Lavoro

Smart working post emergenziale: cosa succede al lavoro agile?

Dal prossimo 1° aprile cesserà lo stato di emergenza e con esso, salvo quanto in questi giorni si apprende dagli organi di stampa circa un'estensione della «modalità semplificata» sino al prossimo 30 giugno, la normativa che aveva consentito di ricorrere allo smart working con modalità ampiamente agevolate rispetto a quelle tipicamente previste dalla Legge n. 81/2017.

di Mario Scofferi e Alessia Consiglio*

Con l'approssimarsi del termine del periodo emergenziale, è sempre più oggetto di quotidiano dibattito il tema dello smart working e dell'applicazione che esso avrà nel prossimo futuro.

Come è noto infatti, dal prossimo 1° aprile cesserà lo stato di emergenza e con esso, salvo quanto in questi giorni si apprende dagli organi di stampa circa un'estensione della «modalità semplificata» sino al prossimo 30 giugno, la normativa che aveva consentito di ricorrere allo smart working con modalità ampiamente agevolate rispetto a quelle tipicamente previste dalla Legge n. 81/2017.

Sempre di questi giorni è poi la notizia di una proposta di legge, approvata dalla Commissione Lavoro della Camera, tesa (se così vogliamo dire) a modernizzare l'istituto del lavoro agile o, quantomeno, renderlo più simile alle modalità con cui nell'ultimo biennio esso è stato gestito dalle imprese) e percepito (dai lavoratori).

Comunque la si guardi e salve le possibili modifiche che verranno introdotte dal summenzionato DDL, ad ogni modo, dal prossimo 1° luglio tornerà ad essere necessaria non solo (e non tanto) la forma scritta del relativo accordo ma anche, e soprattutto, il consenso del lavoratore allo svolgimento da remoto della prestazione lavorativa, comprensibilmente sacrificato nell'ultimo biennio sull'altare della sicurezza dei luoghi di lavoro e della riduzione delle occasioni di contatto interpersonale funzionalmente a prevenire il diffondersi della pandemia.

Consenso che per la verità, quantomeno nell'esperienza di chi scrive, non sembra difficile da conseguire posto che la larga maggioranza dei lavoratori ha avuto modo di apprezzare la flessibilità o, più in generale, la maggiore autonomia nello svolgimento della prestazione lavorativa che il lavoro agile consente. Anche sul fronte delle imprese si rileva un significativo apprezzamento per questo istituto poiché, eccezion fatta per peculiari necessità legate a specifici settori merceologici, pare coinvolgere anche le imprese le quali, oltre ad avere personale maggiormente soddisfatto (al punto che la disponibilità aziendale a concedere un significativo numero di giornate di lavoro da remoto è elemento sempre più valutato dai lavoratori in cerca di nuova occupazione), ottengono altresì un (anche) significativo risparmio nei costi di struttura.

L'interesse che si è creato intorno a questo istituto è poi ulteriormente confermato dal fatto che, in epoca recentissima, esso è stato oggetto di uno specifico protocollo firmato dalle parti sociali - su sollecitazione del Ministero del Lavoro – lo scorso 7 dicembre 2021. Protocollo che peraltro, sebbene estraneo dall'impostazione offerta dalla Legge 81/2017 (che disciplina un accordo su base tipicamente individuale, pur non impedendo interventi da parte della contrattazione collettiva), prevede quale requisito essenziale che gli accordi individuali recepiscano quanto eventualmente definito dagli accordi collettivi sul lavoro agile, con efficacia vincolante quantomeno per i datori di lavoro rientranti nel campo di applicazione di tali accordi collettivi (solco nel quale sembra altresì muoversi il DDL sottoposto all'esame dell'Aula).

Ancora al dichiarato fine di rendere maggiormente fruibile questa modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, è poi notizia di questi giorni quella dell'approvazione di un emendamento alla Legge di conversione del c.d. Decreto Sostegni ter a mente della quale continuerà ad essere possibile – sotto il profilo amministrativo e come già avvenuto durante la fase emergenziale (cfr. art. 90, commi 3 e 4, del D.L. n. 34/2020) – comunicare, in via telematica al Ministero del Lavoro, solo i «nominativi dei lavoratori e la data di inizio e cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile». Non sarà quindi necessario, secondo quanto previsto da tale emendamento, che l'accordo sia raccolto e inviato con tutti i .pdf degli accordi individuali sottoscritti con i singoli lavoratori, sebbene rimanga fermo l'obbligo dell'azienda di conservarli.

Non c'è dubbio che il suesposto contesto, orientato a (per così dire) modernizzare una prestazione auspicabilmente più collegata a specifici obiettivi, piuttosto che al mero tempo-lavoro, sia da accogliere positivamente. Altrettanto indubbio è tuttavia avere ben chiaro come lo «smart working che sarà» non possa essere del tutto sovrapponibile a quello che si è visto nell'ultimo biennio, con lavoratori pressoché costantemente ed esclusivamente (volontariamente o per imposizione datoriale) destinati a rendere da remoto la propria prestazione lavorativa.

In altre parole, è sensibile il rischio che - sull'onda lunga del periodo pandemico - le imprese consentano (quantomeno) ad alcuni lavoratori, ed in particolare quelli dotati di maggiore forza negoziale ed assegnati a mansioni che rendono in concreto indifferente il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, di lavorare esclusivamente da remoto, con ciò tuttavia discostandosi dall'attuale tipo normativo che riconduce una prestazione resa al 100% da remoto non allo smart working, quanto piuttosto al telelavoro di cui all'Accordo Interconfederale del 9 giugno 2004.

La questione non è a nostro avviso di pura semantica, poiché i due istituti presuppongono obblighi di natura affatto diversa (e.g. riguardo agli strumenti di lavoro, alla normativa in materia di salute e sicurezza, all'orario di lavoro, alle somme erogate a titolo di rimborsi spese, etc.) e, non di meno, la corretta individuazione delle modalità di svolgimento del rapporto incide direttamente su diversi istituti che muovono dal numero di lavoratori in forza ad una impresa: si pensi ad esempio alla base di calcolo per l'assunzione dei lavoratori di cui alla Legge n. 68/1999, dalla quale sono esclusi i «lavoratori a domicilio» ma non anche i lavoratori agili; o ancora ai lavoratori che possono essere sospesi in cassa integrazione, tra i quali ancora una volta non rientrano i telelavoratori e possono invece rientrare i lavoratori agili; o ancora, più banalmente sotto il profilo amministrativo, le diverse comunicazioni obbligatorie che devono essere effettuate dal datore di lavoro per l'una o per l'altra categoria di lavoratori.

Fattispecie, quelle in commento, apparentemente simili sotto il profilo concreto ma affatto distinte sotto quello dogmatico.

Se è quindi lecito attendersi un perdurante amplissimo utilizzo del lavoro agile nei mesi (probabilmente anni) a venire, è altrettanto importante che tale utilizzo venga sempre mantenuto nei limiti tipizzati dalla normativa di tempo in tempo vigente, innanzitutto per evitare di stravolgere un istituto che pone comunque la sede dell'impresa al centro della prestazione lavorativa e, sotto altro profilo, per evitare di esporsi a possibili sanzioni dovute alla confusione tra due modalità di svolgimento della prestazione molto diverse tra loro.

*di Mario Scofferi Partner e membro del dipartimento di Complex Litigation e Dispute Resolution di Orrick e Alessia Consiglio,

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