Professione e Mercato

Sospeso l'avvocato che non paga l'affitto

Ricorda il Cnf che l'inadempimento delle obbligazioni assunte dall'avvocato anche nella vita privata si traduce in una compromissione della credibilità e affidabilità della professione forense verso terzi

di Marina Crisafi

L'avvocato non paga l'affitto di casa? Nessun dubbio sulla sanzione disciplinare della sospensione. È quanto ha sentenziato il Cnf (decisione n. 55/2022) rigettando il ricorso di una professionista sospesa dalla professione forense per 6 mesi.

La vicenda
A ricorrere al Cnf è la stessa professionista avverso la decisione del Consiglio distrettuale di disciplina forense che le aveva inflitto la sanzione disciplinare della sospensione di mesi sei.
L'avvocato infatti, all'esito del procedimento disciplinare, era stata ritenuta responsabile di diverse violazioni deontologiche per non aver pagato canone di locazione e spese condominiali per l'uso abitativo di un immobile di proprietà di alcuni signori per un ammontare di oltre 10mila euro.

Il ricorso al Cnf
La professionista respingeva gli addebiti e chiedeva, in via preliminare, la dichiarazione di intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare ritenendo che le condotte contestate fossero inquadrabili come illeciti istantanei e non permanenti, ovvero in subordine, la riduzione della sanzione con una meno afflittiva.
Riteneva, nello specifico, che le pretese creditorie oggetto degli esposti non fossero state accertate giudizialmente e ne sosteneva la relativa intervenuta prescrizione da un punto di vista civilistico, posto che a suo dire non poteva sopravvivere la rilevanza di una condotta sotto il profilo deontologico, quando quello civilistico era prescritto.
Nel merito, precisava che non era stata raggiunta la prova dei fatti addebitati e di aver sempre regolarmente pagato i canoni di locazione dovuti, mentre riguardo alle spese condominiali, a suo dire, non solo non erano mai state richieste prima ma non risultavano neppure quantificate.
Sulla eccessività e sproporzionalità del trattamento sanzionatorio irrogato, da ultimo, la ricorrente censurava la determinazione della sanzione in quanto ritenuta eccessiva e sproporzionata rispetto ai fatti contestati (a suo avviso di scarso spessore e fatui) e che avrebbe causato alla sua età (ndr 60 anni) la chiusura anticipata dell'attività professionale.

Illeciti istantanei o permanenti?
Per il Cnf, tuttavia, la tesi della ricorrente sulla istantaneità degli illeciti e relativa prescrizione è errata.
Anche volendo considerare le condotte contestate come istantanee, premette il Consiglio, alle stesse sarebbe applicabile la disciplina previgente (e dunque l'articolo 51 Rdl n. 1578/1933), in quanto antecedenti alla legge n. 247/2012, restando operante per l'istituto della prescrizione, la cui fonte è legale e non deontologica, il criterio generale dell'irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative (cfr. ex multis Cassazione Sezioni Unite n. 1609/2020).
Ciò posto, ad ogni modo, precisa il Cnf, le condotte ascritte alla professionista sono da considerare più correttamente "degli illeciti permanenti/continuati trattandosi di una pluralità di illeciti omissivi" e non essendo cessata la condotta posta in essere dalla stessa.
L'avvocato infatti non solo non risultava aver saldato i debiti ma neppure era stata in grado di dimostrare gli intervenuti pagamenti pur avendo offerto di farlo. Per cui, posto che "la permanenza cessa solo nel momento dell'adempimento omesso, è chiaro - afferma il Consiglio - che nel caso in esame le condotte della ricorrente sono riconducibili a illeciti permanenti" e l'eccezione di prescrizione è da ritenersi infondata.

La rilevanza deontologica
Quanto alla rilevanza deontologica, rincara il Cnf, nel caso in esame più esponenti hanno evidenziato di aver riposto fiducia nella correttezza e solvibilità della ricorrente proprio in relazione alla sua professione di avvocato.
E la condotta tenuta nella fattispecie è contraria, ritengono senza alcun dubbio dal Consiglio, al precetto di cui all'attuale articolo 64 del Codice deontologico, il quale prevede "l'obbligo di provvedere regolarmente all'adempimento di tutte le obbligazioni assunte nei confronti di terzi senza alcuna limitazione o distinzione tra attività privata e professionale e si traduce in una forte compromissione della credibilità e dell'affidabilità dell'avvocato verso terzi".
Un principio costantemente confermato dalla Cassazione (cfr. SS.UU. n. 19163/2017) la quale ha affermato che "l'onere di natura deontologica, oltre che di natura giuridica è finalizzato a tutelare l'affidamento del terzo nella capacità dell'avvocato al rispetto dei propri doveri professionali e la negativa pubblicità che deriva dall'inadempimento che si riflette non solo sulla reputazione professionale, ma anche sull'immagine della classe forense".
Ne consegue l'evidente infondatezza dell'assunto della professionista secondo cui gli inadempimenti delle obbligazioni verso terzi riferibili ad un ambito privatistico e non professionale non sarebbero connotate di rilevanza deontologica. Anzi, rincarano dal Cnf, "la compromissione della credibilità e dell'affidabilità dell'avvocato verso terzi per costante principio affermato dalla Corte di Cassazione è da considerarsi ancor più grave nel caso in cui il professionista non adempiendo alle obbligazioni assunte giunga a subire sentenze, atti di precetto o di pignoramento poiché in tal modo l'immagine dell'avvocato risulta compromessa agli occhi dei creditori e anche degli operatori del diritto quali giudici ed ufficiali giudiziari".

La dosimetria della sanzione
Sul punto della dosimetria della sanzione, però, la ricorrente ha ragione. Nonostante, infatti, le condotte lesive poste in essere dalla stessa siano plurime, "a fronte del modesto ammontare dei debiti non pagati e tenendo conto della particolare situazione della ricorrente che evidentemente attraversava un periodo di seria difficoltà economica - il Collegio in parziale riforma della decisione emessa dal Cdd - ritiene congrua e conforme alla giurisprudenza domestica una riduzione della sanzione disciplinare da irrogare in due mesi di sospensione dall'esercizio della professione forense".

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