Amministrativo

Il privato non può abdicare al diritto di proprietà del fondo occupato dalla Pa e non espropriato

di Paola Rossi

Non esiste la possibilità per il privato di rinunciare unilateralmente al proprio diritto di proprietà sul fondo già occupato dalla Pa, ma di cui poi non si completa l'espropriazione. Così il Tar Piemonte, con la sentenza n. 368/2018, ha chiarito che in tal caso il trasferimento della titolarità del bene in mano pubblica può essere determinato solo dall'emissione del decreto cosiddetto di «acquisizione sanante». Con cui lo stesso ente pubblico regolarizza un iter espropriativo fondato su un atto nullo o illegittimo.

La proprietà resiste all'occupazione - D'altronde, precisano i giudici che il diritto del privato, certamente inciso dall'occupazione e dalle attività realizzate da parte della pubblica amministrazione, non è da esse cancellato. In una situazione in cui gli atti amministrativi presupposti all'esproprio per pubblica utilità si rivelino non produttivi di effetti giuridici, non è quindi neanche ipotizzabile (oltre all'abdicazione) la contestuale richiesta di vedersi corrispondere il valore venale del bene. Infatti, il primo effetto che sicuramente non si verifica - in caso di iter espropriativo non legittimo - è quello dell'acquisizione della proprietà da parte della Pa. A riprova di quanto espresso il Tar piemontese sottolinea come il decreto di acquisizione sanante abbia come unico destinatario il proprietario del fondo occupato e che il suo unico effetto sia quello traslativo della proprietà. Per cui, in assenza , di tale decreto la proprietà resta in capo al privato proprietario, tanto che nel caso in cui non si sani la procedura illegittima resta libero di mantenere e sfruttare le opere eventualmente realizzate dalla Pa sul proprio fondo.

Traslazione con acquisizione sanante - Il Tar ricorda che l'articolo 42 bis del Dpr 8 giugno 2001 n. 327 consentendo di regolarizzare le occupazioni illegittime «mercé l'adozione del c.d. “decreto di acquisizione sanante”» sottintende dall'altro lato che il bene immobile rimane sempre di proprietà del soggetto che ne era proprietario al momento della occupazione e tale diritto permane fino a che la proprietà venga ceduta regolarmente in base alla legge all'amministrazione occupante (o anche eventualmente a terzi).

I rischi della rinunzia per la Pa - Secondo il Tar ammettere l'ipotesi contraria, cioè il diritto ad abdicare alla proprietà del bene compresso comporterebbe concreti rischi per la finanza pubblica, comportando il rischio per la Pa di acquisire diritti di proprietà su beni di cui dovrà poi sostenere i costi e i rischi - di manutenzione e custodia - senza più ricavarne gettito fiscale. Il Tar afferma che l'articolo 42 bis del Dpr 327/2001 ha certificato l' impossibilità per il privato di rinuncia unilaterale alla proprietà di un fondo illegittimamente occupato per scopi di pubblica utilità. Sul punto, conclude il Tar facendo notare che, a voler ammettere generalmente la possibilità dell'abdicazione unilaterale del proprietario al suo diritto reale sul bene vi sarebbero di conseguenza dei beni privi di proprietario e, come tali, da devolversi al patrimonio dello Stato in base all'articolo 827 del codice civile. Si determinerebbero ex lege (e a prescindere dalla conoscenza effettiva che lo Stato abbia dell'acquisto per effetto di rinunzia abdicativa) gli oneri per la manutenzione dell'immobile e la responsabilità da custode del bene.

Il ragionamento dei giudici - I giudici amministrativi colgono l'occasione - sotto il punto di vista dottrinario - di affermare che nel nostro ordinamento giuridico la rinunzia abdicativa (e non traslativa) a un diritto reale può ritenersi consentita solo nei casi tipici previsti dal codice civile, tra i quali non è inclusa la rinunzia abdicativa al diritto di proprietà esclusiva su bene immobile. E da ciò deriva che non può quindi essere validamente determinata da un atto unilaterale ad hoc. E neanche può essere esercitata presentando domanda giudiziale con contestuale richiesta dell'equivalente monetario del valore del bene immobile.
Non si perde la proprietà con l'occupazione illegittima da parte della Pa infatti la restituzione del bene al privato è sempre possibile, con il ripristino allo stato originario e la restituzione. Non va quindi ammessa la corresponsione, al privato, del risarcimento del danno commisurato al valore venale del bene immobile visto che il bene non è estinto ed è virtualmente arricchito del valore dell'opera pubblica. Se il privato potesse rinunziare alla proprietà in base al risarcimento del «valore venale» si determinerebbe che l'amministrazione «occupante» pagherebbe un risarcimento privo di valida giustificazione giuridica, senza divenire per ciò proprietaria del fondo sul quale ha realizzato l'opera di pubblica utilità: perché l'unico effetto immediato di una rinunzia abdicativa è la fuoriuscita dal patrimonio del privato del bene la cui proprietà sarebbe semmai devoluta allo Stato.

Tar Piemonte – Sezione I – Sentenza 28 marzo 2018 n. 368

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