Responsabilità

Risarcimento del danno da perdita di chance, non è assoggettato a tassazione se diretto a riparare un pregiudizio alla professionalità

Qualificata come danno emergente la perdita di chanche che non deriva dalla perdita di un reddito, bensì dalla mancata progressione professionale

di Tommaso Targa*

Così ha deciso la Cassazione, sezione tributaria, con sentenza 8 febbraio 2023 n. 3804 , affermando il seguente principio di diritto: "In tema di classificazione dei redditi ex art. 6, comma 2, t.u.i.r., le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cd. lucro cessante), e non costituiscono reddito imponibile nell'ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (cd. danno emergente). Non è quindi tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale (a causa dell'assenza di programmi ed obiettivi incentivanti), ed è irrilevante che, ai fini della determinazione del quantum debeatur, si faccia riferimento al c.c.n.l. di un certo comparto".

Il caso

La vicenda trae origine da un contenzioso promosso innanzi al Giudice del Lavoro da un gruppo di dipendenti di una ASL, rientranti nel ruolo di "medico e veterinario".

In tale contenzioso è stato chiesto l'accertamento della violazione, da parte della azienda resistente, di una norma prevista dal CCNL di categoria (art. 52, dirigenza sanitaria) che dispone l'obbligatoria attivazione di un sistema di compensi incentivanti in base ai risultati raggiunti.

Il Giudice del Lavoro ha accolto i ricorsi dei lavoratori, riconoscendo ai medesimi il diritto al risarcimento di un danno alla professionalità, da quantificarsi in separato giudizio: danno connesso al fatto che, in assenza di programmi ed obiettivi incentivanti, i ricorrenti avrebbero subito una "perdita di chance di accrescimento professionale".

L'instaurazione delle controversie sul quantum debeatur è stata scongiurata da accordi individuali, raggiunti tra la ASL e i singoli dirigenti medici, che hanno previsto il pagamento a questi ultimi di somme a titolo risarcitorio. Da ciò è scaturito il contenzioso tributario, proseguito fino alla pronuncia della cassazione in commento, poiché l'Agenzia delle Entrate ha rivendicato l'assoggettamento a tassazione delle somme erogate in virtù degli accordi raggiunti.

Risultati soccombenti innanzi alla Commissione Tributaria Regionale, che ha affermato la tassabilità di queste somme, i dirigenti sanitari hanno impugnato la relativa sentenza in sede di legittimità. Accogliendo il ricorso dei lavoratori, la pronuncia in commento ha effettuato un articolato excursus sulla normativa in materia di tassazione dei redditi e sulla relativa giurisprudenza di legittimità, espressa sia dalla sezione tributaria che dalla sezione lavoro.

Anzitutto, la sentenza ha richiamato il tenore letterale dell'art. 6, comma 2, del TUIR, a mente del quale "i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati".

La Cassazione ha quindi passato in rassegna la propria giurisprudenza secondo cui, sia sede tributaria che giuslavoristica, "le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio costituiscono reddito imponibile solo e nei limiti in cui abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi ".

Tale principio è stato affermato dalla sezione tributaria in relazione al risarcimento del danno per la reintegrazione delle energie psicofisiche spese dal lavoratore oltre l'orario di lavoro massimo esigibile: risarcimento che non ristora la perdita della retribuzione per lavoro straordinario, bensì il danno emergente alla salute e alla vita di relazione (Cass. civ. sez. trib., 28 ottobre 2000, n.14241; Cass. civ. sez. trib., 21 giugno 2002, n.9111; Cass. civ. sez. trib., 21 maggio 2007, n.11682).

Ma la stessa regola è stata applicata anche per il danno da perdita di chance intesa come "entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile" (Cass. civ. sez. trib., 29 dicembre 2011, n.29579), e per il risarcimento da mancata conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato illegittimi nell'ambito del pubblico impiego privatizzato (Cass. civ. sez. trib., 12 ottobre 2018, n. 25471).

Nello stesso senso si è espressa anche la sezione lavoro, con la recente sentenza 3 febbraio 2021 n. 2472 secondo cui: " Il danno non patrimoniale alla professionalità, patito dal lavoratore in conseguenza della grave lesione dei propri diritti costituzionalmente garantiti, va ascritto alla categoria del danno emergente, sicché la relativa liquidazione giudiziale dev'essere effettuata al lordo delle ritenute fiscali, essendo soggette a tassazione, tra le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio, soltanto quelle dirette a reintegrare il lucro cessante derivante dalla mancata percezione di redditi".

Sulla base di questi principi di diritto, la sentenza in commento ha accolto il ricorso dei dirigenti sanitari secondo cui gli importi dagli stessi percepiti in via transattiva costituiscono un risarcimento del danno, convenzionalmente quantificato da "privazione del diritto … ad essere valutati ed a conseguire e sviluppi di carriera e di carattere giuridico ed economico", dunque un danno da perdita di chanche che non deriva dalla perdita di un reddito, bensì dalla mancata progressione professionale dei lavoratori interessati: dunque, un danno emergente.

Nel giungere a questa conclusione, la Cassazione ha valorizzato il fatto che la violazione dell'obbligo previsto dal CCNL di categoria, da parte del datore di lavoro, non ha comportato un mero lucro cessante a carico dei lavoratori, bensì il venir meno di un'opportunità di carriera, con conseguente danno alla professionalità.

Sviluppando questo concetto, la sentenza in commento ha sottolineato che gli accordi conciliativi conclusi dai lavoratori con la ASL, in base ai quali sono state pagate le somme della cui tassabilità si discute, traggono origine da una pretesa controversia sull'an debeatur.

In questa controversia, il Giudice del Lavoro ha riconosciuto la sussistenza di un danno equiparabile, secondo la Cassazione, a quello di un demansionamento: "il Tribunale di Crotone ha accertato l'omessa attivazione di obiettivi/percorsi professionali e di consequenziali valutazioni dei risultati. Dalla carenza di un programma e di obiettivi incentivanti scaturisce quella perdita di chance di miglioramento attitudinale/dirigenziale e di valutazione (eventualmente positiva) dei risultati conseguiti con ricadute economiche. Si realizza, a ben vedere, una situazione affine a quella del demansionamento".

La Cassazione ha quindi attribuito rilevanza decisiva alla prospettazione del danno subito da parte dei lavoratori nell'ambito della controversia giuslavoristica prodromica agli accordi transattivi, e alla conseguente qualificazione di tale danno espressa sia nella sentenza del Giudice del Lavoro che nei suddetti conseguenti accordi conciliativi.

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*A cura di Tommaso Targa, Trifiro' & Partners - Avvocati


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