Famiglia

Diritto alla bigenitorialità, parola al consulente tecnico

Ma il giudice non deve limitarsi a recepire in modo acritico le conclusioni dei periti

di Giorgio Vaccaro

Per accertare l’effettiva coerenza del comportamento di ogni genitore con l’interesse del figlio a una serena crescita, il tribunale deve ricorrere al parere di un consulente tecnico d’ufficio competente nelle dinamiche relazionali e degli effetti della crisi di queste sui vari momenti dell’età evolutiva dei figli. Si tratta di una valutazione centrale nel corso dei procedimenti di separazione, di divorzio o di determinazione delle modalità di visita e frequentazione dei figli minori al termine di una convivenza di fatto. Ma questo non significa che il giudice debba recepire in modo acritico le conclusioni dei consulenti tecnici nella decisione sui tempi e sui modi con i quali sarà garantita l’interazione tra i genitori e i figli. Tanto che sono numerosi i casi in cui la Cassazione ha raccomandato ai giudici di merito di non limitarsi a “ratificare” il parere del Ctu.

Il diritto alla bigenitorialità

Al centro della valutazione del Ctu c’è la competenza di entrambi i genitori a svolgere tutti gli oneri connessi alla responsabilità genitoriale, a partire da quello di garantire al figlio in comune la possibilità di godere del primo dei suoi diritti: quello alla bigenitorialità. Nei fatti, l’esercizio della responsabilità genitoriale obbliga ogni genitore ad attivarsi per mantenere viva nella mente del figlio la figura dell’altro genitore. Ed è proprio su questo aspetto che si è pronunciata più volte la Cassazione, esaminando le pronunce di merito rese a seguito di una consulenza tecnica. Il tema si intreccia con quello - molto dibattuto - della sindrome dell’alienazione parentale, che in passato ha trovato cittadinanza nelle relazioni dei periti, ma che la Cassazione prima e ora anche la riforma civile hanno messo al bando.

Il giudice, nei fatti, è chiamato a un «giudizio prognostico» circa «le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione», come ha spiegato la Cassazione con la sentenza 13274 del 2019. E questa valutazione va fatta tenendo conto, in base a elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità a un assiduo rapporto e della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore. Ma deve restare prioritario il rispetto del principio della bigenitorialità. Tanto che i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza di merito che aveva deciso di affidare in esclusiva il figlio al padre basandosi essenzialmente su una perizia con la quale era stata accertata la sindrome di alienazione parentale.

Il ruolo del giudice

In un caso diverso, la Cassazione (sentenza 6919 del 2016) ha affermato che il giudice non può limitarsi a “ratificare” il parere del Ctu che non attribuisce a un genitore un ruolo nell’ostilità del minore verso l’altro. Piuttosto, si legge nella pronuncia, dato che l’assenza di collaborazione tra i genitori in conflitto e l’atteggiamento ostile (da dimostrare nel caso concreto) del genitore collocatario nei confronti dell’altro genitore, che impedisca di fatto al minore di frequentarlo, comporta una grave violazione del diritto del figlio al rispetto della vita familiare, il giudice di merito è «tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, e a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto di validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale, rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena».

Ancora, con l’ordinanza 25339 del 20 settembre 2021, la Cassazione ha confermato la decisione d’appello che aveva ribadito l’affidamento esclusivo di un minore al padre, alla luce «dell’ostinazione» con la quale la madre, disattendendo le indicazioni del Ctu e dei servizi sociali, aveva rifiutato di consentire, anche all’altro genitore, di mantenere un rapporto con il figlio. Non sono state accolte le ragioni della madre, che sosteneva che la Corte d’appello avrebbe deciso aderendo acriticamente alla Ctu senza pronunciarsi sulle sue difese in merito all’erronea diagnosi di Pas e alla sua infondatezza scientifica. La Cassazione, infatti, ha promosso il contenuto e le conclusioni della Ctu, che «sono chiari circa la ritenuta carenza delle capacità genitoriali della ricorrente, e ha affermato che «la Corte d’appello ha pronunciato senza uno specifico o aprioristico riferimento alla sindrome di alienazione genitoriale, ma ha dettagliatamente argomentato da una complessiva e persistente condotta della ricorrente ritenuta lesiva del principio di bigenitorialità» e constatato «l’atteggiamento ostinato della madre volto a impedire all’altro genitore l’accesso al figlio».

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