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Il caso di penale sull'eccesso colposo nella legittima difesa

La Cassazione con la sentenza n. 49883 affronta il tema della causa di giustificazione della legittima difesa

di Nicola Graziano

 

LA DISCUSSIONE DEL QUESITO

1) Inquadramento generale

La Cassazione Penale con la sentenza n. 49883 del 10 dicembre 2019 affronta il tema della causa di giustificazione della legittima difesa, soffermandosi in particolare sulle ipotesi di eccesso colposo come introdotte dalla recente novella contenuta nella legge n. 36/2019. Si tratta di una decisione che in modo ampio ripercorre la tematica della legittima difesa con particolare riferimento alle ipotesi previste nell’articolo 52 del Cp laddove si riafferma, nonostante le modifiche legislative, e nell’ottica di una lettura costituzionalmente orientata, che la causa di giustificazione postula tre elementi: il pericolo attuale di una offesa ingiusta ad un diritto proprio o altrui; la necessita di reagire a scopo difensivo; la proporzione tra la difesa e l’offesa. Cuore pulsante della decisione riguarda l’interpretazione della causa di esclusione della soggettiva imputabilità dell’agente nel caso di condotte antigiuridiche colpose commesse ricorrendo le condizioni della cosiddetta “minorata difesa” ovvero dello stato di grave turbamento.

A – LE NOZIONI TEORICHE

2) Le questioni di diritto sostanziale

Inquadramento generale sulle cause di giustificazione

La legittima difesa è una causa di giustificazione.

Sono cause di giustificazione quelle situazioni normativamente previste in presenza delle quali un fatto concreto corrispondente alla fattispecie astratta penale non viene considerato penalmente rilevante e quindi punibile perché è la legge stessa che lo autorizza e a volte lo impone (eliminano la cosiddetta “antigiuridicità del fatto”).

In tal caso, cioè, secondo il criterio del bilanciamento degli interessi in conflitto il legislatore opera una scelta tipizzando una causa di giustificazione.

La disciplina delle cause di giustificazione

Articolo 59, comma I, Cp: la regola della rilevanza puramente obiettiva della causa che escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute o per errore ritenute inesistenti.

Articolo 59, ultimo comma, Cp: la regola della rilevanza del putativo e dell’errore colposo secondo cui se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

Articolo 55, comma I, Cp: l’eccesso colposo nelle cause di giustificazione si verifica quando si è in presenza di una causa di giustificazione prevista dal codice penale (anche nel caso del consenso dell’avente diritto pure nel silenzio della norma) e si superi per imprudenza, negligenza, imperizia ovvero per colpa (art. 43 c.p.) i limiti dell’agire consentito. In tal caso si risponde a titolo di colpa del delitti commesso se, ovviamente, il fatto commesso è previsto dalla legge come delitto colposo.

Articolo 55, comma II, Cp: eccesso colposo nella legittima difesa (rinvio)

La legittima difesa in particolare

Le cause di giustificazione sono tipizzate nel codice penale agli articolo 50 (consenso dell’avente diritto), articolo 51 (esercizio di un diritto e adempimento di un dovere), articolo 52 (legittima difesa), articolo 53 (uso legittimo delle armi), art. 54 (stato di necessità), accanto alle quali la dottrina ha individuato cause di giustificazione non tipizzate come, ad esempio, il trattamento medico chirurgico e l’attività sportiva.

La legittima difesa è disciplinata all’articolo 52, comma I, del Cp il quale “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa”.

Elementi costitutivi sono a) il pericolo attuale di una offesa ingiusta ad un diritto proprio o altrui; b) la necessita di reagire a scopo difensivo; c) la proporzione tra la difesa e l’offesa.

Si tratta di cogliere il significato dell’avverbio “sempre” contenuto nel secondo comma e nell’ultimo comma dell’articolo 52 del codice penale.

Il riferimento è alle reazioni difensive poste in essere contro chi commette fatti di violazione di domicilio ai sensi dell’articolo 614, I e II comma, del Cp, situazione a cui è stata parificata la commissione di fatti avvenuti all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale (articolo 52, comma III, del Cp) ovvero alla espressione agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone (ultimo comma).

Non è stata prevista una forma di presunzione circa la sussistenza del rapporto di proporzione tra condotta offensiva e reazione difensiva nei casi sopra indicati quanto piuttosto l’inserimento dell’avverbio “sempre” ad opera della recente novella (di cui alla legge 36/2019) va attribuito un mero significato rafforzativo della presunzione posta dalla norma.

L’articolo 55, comma II, del Cp: “Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all'articolo 61, primo comma, n. 5) ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”.

Trattasi di una ipotesi della causa di esclusione della soggettiva imputabilità all’agente di condotte antigiuridiche colpose cioè di una causa di non punibilità che accede all’istituto dell’eccesso colposo in legittima difesa.

Non è stata cioè codificata un’ulteriore scriminante, che si aggiunge a quelle previste dagli articolo 50 e seguenti del Cp perché ricorre una situazione che, inserendosi nell’ambito di applicazione di una scriminante esistente, esclude la soggettiva imputabilità all’agente di condotte antigiuridiche colpose rispetto alle quali sia già stata accertata la violazione di una regola cautelare.

I presupposti: il compimento di una condotta antigiuridica per difetto della necessita della reazione in concreto tenuta ma la reazione eccessiva è giustificata solo dalla necessità di salvaguardare la propria o altrui incolumità e sempre che ricorrono le condizioni di cui all'articolo 61, primo comma, n. 5) ovvero uno stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto.

Nel primo caso al fine di escludere la punibilità ci devono essere situazioni di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa che costituiscono una valida ragione per escludere la punibilità del reato colposo commesso in danno dell’aggressore.

Ricorre invece il caso di stato psicologico di grave turbamento nel caso in cui lo stato psicologico, valutati alla luce di parametri oggettivi, è tale da rendere inesigibile quella razionale valutazione sull’eccesso di difesa che costituisce oggetto del rimprovero mosso a titolo di colpa.

 

3) Le questioni di diritto processuale

Per invocare l’applicazione della causa di non punibilità che accede all’istituto dell’eccesso colposo in legittima difesa si tratterà di dimostrare che l’imputato - pur eccedendo i limiti imposti dalla necessità - abbia commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità, piuttosto che soltanto dei beni, poiché la nuova causa di non punibilità opera soltanto nel primo caso; in secondo luogo, superato positivamente il primo vaglio, si tratta di verificare se abbia agito in stato di minorata difesa ovvero di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto.

***

B – LA SOLUZIONE DEL CASO

La soluzione del caso è rinvenibile nella recente decisione della Suprema Corte di cassazione n. 49883 del 10 dicembre 2019 che affronta il tema della causa di giustificazione della legittima difesa, soffermandosi in particolare sulle ipotesi di eccesso colposo come introdotte dalla recente novella contenuta nella legge n. 36/2019.

 

Riferimenti normativi: articolo 52 del Cp; articolo 55 del Cp; articolo 59 del Cp.

 

1.    D. Se ed in quali limiti è scriminato l’eccesso colposo nella condizione di legittima difesa e precisamente se e quando ricorre l’ipotesi della causa di esclusione della soggettiva imputabilità all’agente di condotte antigiuridiche colpose di cui all’articolo 55, comma II, del codice penale.

 

R. Le possibili interpretazioni

Il caso in esame

Ricostruendo il fatto principalmente in base alle stesse dichiarazioni rese dall'imputato nella fase delle indagini, la sentenza impugnata attesta che, nottetempo, dopo essersi svegliato per aver sentito rumori sospetti, accortosi che un malintenzionato stava tentando di entrare in casa propria dalla finestra sul balcone, lasciata aperta per il caldo, della camera da letto in cui dormivano i suoi tre figli ed aver imbracciato un fucile legalmente detenuto, C.G. era uscito sul balcone di casa e aveva fatto fuoco all'indirizzo dell'uomo, che, intanto, accortosi di essere stato notato, si era allontanato dal balcone di qualche metro ed era fermo nel terreno antistante l'abitazione.

La Corte territoriale afferma espressamente di ritenere che l'imputato fosse persuaso di dover difendere se stesso, la propria famiglia ed i propri beni da malintenzionati - si accertò che l'uomo non era solo, ma che, pur non visti dall'imputato, vi erano altri complici - i quali avevano in animo di commettere un furto in abitazione e per questo aveva legittimamente pensato di imbracciare il fucile da caccia legalmente detenuto e di affrontare i ladri. Avendo sparato più colpi all'indirizzo dell'uomo, benchè questi avesse momentaneamente desistito dall'azione illecita, essendosi allontanato dal balcone e posizionato nel cortile, sotto ad un albero, al fine di verificare se il furto fosse definitivamente sfumato oppure no, l'imputato, a fronte di un pericolo ancora attuale e tuttavia scemato, aveva adottato una reazione eccessiva: "egli non ha considerato che il parziale allontanamento non richiedeva più la lesione fisica dell'aggressore, mentre nella nuova posizione era sufficiente ad interrompere l'azione criminosa ai suoi danni l'uso dimostrativo dell'arma...prima di sparare ad altezza d'uomo, andava percorsa la strada dissuasiva dello sparo non diretto, adeguato stante la distanza che li separava". L'aver invece sparato ad altezza d'uomo - poi identificato in X.D., che l'esame autoptico attestò essere stato colpito ad organi vitali (tra l'altro: polmone sinistro, fegato e milza) da sette pallettoni che ne cagionarono l'immediato decesso - integrava, si legge in sentenza, "una condotta gravemente imprudente, non più proporzionata all'offesa effettivamente in essere nel momento in cui è stato esploso" il colpo (trattandosi di fucile da caccia a pallettoni, secondo la sentenza è ben possibile che i sette pallini rinvenuti sul cadavere potessero essere stati generati dalla "rosa" partita da un unico colpo, benchè lo stesso imputato avesse dichiarato, secondo la ricostruzione della Corte, di aver esploso più colpi, non in aria, ma tutti dall'alto del balcone verso il terreno sottostante). Di qui il riconosciuto eccesso colposo in legittima difesa, non avendo il giudice d'appello ritenuto provato che l'uomo impugnasse un'arma - od un oggetto che per essa potesse essere scambiato nulla essendo stato rinvenuto nei pressi del cadavere, benchè l'imputato fosse immediatamente sceso per accertarsi dell'accaduto e, come meglio di seguito si dirà, avesse caricato il cadavere sul proprio mezzo fuoristrada e lo avesse trasportato su un ponte del vicino fiume Volturno, gettandolo poi in acqua.

Il significato dell’avverbio “sempre”

Reputa il Collegio che in relazione al fatto siccome ricostruito dai giudici di merito sia stata correttamente esclusa la sussistenza della causa di giustificazione della legittima difesa, sia reale, sia putativa, e che tale conclusione non muti a seguito della modifica apportata all'art. 52 c.p., dalla L. 26 aprile 2019, n. 36.

Nei suoi elementi costitutivi, la descrizione della menzionata scriminante quale prevista dall'art. 52 c.p., comma 1, è tuttora quella originariamente delineata dal codice Rocco: "non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa". Secondo il consolidato orientamento interpretativo, dunque, la causa di giustificazione postula tre elementi: il pericolo attuale di un'offesa ingiusta ad un diritto proprio od altrui; la necessità di reagire a scopo difensivo; la proporzione tra la difesa e l'offesa.

Com'è noto, le modifiche che hanno successivamente interessato la definizione della scriminante in parola hanno riguardato - dapprima ad opera della L. 13 febbraio 2006, n. 59, e recentemente con la già citata L. 36 del 2019 le reazioni difensive poste in essere contro chi commetta fatti di violazione di domicilio ai sensi dell'art. 614 c.p., commi 1 e 2, situazione a cui è stata parificata la commissione di fatti avvenuti "all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale" (art. 52 c.p., comma 3).

Va subito detto che nella vicenda in esame non viene in rilievo la nuova previsione di cui all'ultimo capoverso della disposizione quale inserito, dalla L. n. 36 del 2019, art. 1, comma 1, lett. c), a mente del quale nei luoghi di cui si è detto "agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone". Neppure il ricorrente, invero, invoca tale previsione, di cui nella specie - giusta la ricostruzione del fatto più sopra operata - non ricorrono i presupposti per l'assorbente ragione che X.D. non tentò d'introdursi in casa dell'imputato con violenza o minaccia di uso di armi od altri mezzi di coazione (per la medesima conclusione affermata in analogo caso, v. Sez. 5, n. 40414 del 13/06/2019, Gueye).

Occorre dunque valutare se sia invece applicabile il disposto di cui al primo capoverso della disposizione, giusto il quale nei medesimi luoghi "sussiste sempre" - e l'introduzione di tale avverbio costituisce l'unica modifica apportata dalla L. n. 36 del 2019, alla norma introdotta con la L. n. 59 del 2006 - "il rapporto di proporzione di cui al comma 1, del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione".

Con riguardo alla previsione introdotta nel 2006, questa Corte aveva ritenuto che la stessa avesse configurato una presunzione circa la sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, quando sia ravvisabile la violazione del domicilio dell'aggressore, ossia l'effettiva introduzione del soggetto nel domicilio altrui - o nelle sue appartenenze - contro la volontà di colui che è legittimato ad escluderne la presenza, ferma restando la necessità del concorso dei presupposti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso delle armi come mezzo di difesa della propria o altrui incolumità (Sez. 1, n. 50909 del 07/10/2014, Thekna, Rv. 261491; Sez. 1, n. 16677 del 08/03/2007, Grimoli, Rv. 236502). A quest'ultimo proposito, con riguardo all'impiego di armi in modo idoneo ad attentare alla vita dell'aggressore, continua dunque a trovare applicazione il principio secondo cui è configurabile l'esimente della legittima difesa solo qualora l'autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all'offesa mediante aggressione (Sez. 1, n. 51262 del 13/06/2017, Can, Rv. 272080).

Al di là delle intenzioni del legislatore storico, certamente mosso dalla volontà, anche alla luce di preoccupanti fatti di cronaca, di inasprire la reazione penale verso le aggressioni perpetrate nel domicilio (si vedano gli aggravamenti di pena apportati ai reati di cui agli artt. 614, 624 bis e 628 c.p.) e, nelle stesse situazioni, di guardare con indulgenza alle condotte di autodifesa del cittadino (si consideri la L. n. 36 del 2019, art. 8), questa conclusione condivisa dal Collegio - non può dirsi venuta meno a seguito dell'inserimento dell'avverbio "sempre" ad opera della recente "novella", potendo ad esso attribuirsi un mero significato rafforzativo della presunzione posta dalla norma, presunzione che, tuttavia, da un lato, riguarda la sussistenza di uno soltanto degli elementi costitutivi della fattispecie scriminante e che non esclude il giudizio sull'accertamento degli altri, vale a dire la necessità di reagire ad un'offesa in atto; d'altro lato opera diversamente a seconda che il pericolo riguardi l'aggressione alla persona oppure ai beni (in termini analoghi, v., in motivazione, Sez. 1, n. 39977 del 14/05/2019, Addis, Rv. 276949). In quest'ottica, l'uso di un'arma - purchè legittimamente detenuta - può dirsi reazione sempre proporzionata nei confronti di chi si sia illecitamente introdotto, o illecitamente si trattenga, all'interno del domicilio o dei luoghi a questo equiparati, nei quali il legislatore ha ritenuto maggiormente avvertita l'esigenza dell'autodifesa, a patto che, appunto, il pericolo di offesa ad un diritto (personale o patrimoniale) sia attuale e che l'impiego dell'arma quale in concreto avvenuto sia necessario a difendere l'incolumità propria o altrui, ovvero anche soltanto i beni se ricorra pur sempre un pericolo di aggressione personale.

Laddove questo accada, non si potrà negare la sussistenza della scriminante per difetto di proporzione tra difesa ed offesa sul rilievo - ad esempio che l'aggressione fisica a mani nude patita dalla vittima in casa propria avrebbe imposto il tentativo di difendersi con lo stesso mezzo (vale a dire, a mani nude piuttosto che con un'arma), ovvero, laddove il pericolo attuale di offesa riguardi i soli beni patrimoniali, che si dovrebbe escludere in radice una qualsiasi, pur in concreto necessaria ed appropriata, reazione attraverso l'uso di un'arma per sproporzione tra i diversi beni in conflitto (da un lato il patrimonio, d'altro lato l'incolumità fisica), quando, in assenza di desistenza, una diversa difesa potrebbe ragionevolmente provocare un'aggressione fisica. Va interpretato in questo senso, infatti, il riferimento al "pericolo di aggressione" di cui all'ultima parte dell'art. 52 c.p., comma 2, lett. b), altrimenti inutile, posto il pericolo attuale di offesa del diritto - nella specie, patrimoniale - è già richiesto dal comma 1, della disposizione. A differenza di quest'ultimo, strutturalmente richiesto dalla fattispecie scriminante in termini di attualità, il pericolo di aggressione di cui al comma 2, che tale ulteriore connotazione significativamente non richiede, implica una ragionevole prognosi sulla condotta del malintenzionato che si trovi nell'altrui domicilio o nei luoghi equiparati, il quale, pur mirando a commettere reati contro il patrimonio e non avendo (ancora) posto in essere (o minacciato) azioni aggressive nei confronti della persona, a ciò potrebbe determinarsi qualora la vittima tentasse di opporre resistenza (reputa invece legittima la reazione a difesa dei beni solo quando sussista un pericolo attuale per l'incolumità fisica dell'aggredito o di altri Sez. 1, n. 16677 del 08/03/2007, Grimoli, Rv. 236502).

La conclusione che precede s'impone non soltanto alla luce dell'interpretazione del disposto del codice - peraltro confermato dalla stessa nuova previsione che la L. 36 del 2019 ha inserito nell'art. 55 c.p., nuovo comma 2, (v., in particolare, il rilievo di cui infra, sub p. 4.3.) - ma anche per il doveroso rispetto delle previsioni ricavabili dalla Costituzione, lette pure nell'ottica degli obblighi internazionali assunti dallo Stato.

Quanto, da ultimo, alla putatività della scriminante, la sentenza impugnata non l'ha riconosciuta con motivazione che non presta il fianco a censure, essendosi escluso non solo che X. avesse puntato una pistola contro C. - ciò che avrebbe indotto a ritenere l'effettività della scriminante - ma pure che potesse aver impugnato un qualsiasi similare oggetto tale da poter creare un fraintendimento nell'imputato. Si tratta, dunque, di valutazione insindacabile in fatto, perché non illogicamente motivata, e corretta in diritto alla luce del principio secondo cui l'errore scusabile, nell'ambito della legittima difesa putativa, deve trovare adeguata giustificazione in qualche fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell'agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo attuale di un'offesa ingiusta (Sez. 1, n. 3464 del 24/11/2009, dep. 2010, Narcisio, Rv. 245634). La Corte territoriale, ha bensì ritenuto che tale pericolo - sia pur scemato rispetto alla prima fase di condotta tenuta da X. - fosse sussistente, ma, pur valutando lo stato di turbamento che la situazione aveva determinato in C., ha correttamente giudicato che non richiedesse la necessità di utilizzare l'arma per colpire un uomo disarmato che si trovava oramai ad una certa distanza dall'abitazione, essendosene volontariamente allontanato e mantenendo l'atteggiamento attendista di chi non aveva ancora abbandonato l'idea di commettere il reato, sì che l'anzidetto impiego dell'arma ha colposamente ecceduto i limiti imposti dalla necessità della reazione.

Il giudizio di merito - insindacabile in questa sede: cfr. Sez. 1, n. 3148 del 19/02/2013, dep. 2014, Mariani, Rv. 258408; Sez. F, n. 39049 del 26/08/2008, Greco, Rv. 241553 - risponde, ad avviso del Collegio, al consolidato principio secondo cui l'accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa reale o putativa e dell'eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio "ex ante" calato all'interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sè considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all'azione che possano aver avuto concreta incidenza sull'insorgenza dell'erroneo convincimento di dover difendere sè o altri da un'ingiusta aggressione (Sez. 4, n. 24084 del 28/02/2018, Perrore e a., Rv. 273401; Sez. 5, n. 3507 del 04/11/2009, dep. 2010, Sivgilia e a., Rv. 245843).

 

L’eccesso colposo nella legittima difesa

Come si è detto, la sentenza impugnata - applicando la citata disposizione prima che la stessa fosse modificata dalla L. n. 36 del 2019 - ha ritenuto che, pur avendo agito in un contesto difensivo, l'imputato avesse ecceduto colposamente i limiti imposti dalla necessità della reazione; in particolare, si è osservato, "resta comunque un grado di colpa, ravvisabile nella sottovalutazione dell'affievolimento della situazione di pericolo". Di fatti - si rileva - "l'imputato ha agito in stato di turbamento per difendersi; ha ecceduto nella scelta delle modalità, ponendo in essere comunque ciò che sarebbe stato giustificato nella prima situazione percepita, ma divenuto superfluo (almeno in prima battuta) alla luce della più lontana posizione assunta dall'aggressore. Si configura pertanto l'eccesso colposo nella supposta condizione di legittima difesa".

Al di là dell'ambiguo riferimento alla "supposizione" circa una condizione che avrebbe giustificato la legittima difesa - ciò che potrebbe far pensare ad un'applicazione putativa della scriminante, tuttavia imputabile a colpa e quindi riconducibile alla previsione di cui all'art. 59 c.p., comma 4, - il chiaro riferimento all'eccesso colposo (affermato con nettezza a pag. 3 della sentenza), fa invece comprendere come la Corte territoriale abbia fatto applicazione dell'art. 55 c.p., e lo abbia fatto proprio con riguardo al profilo che il comma 1, della disposizione da sempre prevede, vale a dire l'aver colposamente ecceduto i limiti imposti dalla necessità, ciò che si verifica quando la giusta proporzione fra offesa e difesa venga meno per colpa, intesa come errore inescusabile, ovvero per precipitazione, imprudenza o imperizia nel calcolare il pericolo e i mezzi di salvezza (Sez. 4, n. 9463 del 13/02/2019, Ouldhnini, Rv. 275269; Sez. 3, n. 30910 del 27/04/2018, L., Rv. 273731).

Ciò che il giudice di merito ha rimproverato all'imputato - ravvisandovi, peraltro, "una condotta gravemente imprudente" (pag. 5), tanto da attestarsi nella quantificazione della pena addirittura sul massimo edittale - è di aver aperto il fuoco contro l'uomo che si era allontanato dal balcone (ma non ancora dalle pertinenze del domicilio), facendo peraltro "uso diretto dell'arma da fuoco nei confronti di persona non molto distante" (pag. 6), piuttosto che limitare l'uso dell'arma a scopo dissuasivo, esplodendo soltanto colpi in aria.

Come si è sopra ricordato, la sentenza attesta che l'imputato agì "in stato di turbamento per difendersi" e, in altra parte (pag. 3), ribadisce che "l'imputato ha agito nella concitazione indotta dall'imminenza dell'indesiderata intrusione in casa, specificamente dove dormivano i figli minori: ciò ha determinato sicuramente un turbamento significativo che egli ha fatto ravvisare nell'uso del fucile l'unica possibile difesa. Va inoltre tenuto conto che si tratta di un edificio isolato in campagna e che si erano già verificati precedenti tentativi di furto".

Il rilevato turbamento - ripetutamente affermato e definito anche "significativo" - non impediva, tuttavia, sulla scorta della previsione quale vigente al momento del giudizio, l'individuazione di quel profilo di colpa bastevole ad integrare gli estremi dell'eccesso colposo in legittima difesa disciplinato dall'art. 55 c.p..

Com'è noto - e come giustamente rileva il ricorrente - la recentissima L. n. 36 del 2019, ha inciso in maniera profonda su tale istituto inserendo nel corpo dell'articolo un comma 2 che così recita: "nei casi di cui all'art. 52, commi 2, 3 e 4, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all'art. 61, comma 1, n. 5) ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto".

La disposizione introdotta dalla "novella", che, all'evidenza, restringe l'ambito del penalmente rilevante ravvisando una - del tutto nuova - causa di non punibilità che accede all'istituto dell'eccesso colposo in legittima difesa è certamente applicabile ai fatti pregressi, ai sensi dell'art. 2 c.p., comma 4, quale legge più favorevole (nello stesso senso, Sez. 4, n. 28782 del 28/05/2019, Dattoli).

Ciò premesso, rileva il Collegio come la nuova disposizione non abbia codificato un'ulteriore scriminante, che si aggiunge a quelle previste dagli artt. 50 ss. c.p. Queste ultime sono situazioni oggettive di esclusione dell'antigiuridicità del fatto che, se sussistenti, si applicano in favore dell'agente a prescindere dalla consapevolezza che il medesimo ne abbia (art. 59 c.p., comma 1) e che, laddove erroneamente reputate esistenti, sono parimenti valutate in suo favore, salva, in caso di colpevole errore, la responsabilità laddove il fatto sia previsto come delitto colposo (art. 59 c.p., comma 4). Si tratta, invece, di una situazione che, inserendosi nell'ambito di applicazione di una scriminante esistente, esclude la soggettiva imputabilità all'agente di condotte antigiuridiche colpose rispetto alle quali sia già stata accertata la violazione di una regola cautelare.

La situazione codificata nell'art. 55 c.p., comma 2, - va in primo luogo osservato - si riferisce, tra le diverse cause di giustificazione, soltanto a quella della legittima difesa e, nell'ambito di questa, è ulteriormente circoscritta alle sole ipotesi in cui il fatto avvenga nei casi previsti dall'art. 52 c.p., commi 2, 3 e 4. Essa, inoltre, non si riferisce a tutte le possibili situazioni che, pur nei riferiti luoghi, possono dar luogo ad una difesa legittima, essendone stato delimitato il campo di applicazione con esclusivo riferimento a chi abbia "commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità", da ritenersi comprensiva dei casi di eccesso colposo commessi in legittima difesa di beni propri o altrui quando sia ragionevolmente ipotizzabile quel pericolo di aggressione personale considerato dall'art. 52 c.p., comma 2, lett. b). Laddove non sia neppure ipotizzabile che l'azione difensiva illecita ascritta a titolo di eccesso colposo possa essere stata determinata dall'intento di difendere l'incolumità dell'agente o di terzi - per essere la stessa esclusivamente riferibile alla difesa dei beni propri o altrui - la causa di non punibilità non è dunque configurabile. La previsione di una causa di non punibilità connessa all'eccesso colposo per essere stati superati i limiti imposti dalla necessità nel caso disciplinato dall'art. 52 c.p., comma 2, - per il quale, come detto, vige la presunzione di proporzione tra difesa e offesa - rappresenta, peraltro, oggettiva conferma di quanto argomentato supra, sub p. 3.1. circa il fatto che anche nel domicilio e nei luoghi equiparati l'uso scriminato dell'arma imponga il rispetto del requisito della necessità della difesa.

In secondo luogo, la nuova disposizione si colloca in una fattispecie di per sè certamente antigiuridica, per difetto della necessità della reazione in concreto tenuta, strutturalmente configurabile quale reato colposo rispetto al quale sussiste un profilo di rimproverabilità della condotta (altrimenti, il soggetto agente andrebbe già esente da responsabilità ai sensi della previsione di cui al comma 1). Mentre sul piano civile la condotta continua ad essere fonte di responsabilità - sia pur nella forma attenuata dell'indennizzo, piuttosto che in quella, piena, del risarcimento del danno: cfr. l'art. 2044 c.c., u.c., quale introdotto dalla L. n. 36 del 2019, art. 7, - sul piano penale essa viene invece ritenuta non punibile perchè i limiti imposti dalla necessità della reazione sono stati (colpevolmente) superati per avere il soggetto agito in stato di minorata difesa, ovvero di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto. Una volta positivamente compiuto il giudizio di soggettiva rimproverabilità effettuato con riguardo all'agente modello, dunque, ricorrendo le altre condizioni quali più sopra riepilogate, l'agente non sarà punibile laddove, alternativamente, ricorra una delle due, distinte, situazioni codificate.

Con riguardo alla prima, il riferimento alle condizioni di cui all'art. 61 c.p., comma 1, n. 5), è sufficientemente chiaro. Sia pur dovendo ricavarsi le caratteristiche del soggetto che si sia difeso in una condizione "minorata" da una disposizione che, a contrario, aggrava in via generale la responsabilità penale per chi abbia commesso il reato profittando di tali condizioni, le circostanze da prendere in esame sono quelle "di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa". Si tratta di connotazioni oggettive che, se dal punto di vista dell'agente facilitano il compimento dell'azione criminosa sì da meritare l'inasprimento di pena (Sez. 1, n. 39560 del 06/06/2019, Souhi, Rv. 276871; Sez. 1, n. 40293 del 10/07/2013, Congiusti, Rv. 257248), dal punto di vista della vittima la quale, difendendosi, ecceda i limiti consentiti, giustificano qui la non punibilità per il reato colposo commesso proprio perchè incidenti sull'impossibilità di opporre una "normale" difesa rispetto all'aggressione subita. La valutazione, dunque, dovrà essere compiuta in relazione a tale ultimo aspetto e soltanto in questi limiti sono riproponibili le letture dell'art. 61 c.p., n. 5, rese con riguardo alla sussistenza della circostanza aggravante.

Così, con particolare riguardo agli elementi che rilevano ai fini della decisione del caso di specie, posto che - mutatis mutandis - occorre effettuare una valutazione in concreto delle condizioni che hanno ostacolato o impedito la normale difesa, non vale ad integrare automaticamente la situazione descritta la sola situazione astratta del tempo di notte (Sez. 4, n. 30990 del 17/05/2019, Tanzi, Rv. 276794; Sez. 4, n. 15214 del 06/03/2018, Ghezzi, Rv. 273725; Sez. 5, n. 8819 del 02/02/2010, Maero, Rv. 246160), come pure non basta la mera constatazione che l'azione criminosa contro cui ci si difende sia stata posta in essere di notte ed in luoghi isolati, dovendo il giudice accertare se dette condizioni abbiano effettivamente influito sulla possibilità di difesa (Sez. 2, n. 23153 del 19/12/2018, dep. 2019, 0., Rv. 276655). Poichè nel caso di specie la situazione rileva non solo per rendere possibile un aumento di pena - peraltro, nella misura ordinaria propria delle circostanze aggravanti comuni, che può essere elisa nell'ambito del giudizio di bilanciamento con circostanze di opposto segno - bensì per escludere la punibilità, il giudizio dovrà essere rigoroso, non potendosi ritenere sufficiente un mero ostacolo agevolmente superabile, senza che si debba pretendere, per contro, che la difesa sia del tutto impedita o resa impossibile (Sez. 1, n. 50699 del 18/05/2017, B., Rv. 271592). Occorrerà, in ogni caso, effettuare una complessiva valutazione, volta ad appurare se, in concreto, si sia realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata (Sez. 4, n. 53570 del 05/10/2017, Torre e a., Rv. 271259; Sez. 4, n. 53343 del 30/11/2016, Mihai, Rv. 268697) che possa aver oggettivamente influito sull'errata valutazione della necessità di reagire all'aggressione nel modo in cui lo si è fatto. Detta interpretazione teleologica dell'art. 55 c.p., comma 2, è imprescindibile, dovendosi rifuggire da interpretazioni astratte che perdano di mira la ratio della previsione, da individuarsi nell'intento di adeguare il giudizio di rimproverabilità effettuato ex ante sul modello razionale di agente (cfr. Sez. 6, n. 49573 del 19/09/2018, Bruno, Rv. 274277; Sez. 4, n. 8058 del 23/09/2016, dep. 2017, Malocaj e a., Rv. 269127; Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016, dep. 2017, Di Pietro e a., Rv. 269254; Sez. 4, n. 36400 del 23/05/2013, Testa, Rv. 257112) alle particolari condizioni in cui l'azione si è in concreto verificata. Ciò che il legislatore chiede al giudice è di calare la valutazione sul superamento dei limiti imposti dalla necessità nella concreta situazione in cui il soggetto agente è venuto a trovarsi per le oggettive condizioni (di tempo, di luogo, di persona) in cui l'azione difensiva è stata posta in essere, onde verificare se queste abbiano inciso sulle modalità della reazione, significativamente ostacolandola e, quindi, "deformandola" rispetto a ciò che si sarebbe potuto pretendere da un agente razionale sottoposto alla medesima aggressione non connotata da quelle caratteristiche.

La disposizione, in buona sostanza, recepisce - ed espressamente attua con riguardo alla situazione in esame, riempiendola di contenuti oggettivi perché ancorati ai criteri individuati dall'art. 61 c.p., n. 5), ed estendendola anche a connotazioni di tempo e di luogo - quell'orientamento giurisprudenziale, nel tempo divenuto dominante, che richiede un giudizio sul profilo di colpa compiuto avendo riguardo anche alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali, in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento (Sez. 4, n. 20270 del 06/03/2019, Palmeri, Rv. 276238; Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Galdino de Lima, Rv. 274500; Sez. 4, n. 49707 del 04/11/2014, Incorvaia e a., Rv. 263283).

Il cennato profilo di (ulteriore) valutazione rispetto all'adozione degli ordinari criteri che presiedono all'imputazione colposa del fatto si apprezza ancor più in relazione alla seconda, alternativa, situazione che l'art. 55 c.p., comma 2, impone di considerare, vale a dire se chi ha posto in essere l'azione difensiva abbia agito in stato di grave turbamento. Più ancora che con riguardo alla prima delle situazioni considerate, ci si allontana qui dal riferimento al modello razionale di agente - pur delineato il più possibile con riguardo alle caratteristiche personali e spazio - temporali del caso di specie - per dare rilievo ad una situazione psicologica fondata su connotazioni emotive che secondo l'impostazione originaria del codice penale, indotta da evidenti finalità di carattere generalpreventivo, vengono invece di regola considerate ininfluenti ai fini della responsabilità penale (cfr. art. 90 c.p.; per qualche applicazione v. Sez. 1, n. 48841 del 31/01/2013, Venzi e a., Rv. 258444; Sez. 5, n. 9843 del 16/01/2013, Picini, Rv. 255226; Sez. 6, n. 12621 del 25/03/2010, M., Rv. 246741). Com'è noto, la rigidità di questa impostazione e la necessità di valutarne la tenuta alla luce dei modelli costituzionali - anche di matrice sovranazionale - che impongono quantomeno la rimproverabilità della condotta per giustificare l'applicazione di una sanzione penale formano da tempo oggetto di discussione, anche alla luce di acquisizioni scientifiche che sottolineano come stati emotivi e passionali non riconducibili ad infermità possano sostanzialmente produrre gli stessi effetti che sulla capacità di intendere e di volere determinano le situazioni patologiche. E' un fatto, peraltro, che lo stesso codice riconosca talora rilievo, in particolari casi, a situazioni emotive dell'agente che, pur non dipendenti da infermità, hanno influito sulla sua capacità di autodeterminarsi, prevedendo circostanze attenuanti (v. art. 62 c.p., nn. 2 e 3) o addirittura cause di non punibilità (art. 599 c.p., comma 2). La stessa giurisprudenza ha talvolta riconosciuto rilevanza agli stati emotivi o passionali ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che essi influiscono sulla misura della responsabilità penale (Sez. 1, n. 7272 del 05/04/2013, dep. 2014, Disha, Rv. 259160; Sez. 1, n. 2897 del 15/11/1982, dep. 1983, Langella, Rv. 158296).

La nuova previsione, reputa il Collegio, ha qualche analogia con queste ipotesi e, tenendo anche conto del fatto che si tratta di una causa di non punibilità, rappresenta senz'altro una situazione codificata di inesigibilità della condotta che non potrebbe trovare ingresso nell'ordinamento se non espressamente prevista (cfr. Sez. 3, n. 38593 del 23/01/2018, Del Stabile, Rv. 273833; Sez. 6, n. 973 del 02/04/1993, Bove, Rv. 194384). Di fatti, anche in tempi recenti si è affermato che l'accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa reale o putativa e dell'eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio "ex ante" calato all'interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sè considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all'azione che possano aver avuto concreta incidenza sull'insorgenza dell'erroneo convincimento di dover difendere sè o altri da un'ingiusta aggressione, senza tuttavia che possano considerarsi sufficienti gli stati d'animo e i timori personali (Sez. 1, n. 13370 del 05/03/2013, R., Rv. 255268). La valutazione di questi ultimi, nelle condizioni descritte dalla norma, diviene oggi, invece, eccezionalmente ammessa e, anzi, doverosa.

Ciò premesso, questa inesigibilità, che certamente si fonda sulla non facile ricostruzione di un elemento psicologico interno come il "grave turbamento" che la legge vuole prodotto "dalla situazione di pericolo in atto" - del soggetto agente al momento del fatto va valutata alla luce di parametri oggettivi. Se, dunque, sono per un verso irrilevanti stati d'animo che abbiano cause preesistenti e/o diverse, d'altro lato occorrerà esaminare, con giudizio ancora una volta calibrato sulla globale considerazione di tutti gli elementi della situazione di specie, se, e in che misura, il pericolo in atto - per concretezza e gravità rispetto alla lesione dell'integrità fisica propria o altrui - possa aver determinato nell'agente un turbamento così grave da rendere inesigibile quella razionale valutazione sull'eccesso di difesa che costituisce oggetto del rimprovero mosso a titolo di colpa. Per poter fondare l'esclusione di responsabilità, peraltro, la gravità del turbamento non potrà non essere parametrata anche alla gravità del rimprovero che discenderebbe dall'applicazione degli ordinari parametri di ricostruzione del profilo di colpa. Ancora, utili parametri di riferimento per la valutazione della contingente situazione di turbamento possono essere costituiti dall'analisi circa la maggiore o minore lucidità e freddezza che hanno contraddistinto l'azione difensiva, anche nei momenti ad essa immediatamente precedenti e successivi.