Penale

Messa alla prova concessa due volte se il reato è continuato

Anche se le contestazioni sono state mosse in giudizi differenti

di Giovanni Negri

La messa alla prova può essere concessa una seconda volta quando i reati sono contestati in processi diversi, ma sono collegati dal vincolo della continuazione. Lo afferma la Corte costituzionale con la sentenza n. 174, depositata ieri e scritta da Francesco Viganò.

Nella ricostruzione della Corte, un imputato, dopo essere stato arrestato per cessione di sostanze stupefacenti in modica quantità, aveva chiesto e ottenuto la messa alla prova con la sospensione del processo. Dopo l’esito positivo della prova, era stato rinviato a giudizio per altri episodi di cessione di stupefacenti compiuti in periodi più o meno contestuali all’arresto, in esecuzione del medesimo disegno criminoso e dunque rappresentativi di un unico reato continuato con quello precedentemente contestato. L’imputato aveva quindi chiesto nuovamente la messa alla prova, ma la richiesta non era stata accolta dal Gup di Bologna perché secondo l’articolo 168-bis, quarto comma, del Codice penale la messa alla prova può essere concessa una volta sola. Ritenendo irragionevole, e perciò contraria all'articolo 3 della Costituzione, questa preclusione, il giudice si era rivolto alla Consulta.

Per la Consulta, se tutti i reati commessi in continuazione fossero stati contestati nell’ambito di un unico procedimento, i relativi imputati avrebbero avuto la possibilità di chiedere e, esistendone i presupposti, di ottenere il beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova in relazione a tutti i reati, il cui esito positivo avrebbe determinato l’estinzione dei reati medesimi. Risulta, allora, sottolinea la sentenza, irragionevole che quando, per scelta del pubblico ministero o per altre evenienze processuali, i reati interessati dalla continuazione sono invece contestati in distinti procedimenti, gli imputati non abbiano più la possibilità, nel secondo procedimento, di chiedere ed ottenere la messa alla prova, se sono stati già ammessi al beneficio nel primo. «Ciò equivarrebbe - si legge nella pronuncia - a far dipendere la possibilità di accedere a uno dei riti alternativi previsti dal legislatore, possibilità che costituisce «una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa» dell’imputato di cui all’articolo 24 Costituzione (ex multis, sentenza n. 192 del 2020, nonché sentenze n. 19 e n. 14 del 2020, n. 131 del 2019), dalle scelte contingenti del pubblico ministero o da circostanze casuali, sulle quali l’imputato stesso non può in alcun modo influire».

La Consulta ha inoltre osservato che la preclusione è anche in contrasto con l’obiettivo del legislatore di sanzionare in modo sostanzialmente unitario tutti i reati legati dalla continuazione, oppure commessi con un’unica azione od omissione, e di farlo anche attraverso il percorso riparativo e risocializzativo proprio della messa alla prova.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©