Professione e Mercato

Il Legal-Tech può prevenire il burn-out ed evitare i relativi costi aziendali?

Necessario avvalersi di un consulente esterno che, mappando le esigenze ed i flussi esistenti, comprendendone i perché, riesca a valorizzare i processi interni in funzione dello strumento informatico, anche arricchendoli di "best practice"

di Danijela Radunkovic*

I team legali in-house sono sempre più sotto pressione. Sempre più spesso viene chiesto loro di "fare di più, con meno": con meno costi, con meno risorse, con meno persone, in meno tempo, ma in un contesto sempre più complesso e normato, e con una lista di attività sempre più lunga ed eterogenea.

Il risultato sono dei professionisti sempre più stremati e saturi. A confermare quanto in Italia registriamo empiricamente da un po' di tempo, arriva una recente ricerca di Wakefield Research, che ha coinvolto nel proprio sondaggio 300 in-house counsel negli Stati Uniti, di cui 100 dipendenti di aziende con un fatturato fra $1-25M e 200 di aziende con fatturati sopra i $25M. Ne emerge un quadro a tinte fosche, caratterizzato da una forte sensazione di disingaggio, aggravata dalle condizioni di stress e burn-out.

In particolare, quasi la totalità degli in-house intervistati (il 99%) riporta di aver subito, negli ultimi anni, un aumento dei quesiti legali cui sono chiamati a rispondere, sia sotto il profilo quantitativo, che quello qualitativo, dettato da una maggiore complessità. A questo si aggiunge una percezione di disallineamento delle proprie attività rispetto agli obiettivi del dipartimento legale o dell'azienda nel suo complesso (rispettivamente 94% e 87%), che sfocia, per il 37%, in uno scarso coinvolgimento nelle proprie mansioni.

La disaffezione aumenta anche grazie a una situazione operativa che si fa sempre più soffocante, dove il 41% degli intervistati riconosce di essere chiamato a dedicare troppo tempo ad attività ammnistrative, che ostacolano uno svolgimento efficace delle proprie attività. Un altro 41% individua l'essere sottostaffati come uno dei problemi nevralgici che il team è chiamato a gestire. In questo contesto, non c'è da stupirsi che lo stress sia un denominatore comune per il 78% dei legali in-house, mentre il 47% è in burn-out.

La pandemia ci ha tolto tanto, ma ci ha anche offerto qualche prospettiva in più sul modo di lavorare. Ci ha portati a un confronto con la tecnologia mai vista prima nel contesto lavorativo, soprattutto in quello legale. Infatti, l'automazione digitale della produzione e gestione dei documenti e dei modelli legali accelerano la produzione di contratti e di altra documentazione. I sistemi gestionali consentono ai team in-house di concentrarsi sui contenuti e non solo sulle attività materiali, quali la raccolta di firme.

Alcune (poche!) aziende illuminate stanno cercando di dotarsi si soluzioni tecnologiche idonee a creare delle automazioni e a sgravare le proprie persone dalle attività ripetitive e a basso valore aggiunto, con soluzioni legal-tech rivolte prettamente al "contract lifecycle management", al "matter managemet" e/o alla segreteria societaria.

La logica vorrebbe che questi strumenti portino a maggiore benessere, minore stanchezza, meno lavoro ripetitivo e una maggiore possibilità di concentrarsi su lavori più interessanti e di valore. Il tutto, a sua volta, dovrebbe contribuire a un clima lavorativo più disteso, a un "retention" più alta e, di riflesso, a una gestione migliore dei costi aziendali. O almeno, questo è parzialmente vero.

E' parzialmente vero perché la tecnologia è uno dei tasselli, che, per quanto fondamentale e imprescindibile, necessita degli alti tasselli. Infatti, essa resta sempre sterile senza le persone e, in particolare, senza il mix di competenze che queste persona apportano e trasformano la tecnologia da un qualcosa di freddo e lontano in un vero e proprio collante all'interno dell'azienda. Senza il contributo umano, qualsiasi soluzione tecnologica è destinata a restare lettera morta, un insuccesso, una cattedrale nel deserto.

Il contributo umano ha lo scopo di trovare un punto di equilibrio fra le possibilità tecniche dello strumento e le specifiche esigenze interne di un gruppo di lavoro. Tali esigenze hanno dei denominatori comuni, ma sono sempre specifiche. Tuttavia, la materia è multidisciplinare e il rischio di un approccio sbilanciato rischia di portare all'insuccesso e alla frustrazione.

Ad esempio, quando lo sbilanciamento è prettamente tecnico, sul versante IT, si rischia di rendere lo strumento poco comprensibile ai fruitori finali, viceversa uno sbilanciamento sui temi squisitamente interni del dipartimento rischia di essere incompatibile e caotico risetto ai flussi imposti dall'informatica.

E' necessario, quindi avvalersi di un consulente esterno che, mappando le esigenze ed i flussi esistenti, comprendendone i perché, riesca a valorizzare i processi interni in funzione dello strumento informatico, anche arricchendoli di "best practice".

L'ultimo miglio è efficacemente coperto dai Legal Managed Services, che riescono a fornire un supporto operativo, ma qualificato, nel day-by-day del primo periodo d'uso.

Trattasi di un momento molto delicato in quanto il team è sottoposto a una nuova operatività, che richiede il consolidamento di una serie di nuovi automatismi, dove la tentazione di ricadere nel vecchio e noto modus operandi diviene fortissima e dove i professionisti in-house sono chiamati a portare avanti il "business as usual".

L'esperienza insegna che la gestione di questo momento con dei servizi legali alternativi per il tempo e le attività necessarie, è il tipo di supporto che consente al legal counsel di riuscirei a portare a terra e rendere vivo il nuovo strumento, trasformandolo in una storia di successo.

In questo modo il Legal- Tech può essere uno strumento in grado di ridurre lo stress e prevenire il burn-out, nonché rafforzare il legame fra i legal counsel e l'azienda, aumentandone la "retention". In altre parole, la tecnologia può aiutare a rispondere al nuovo assetto delle priorità degli in-house fotografate da Wakefield Research: l'equilibrio fra la vita lavorativa e quella privata (44%), il benessere mentale (40%), la possibilità di lavorare da remoto (36%), e lo sviluppo professionale (35%).

In conclusione, Il Legal-Tech, quando opportunamente strutturato, può essere essere una soluzione "win-win", sia per l'azienda quanto per il professionista in-house. Un "win" per l'azienda in quanto le consente di capitalizzare le esperienze interne dei propri in-house, di previene i costi della gestione di un licenziamento, della ricerca di una nuova risorsa, di affrontare spese legate alle evoluzioni patologiche portate dello stress (ad esempio, i giorni di permesso o malattia) e le offre l'occasione di migliorare la propria cultura aziendale.

Un "win" anche per il legal in-house cui può consentire di creare un ambiente di lavoro più efficace, di concentrarsi sul lavoro sostanziale, di qualità e a maggior valore aggiunto, anche con modalità di lavoro ibride e da remoto.

In alternativa, non resta che osservare a quando toccherà all'Europa e all'Italia cristallizzare che il 57% dei propri legali in-house sia aperta a nuove soluzioni lavorative e il 39% consideri gli "alternative Legal Services" come una possibile soluzione di carriera, come riporta l'analisi di Wakefield Research per gli Stati Uniti.

*a cura dell' avv. Danijela Radunkovic Business & Legal-Tech Lead in2law , Deloitte Legal Italy

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