e tutela del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. La norma del Codice non può cioè essere interpretata, avverte la sentenza, come una sorta di salvacondotto cautelare. E tuttavia la disposizione è passata indenne attraverso i due principali interventi di riforma che hanno investito la materia in questi anni: la legge Severino e la legge n. 47 del 2015. Il riesame di Bari, dopo aver valutato l’esistenza degli indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, ha ritenuto sufficiente applicare una misura interdittiva al posto di quella più pesante, detentiva, chiesta dal pm. Ha cioè applicato la sospensione, ritenendo che le condotte delittuose poste in essere, secondo il quadro accusatorio, fossero legate in maniera indissolubile all’esercizio della funzione. Un errore che non può non essere corretto e che porta all’annullamento dell’ordinanza, anche perchè il divieto ha una portata ampia e si estende anche ai casi in cui la sospensione è adottata al posto di un’altra misura coercitiva precedentemente adottata.

Corte di cassazione – Sentenza 10940/2017

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