Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 22 e il 26 agosto 2022

di Giuseppe Cassano

Le Corti d’Appello, nel corso di questa settimana, sono state chiamate a pronunciarsi in materia di rinuncia all’eredità, scioglimento di una comunione, circolazione stradale, mediazione atipica. Si registrano poi gli interventi dei Tribunali in tema di concorrenza sleale, rovina e difetti di cose immobili, spese condominiali, accessione, locazione e, infine, interpretazione del contratto.

CIRCOLAZIONE STRADALE

Conducente - Condotta - Articolo 140 del Cds - Obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo, o intralcio, per la circolazione. (Dlgs 30 aprile 1992 n. 285, articolo 140)
Osserva in sentenza la Corte d’Appello di Milano come, in materia di circolazione stradale. le norme che presiedono il comportamento del conducente di un veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, sono principalmente quelle rinvenibili nell'articolo 140 del Codice della Strada (Dlgs n. 285/1992).
Detta disposizione pone, quale principio generale informatore della circolazione, l'obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo, o intralcio, per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale. Rilevano, inoltre, gli articoli seguenti del medesimo Codice, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte.  In questa prospettiva, è evidente – secondo la Corte - la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzata nell'obbligo di attenzione che questi deve tenere sì da poter porre in essere efficacemente gli opportuni (rectius, i necessari) accorgimenti atti a prevenire ogni possibile rischio. Il richiamato principio generale di cautela si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: 1) quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare; 2) quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; 3) quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada.
Trattasi di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari degli altri utenti della strada che, laddove sussistenti, risulterebbero concausa dell'evento lesivo.
Corte di appello di Milano, sezione III, 25 agosto 2022 n. 2756

COMUNIONE
Scioglimento - Beni immobili abusivi - Divieto.
(Cc, articolo 713; Dpr 6 giugno 2001 n. 380, articolo 46; Legge 28 febbraio 1985 n. 47, articolo 40)
In punto di diritto la Corte d’Appello di Messina afferma il principio secondo cui alla divisione negoziale devono partecipare tutti i soggetti che siano contitolari del diritto in comunione, e, cioè, tutti i proprietari se deve essere sciolta una comproprietà, ovvero tutti i titolari di altri diritti parziari se deve essere sciolta una di queste comunioni. E invero, nella divisione negoziale non può essere pretermesso un partecipante alla comunione omogenea, perché solo se le volontà di tutti coloro che concorrono nel medesimo diritto convergono verso un unico progetto divisorio può prodursi l'effetto dello scioglimento della comunione pro-quota e della nascita di diritti individuali con oggetto più delimitato. Al tempo stesso, quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il Giudice non può disporre la divisione che abbia a oggetto un fabbricato (o parti di esso) abusivo, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti a essa equipollenti, come richiesti dall'articolo 46 del Dpr n. 380/2001 e dall'articolo 40, comma II, della legge n. 47/1985, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell'azione ex articolo 713 del Cc, sotto il profilo della "possibilità giuridica", e non potendo la pronuncia del Giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell'ambito della loro autonomia negoziale.  La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell'edificio e il mancato esame di essa da parte del Giudice sono rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Con la precisazione che, in caso di scioglimento di una comunione, fine primario della divisione è la conversione del diritto di ciascun condividente alla quota ideale in diritto di proprietà esclusiva di beni individuali, sicché in presenza di un immobile indivisibile, o non comodamente divisibile, ed in assenza di domanda di attribuzione del bene da parte di alcuno dei comproprietari, deve disporsi la vendita, con attribuzione del ricavato in favore degli aventi diritto.
Corte di appello di Messina, sezione II, 24 agosto 2022 n. 552

CONCORRENZA
Concorrenza sleale
- Lavoro subordinato - Operatività. (Cc, articoli 2043 e 2598)
Afferma il Tribunale di Perugia che un dipendente, una volta cessato il rapporto di lavoro, resta libero di scegliere la propria attività lavorativa (sia essa in forma autonoma o subordinata), potendo anche svolgere attività in concorrenza con il precedente datore di lavoro, salvo che abbia sottoscritto un valido patto di non concorrenza, finalizzato proprio a tutelare l’interesse aziendale ad evitare che un proprio dipendente svolga attività in concorrenza successivamente alla cessazione del rapporto.
Si fa così applicazione del canone ermeneutico, posto in tema di concorrenza sleale, secondo cui gli atti di concorrenza sleale di cui all'art. 2598 c.c. presuppongono un rapporto di concorrenza tra imprenditori, sicché la legittimazione attiva e passiva all'azione richiede il possesso della qualità di imprenditore; ciò, tuttavia, non esclude la possibilità del compimento di un atto di concorrenza sleale da parte di chi si trovi in una relazione particolare con l'imprenditore, soggetto avvantaggiato, tale da far ritenere che l'attività posta in essere sia stata oggettivamente svolta nell'interesse di quest'ultimo, non essendo indispensabile la prova che tra i due sia intercorso un "pactum sceleris", ed essendo invece sufficiente il dato oggettivo consistente nell'esistenza di una relazione di interessi tra l'autore dell'atto e l'imprenditore avvantaggiato, in carenza del quale l'attività del primo può eventualmente integrare un illecito ex art. 2043, c.c., ma non un atto di concorrenza sleale.
Con la precisazione che la concorrenza sleale per “illecito sviamento di clientela” rimane un concetto estremamente vago e non tipizzato e, quindi, non assimilabile ad altre figure tradizionali sintomatiche di concorrenza sleale scorretta (storno di dipendenti, violazione di norme pubblicistiche, boicottaggio, vendita sottocosto, etc.); il tentativo di sviare la clientela (che non “appartiene” all'imprenditore) di per sé rientra nel gioco della concorrenza, sicché per apprezzare, nel caso concreto, i requisiti della fattispecie di cui all'art. 2598, n. 3, c.c., e ritenere illecito lo sviamento, occorre che esso sia provocato, direttamente o indirettamente, con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale (intesa come il complesso di regole desunte dalla coscienza collettiva imprenditoriale di una certa epoca, socialmente condivise dalla categoria). È, quindi, evidente che non sia sufficiente il tentativo di accaparrarsi la clientela del concorrente sul mercato nelle sue componenti oggettive e soggettive, ma è imprescindibile il ricorso a un mezzo illecito secondo lo statuto deontologico degli imprenditori.
T ribunale di Perugia, sezione lavoro, 23 agosto 2022 n. 200

CONDOMINIO

Condominio - Amministratore - Contributi e spese - Riscossione. (Cc, articolo 1123; disposizioni di attuazione del Cc, articolo 63)

Precisa il Tribunale di Roma che, a norma degli articoli 1123 del Cc e 63 disposizioni di attuazione del Cc, l'amministratore del condominio può riscuotere pro-quota e in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni e per i servizi prestati nell'interesse comune, rivolgendosi direttamente ed esclusivamente ai condòmini, intendendosi per tali coloro che risultano proprietari di beni solitari facenti parte del condominio e comproprietari dei beni comuni.
L’obbligazione di corrispondere i contributi condominiali, invero, è tradizionalmente considerata un’obbligazione propter rem in quanto vi è un’oggettiva e ineludibile connessione tra la titolarità del diritto di proprietà sull’unità immobiliare soggetta al regime del condominio e la suddetta obbligazione.
In ordine all’ambito applicativo dell’articolo 63, IV, disposizioni attuazione del Cc, si precisa che tale norma usa l’espressione “chi subentra nei diritti di un condomino” con ciò volendosi intendere qualsiasi vicenda circolatoria dell’unità immobiliare in condominio, che si realizzi sia mediante un atto inter vivos sia tramite una successione mortis causa. Nell’ipotesi poi in cui la proprietà solitaria di un bene venga frazionata in più parti ed alienata, sempre che ciò non rechi pregiudizio agli altri condomini e non sia vietato dal regolamento di natura contrattuale, ne va data notizia all’amministratore il quale è tenuto all’aggiornamento dell’anagrafe condominiale posto che, in ogni caso, le spese devono gravare esclusivamente sul proprietario effettivo delle unità immobiliari e l’amministratore è tenuto ad aggiornare i propri dati alla realtà della composizione dell’edificio, ai fini del riparto, eventualmente consultando i registri immobiliari.
Ancora, in caso di vendita di una unità immobiliare in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni, qualora venditore e compratore non si siano diversamente accordati in ordine alla ripartizione delle relative spese, è tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione.

Tribunale di Roma, sezione V, 25 agosto 2022 n. 12618

CONTRATTO

Interpretazione del contratto - Elemento letterale - Elemento funzionale. (Cc, articoli 1362, 1363, 1365 e 1371)
Osserva in sentenza il Tribunale di Pisa che, in tema di interpretazione del contratto, l’elemento letterale (sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti) deve essere valutato di concerto ad ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, a quello funzionale che attribuisce rilievo alla ragione pratica sottesa al negozio, in conformità agli interessi che le parti hanno inteso tutelare mediante la stipulazione dell’accordo. In particolare l'art. 1362 c.c., allorché nel comma 1, prescrive all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l'elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile. Se ne desume che, nell'interpretazione del contratto, il carattere prioritario dell'elemento letterale non deve essere inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell'art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici, anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti. Pertanto, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all'art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti. I criteri di interpretazione del contratto (dettati negli artt. 1362 ss. c.c.) conferiscono dunque prevalenza ai criteri esegetici di natura soggettiva rispetto a quelli di natura oggettiva, imponendo di ricercare la comune volontà della parti attribuendo alle espressioni contenute nell'accordo, innanzitutto, il significato desumibile dal tenore letterale oltre che dal comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto e dal contesto delle diverse clausole. Le regole legali di ermeneutica contrattuale sono così governate da un principio di gerarchia, in forza del quale i criteri degli artt. 1362 e 1363 c.c. prevalgono su quelli integrativi degli artt. 1365-1371 c.c., posto che la determinazione oggettiva del significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragion d'essere quando la ricerca soggettiva conduca ad un utile risultato ovvero escluda da sola che le parti abbiano posto in essere un determinato rapporto giuridico.
Tribunale di Pisa, sezione II, 25 agosto 2022 n. 1066

LOCAZIONI
Cosa locata - Deterioramento - Conseguenze.
(Cc, articoli 1590 e 1609)
Secondo il Tribunale di Salerno, ai sensi dell'art. 1590, I, c.c., il conduttore deve restituire al locatore la cosa nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, "salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto". La norma esprime, dunque, una regola generale dalla quale si ricava la possibilità di un deterioramento normale della cosa locata, conseguente all'uso corretto del bene (in conformità del contratto) oppure alla vetustà (art. 1609, I, c.c.), possibilità che rientra nella liceità giuridica del godimento della cosa e che dunque il locatore è tenuto a sopportare in quanto derivante dall'utilizzo conforme al contratto.
Pertanto, in linea di principio, il locatore può legittimamente pretendere di essere risarcito per le condizioni dell'immobile che eccedano il normale degrado del medesimo siccome conseguenti al suo ordinario uso). Inoltre quando, in violazione dell'art. 1590 c.c., al momento della riconsegna l'immobile locato presenti danni eccedenti il degrado dovuto al normale uso dello stesso, incombe al conduttore l'obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, ma anche nel canone altrimenti dovuto per tutto il periodo necessario per l'esecuzione e il completamento di tali lavori, senza che, a quest'ultimo riguardo, il locatore sia tenuto a provare anche di aver ricevuto -da parte di terzi- richieste per la locazione, non soddisfatte a causa dei lavori. Nell'ipotesi in cui l'immobile offerto in restituzione dal conduttore si trovi in stato non corrispondente a quello descritto dalle parti all'inizio della locazione, ovvero, in mancanza di descrizione, si trovi comunque in cattivo stato locativo, per accertare se il rifiuto del locatore di riceverlo sia o meno giustificato, occorre distinguere a seconda che la cosa locata risulti deteriorata per non avere il conduttore adempiuto all'obbligo di eseguire le opere di piccola manutenzione durante il corso della locazione, oppure per avere il conduttore stesso effettuato trasformazioni e/o innovazioni: nel primo caso, trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa e non implicano l'esplicazione di un'attività straordinaria e gravosa, l'esecuzione delle opere occorrenti per il ripristino dello status quo ante rientra nel dovere di ordinaria diligenza cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, ed il suo rifiuto di ricevere la cosa è conseguentemente illegittimo, salvo diritto al risarcimento dei danni per violazione del disposto di cui all'art.1590 c.c.; nel secondo caso, invece, poiché l'esecuzione delle opere di ripristino implica il compimento di un'attività straordinaria e gravosa, il locatore può legittimamente rifiutare la restituzione della cosa locata nello stato in cui essa viene offerta.
Tribunale di Salerno, sezione I, 25 agosto 2022 n. 2820

MEDIAZIONE
Mediazione atipica - Natura giuridica - Provvigione.
(Cc, articoli 1709, 1720 e 1755; Legge 3 febbraio 1989 n. 39; Dlgs 26 marzo 2010 n. 59)
Oggetto dell’intervento da parte dell’adita Corte d’Appello di Roma è la mediazione (precisamente l’ipotesi della cosiddetta “mediazione atipica”). In via generale, il Legislatore (si veda legge n. 39/1989 - oggi Dlgs n. 59/2010) ha previsto che l'attività di mediazione possa essere svolta esclusivamente in presenza dei requisiti prescritti da tale legge e, pertanto, è stata ritenuta indispensabile per il sorgere, in favore del mediatore, del diritto al compenso la previa iscrizione nei registri da essa contemplati Orbene, si sottolinea nella sentenza qui in esame come la mediazione atipica si fonda su un contratto a prestazioni corrispettive mediante il quale il mediatore agisce non già sulla base di un comportamento di mera messa in contatto di due o più soggetti per la conclusione di un affare, ma perché incaricato da una o più parti, ai fini della conclusione dell'affare e, quindi, in adempimento di un obbligo di tipo contrattuale riconducibile al rapporto di mandato. In tale ipotesi il diritto al compenso del mediatore non sorge ai sensi dell’articolo 1755 del Cc nei confronti di ciascuna delle parti e per il solo effetto del suo intervento, bensì a carico del solo mandante, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1709 e 1720 del codice civile. Si precisa così che il contratto con cui un soggetto conferisce ad  un mediatore professionale l’incarico di promuovere e procurare la vendita frazionata e/o in blocco, in pianta e/o sul costruito, della proprietà delle unità abitative immobiliari di un preciso intervento edilizio - e, quindi, di reperire acquirenti degli immobili in questione e procedere alla stipula dei contratti preliminari di vendita - è qualificabile, non come un contratto di mediazione tipica, né come un contratto di appalto di servizi con assunzione di rischio da parte del mediatore professionale nell'operazione di commercializzazione sul mercato degli immobili, bensì come un incarico di mediazione per vendita immobiliare a causa mista, con prevalenza dei caratteri della mediazione atipica, cioè a dire del mandato, atteso che il contratto di mediazione tipica è incompatibile con qualsiasi vincolo tra il mediatore e le parti.
Corte di Appello di Roma, sezione III, 25 agosto 2022 n. 5395

PROPRIETA’
Accessione  -
Comunione del suolo - Costruzione - Operatività. (Cc, articoli 934. 952 e 1350)
Osserva il Tribunale di Palermo come la proprietà superficiaria di un immobile consista nella proprietà della costruzione separata dalla proprietà del suolo e si distingua dal diritto di superficie, quale diritto di costruire e mantenere la costruzione su suolo altrui (articolo 952 del Cc) limitando il diritto del proprietario del suolo, il quale non può avvalersi della facoltà di costruire in pregiudizio del diritto del superficiario e non può beneficiare degli effetti dell’accessione tanto che può inquadrarsi tra i diritti reali di godimento su cosa altrui. Con la precisazione – effettuata sempre in sentenza – secondo cui l’operare dell’istituto dell’accessione non è precluso dalla circostanza che, in presenza di una comunione del suolo, la costruzione sia realizzata da uno (o da alcuni) soltanto dei comproprietari. E cioè a dire, la costruzione realizzata dal comproprietario sul suolo comune diviene per accessione - ai sensi dell’articolo 934 del Cc - di proprietà comune ai comproprietari del suolo, salvo contrario accordo traslativo della proprietà del suolo o costitutivo di un diritto reale su di esso, che deve rivestire la forma scritta ad substantiam. In particolare, il titolo negoziale idoneo ad escludere l’operare dell’accessione non può essere costituito da un negozio unilaterale, essendo invece necessario un apposito contratto stipulato tra il proprietario del suolo e il costruttore dell’opera, che attribuisca a quest’ultimo il diritto di proprietà sulle opere realizzate. Costituiscono, pertanto, titoli idonei a impedire l’operare dell’accessione, quelli costitutivi di diritti reali, fra i quali si colloca, oltre alla costituzione diretta di un diritto di superficie (articoli 952 e ss. del Cc), la cosiddetta “concessione ad aedificandum”, con la quale il proprietario del suolo rinuncia a fare propria la costruzione che sorgerà su di esso. Trattandosi di contratti relativi a diritti reali immobiliari, essi, ai sensi dell’articolo 1350 del Cc, devono rivestire la forma scritta ad substantiam; come anche per iscritto deve risultare la rinuncia del proprietario al diritto di accessione, che si traduce sostanzialmente nella costituzione di un diritto di superficie.
Tribunale di Palermo, sezione II, 25 agosto 2022 n. 3469

RESPONSABILITA’ E RISARCIMENTO

Rovina e difetti di cose immobili - Responsabilità - Termine di decadenza - Soggetti responsabili. (Cc, articolo 1669)
Adito in materia di gravi difetti costruttivi previsti ex art. 1669 c.c. il Tribunale di Sassari fa applicazione del principio secondo cui il relativo termine di decadenza decorre solamente dal giorno in cui il committente o acquirente dell’immobile consegua un grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione dall'imperfetta esecuzione dell'opera.  Non è, infatti, determinante a tal fine la mera conoscenza del verificarsi dei fenomeni la cui origine non possa propriamente e compiutamente essere indagata senza l’ausilio di una consulenza tecnica atta ad accertare il difetto costruttivo a base dei medesimi vizi e difetti.
Non solo. Posto che la denuncia di gravi difetti di costruzione, oltre che dal committente e dai suoi aventi causa, ben può provenire anche dall’acquirente dell'immobile, avuto riguardo alla generale finalità di tutela a fondamento delle disposizioni di cui all'art. 1669 c.c., dirette a disciplinare le conseguenze dannose di quei difetti che incidano significativamente sugli elementi essenziali dell'opera, compromettendone la conservazione, e dando luogo ad un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, il costruttore responsabile per tale fattispecie, ben può essere individuato nella figura (anche non professionale né imprenditoriale) della parte venditrice, qualora - si precisa in sentenza - essa abbia proceduto alla costruzione del manufatto mantenendo quantomeno un potere di sorveglianza e verifica sul relativo procedimento edificatorio.
La disposizione codicistica in esame trova applicazione, oltre che nei casi in cui il venditore abbia provveduto alla costruzione con propria gestione di uomini e mezzi, anche qualora la costruzione stessa sia a lui riferibile in tutto o in parte per avere ad essa partecipato in posizione di autonomia decisionale; e così chi abbia deciso di far costruire un immobile da destinare alla successiva vendita (intera o frazionata) a terzi, è tenuto alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c..
Tribunale di Sassari, sezione II, 23 agosto 2022, n. 865

SUCCESSIONI E DONAZIONI
Apertura della successione
- Delazione - Rinuncia all’eredità. (Cc, articoli 521, 556 e 1350)
La Corte d’Appello di Bari osserva come, con l'apertura della successione, gli eredi acquisiscono nel proprio patrimonio i beni facenti parte dell'eredità che, nel caso di eredi necessari, dovrà comprendere, ai sensi dell'articolo 556 del Cc, anche quanto donato in vita ai fini della verifica del rispetto del limite della quota di legittima spettante a ciascuno di loro. Quando si abbia un atto di rinuncia (avente natura meramente abdicativa), che riguardi la dismissione della proprietà di beni immobili già acquisiti al patrimonio del rinunziante, allora lo stesso deve rispettare, ai sensi dell'articolo 1350 del Cc, l'obbligo della forma scritta ad substantiam.  Con l’ulteriore precisazione – resa sempre in punto di diritto dall’adita Corte – che, sebbene la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non sia di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede (e questo anche se il chiamato risulti tra i successibili "ex lege" o abbia presentato la dichiarazione di successione, che non costituisce accettazione), con la rinuncia all'eredità validamente esercitata il chiamato non può più essere considerato erede neppure per il periodo intercorrente tra l'apertura della successione e la rinuncia, avendo l'atto abdicativo effetto retroattivo ex articolo 521 del codice civile. Egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve essere annoverato - e computato - tra i successibili, con la conseguenza che la successiva operazione di collazione ereditaria (alla quale sono reciprocamente tenuti i coeredi discendenti, essendo diretta ad accrescere la massa che deve effettivamente dividersi) deve avere luogo soltanto nei rapporti di quei coeredi che siano soggetti attuali della comunione ed abbiano, di conseguenza, titolo a concorrere nella divisione dell'asse.
Corte di appello di Bari, sezione I, 24 agosto 2022 n. 1255

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