Professione e Mercato

L’avvocato scende in campo per arbitrare la partita degli e-sport

Il settore è in espansione ma mancano regole ad hoc: necessaria la consulenza legale multidisciplinare

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di Massimiliano Carbonaro

La seconda stagione del campionato eSerie A Tim, la versione digitale del campionato di calcio italiano, inizierà il 15 febbraio e nei giorni scorsi si è assistito alla cessione a titolo temporaneo del pro-player DaniPitbull (al secolo Danilo Pinto) al Cagliari Calcio, un trasferimento seguito dallo studio legale LegisLAB.

Così il campione in carica della prima edizione della eSerie A Tim (Fifa 21) rappresenterà il club sardo nella competizione dopo un’operazione che può sembrare di calciomercato. Ma gli esport appaiono lontano dagli sport che si disputano nel mondo reale e necessitano sul fronte della consulenza legale interventi a tutto campo.

Manca una regolamentazione

Nonostante le competizioni virtuali siano in costante crescita e con un mercato in sviluppo, il settore appare ancora nella fase iniziale. Anche perché in Italia ci sono ostacoli allo sviluppo di questo mondo: manca una regolamentazione ad hoc, non esiste una federazione nazionale sotto il cui ombrello possano svolgersi le competizioni, gli e-players non sono considerati sportivi professionisti.

«L’assenza di norme specifiche – spiega l’avvocato Alberto Porzio, founding partner di LegisLAB – non consente di dare stabilità ai comportamenti. Ma i club di Serie A si stanno muovendo e la linea d i tendenza è di fare in modo che ognuno di loro abbia il proprio team sotto contratto per i campionati digitali. Così come avviene all’estero».

Le tematiche in campo sono svariate, a partire dal fatto che mancando di una regolamentazione specifica è difficile inquadrare gli e-player. Per l’avvocato Porzio gli esports sono «assolutamente assimilabili agli sport tradizionali». Inoltre molte norme sarebbero applicabili sia agli sport tradizionali sia agli esport, per esempio quelle relative alle scommesse, oppure all’organizzazione degli eventi.

Perimetro da definire

Se però guardiamo ai giochi più praticati, solo Fifa e Formula 1 replicano competizioni reali, mentre Fortnite, League of legends e Call of duty non hanno un corrispettivo fuori dal mondo digitale. Tanto che l’avvocato Umberto Averna, associate di Weigmann studio legale, pone la questione: «In generale c’è da chiedersi, è uno sport? Tutti gli esport sono videogiochi, ma non tutti i videogiochi sono esport. Inoltre un e-player fa un’attività fisica rilevante, anche se non nei termini per esempio di un calciatore. Pensiamo, per esempio, alla rapidità di movimento e alla concentrazione richiesta nelle gare virtuali».

L’avvocato Giulio Coraggio, partner di Dla Piper ritiene che gli esport siano molto vicini al mondo dei media. «Anche se a volte si considerano come la versione elettronica degli sport tradizionali – commenta – l’elemento di intrattenimento è forte. Per esempio il ruolo dei fornitori di videogiochi è predominante nel mercato degli esport».

Se si guarda agli esport si vede che dietro i gamer c’è un sistema complesso che mette insieme software house, team, sponsor, società di management e promozione dei giocatori, provider hardware. «È dibattuto se inquadrare i player come lavoratori autonomi o dipendenti, specie quando sono, ma solo di fatto, “assunti” dai team – commenta l’avvocato Stella Riberti, senior associate sports law, Withers studio legale -. Talvolta si appoggiano ad agenzie che stipulano dei contratti con i team stessi. I cartellini non hanno una regolamentazione ad hoc. La normativa civilistica aiuta ma una base giuridica specifica, inclusa una parte disciplinare, gioverebbe al settore. Eppoi c’è da considerare il fatto che tantissimi e-player sono minorenni».

Intreccio di tematiche

Da valutare anche il tema della proprietà intellettuale e dello sfruttamento di immagine. «Bisognerebbe pensare – aggiunge l’avvocato Porzio – a un e-player anche come un content creator che non soltanto svolge attività per prepararsi alla competizione, ma che crea contenuti anche giocando, ma non solo, contenuti che poi vengono mandati in onda sulle piattaforme. I diritti di immagine del giocatore assumeranno, pertanto, sempre più rilevanza».

Sul tema si intrecciano normative contrattualistiche, sportive, civilistiche, di proprietà intellettuale. Per l’avvocato Averna bisogna tenere presente «contratti di concessione di licenza, contratti di consulenza, sponsorizzazioni, organizzazioni di eventi, contratti con i player. Ci sono problemi senza una chiara soluzione: per esempio, un evento digitale dove si svolge, quale è la sua giurisdizione?».

Gli aspetti fiscali

Gli esport non sono annoverati tra le discipline riconosciute e non è possibile applicare la normativa tributaria prevista per i professionisti sportivi. «Le fonti di reddito dei giocatori – spiega Alessandro Martinelli, partner di Dla Piper – potrebbero essere variegate e possono sorgere dubbi in merito al corretto inquadramento tributario».

Senza contare che gli esport stanno diventando il punto di incontro di vari settori: le società del digitale, dei media e della moda e ora in ultimo quelle sportive. «Servirebbe un chiarimento – commenta l’avvocato Coraggio – altrimenti rischiamo che gli investimenti, senza un quadro giuridico preciso, siano danneggiati». O che un eccesso di regolamentazione depotenzi il settore sul nascere.

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