Civile

Individuati gli elementi minimi in presenza dei quali una scrittura privata ha valore di testamento

Occorre l'accertamento dell'oggettiva riconoscibilità nella dichiarazione della volontà attuale del suo autore di compiere non già un mero progetto, ma un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo successivo al suo decesso

di Valeria Cianciolo

Ai fini della configurabilità di una scrittura privata come testamento olografo non è sufficiente il riscontro dei requisiti di forma individuati dall'art. 602 cod. civ., occorrendo, altresì, l'accertamento dell'oggettiva riconoscibilità nella scrittura della volontà attuale del suo autore di compiere non già un mero progetto, ma un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo successivo al suo decesso. Tale accertamento, che costituisce un «prius» logico rispetto alla stessa interpretazione della volontà testamentaria, è rimesso al giudice del merito e, se congruamente e logicamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità. Lo ha stabilito la pronuncia della Cassazione 24 settembre 2021 n. 25936.

L'ordinanza della Suprema corte verte sull'individuazione degli elementi minimi in presenza dei quali una dichiarazione può essere qualificata dal punto di vista giuridico come un testamento. In particolare, nel caso di specie i giudici di legittimità si sono trovati davanti a una scrittura privata che presentava tutti i requisiti formali del testamento olografo (art. 602 cod. civ.), ma dalla quale non si poteva ricavare l'esistenza della volontà della de cuius di disporre dei suoi beni per il tempo successivo alla morte.

Il caso.
Secondo la Corte d'appello partenopea, la scrittura proveniente dalla comune madre delle parti in causa, non conteneva disposizioni testamentarie. La sentenza veniva impugnata in cassazione sulla base delle seguenti argomentazioni: nell'interpretazione della scrittura non era stato tenuto in considerazione la reale volontà della defunta e del principio di conservazione del testamento e dei suoi effetti; inoltre, la sentenza veniva censurata poiché la corte d'appello, dopo aver constatato l'esistenza di disposizioni equivoche, avrebbe dovuto circoscrivere la nullità a quelle stesse disposizioni prese in considerazione e ritenendo valide le altre.
La Cassazione ha statuito l'inammissibilità del ricorso ritenendo corretto il giudizio della corte territoriale che, valutando l'esame dello scritto, dal punto di vista formale e sostanziale, l'aveva inteso come "un rendiconto, indirizzato verosimilmente ai figli, come mero progetto relativo al godimento dei beni", quindi, non emergeva alcuna volontà di disporre delle proprie sostanze. Non pertinente neppure il richiamo al principio di conservazione della volontà testamentaria perché tale principio opera laddove una determinata scrittura contiene una disposizione di ultima volontà.

Le questioni.
Il quesito posto all'attenzione della Suprema Corte concerne gli elementi che tipizzano una scrittura con valore di un testamento. La dichiarazione privata della de cuius presentava nel caso concreto, i requisiti formali del testamento olografo (art. 602 cod. civ.) e un contenuto che, almeno in astratto, poteva adattarsi a un testamento, riguardando atti di disposizione del patrimonio della defunta. Ciononostante, dalla scheda non emergeva chiaramente che la de cuius avesse inteso manifestare una vera volontà di testare. In considerazione di ciò, si tratta evidentemente di stabilire come debba caratterizzarsi la volontà testamentaria e quali siano i criteri idonei a guidare l'interprete per riscontrare la presenza della stessa nella dichiarazione del defunto.
Occorre partire dalla nozione di testamento che trova espressione nell'art. 587, co. 1, cod. civ. che definisce il testamento come "l'atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse". Secondo la dottrina maggioritaria, il testamento è un negozio giuridico che si presenta come un atto di ultima volontà, unilaterale, unipersonale, revocabile, non recettizio, formale e a contenuto essenzialmente patrimoniale (Azzariti, voce «Successione testamentaria», in Noviss. Digesto it., XVIII, 1971, 805 ss.; Bigliazzi Geri, La vocazione testamentaria, nel Trattato Rescigno, II, Utet, 1997). Ci possiamo, allora, domandare quale siano gli elementi minimi della fattispecie testamentaria, desumibili dalla disciplina codicistica.
Afferma l'ordinanza in esame: "La Corte d'appello, nell'esame del documento oggetto di causa, è partita da una nozione del testamento in linea con tali principi; quindi ha evidenziato che, non essendo state riproposte le istanze di prova orale non ammesse dal primo giudice, erano rimaste prive di riscontro le considerazioni, proposte sul comportamento della de cuius prima della morte, volte a sostenere il carattere testamentario dello scritto".
Il corretto inquadramento della questione presuppone che si abbia chiara la distinzione fra l'interpretazione e la qualificazione delle disposizioni come testamentarie. Se si guardano le caratteristiche intrinseche del negozio testamentario, nessun dubbio può sorgere circa la necessità, ai fini della qualificazione di un atto come testamento, dell'esistenza di una volontà nell'autore della dichiarazione di pianificare i propri interessi per il tempo successivo alla morte. Ma non è sempre agevole stabilire quando una dichiarazione esprima senz'altro una volontà testamentaria. Sia in dottrina che in giurisprudenza si è tentato di risolvere il problema di tale accertamento attraverso il richiamo al principio del favor testamenti ovvero alla tendenza, ormai consolidata, nella prassi e nella dottrina, in special modo con riferimento al testamento olografo, verso il superamento del formalismo, così da valorizzare il più possibile il testamento quale mezzo di espressione dell'autonomia privata.

Spesso il testamento contiene frasi che non fanno riferimento alla successione, e non si rivelano, immediatamente comprensibili: "diviene indispensabile l'interpretazione attenta della volontà mortis causa". (Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati nel testamento, in Tratt. dir. delle successioni e donazioni, dir. da G. Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano, s. d., ma 2009, 240 ss.). Il testamento come ogni altro negozio, deve essere interpretato per capire il vero significato delle espressioni, non di rado ambigue, utilizzate dall'ereditando. Alcune norme del Libro II del Codice civile, hanno una veste interpretativa – ad esempio, l'art. 588 cod. civ., concernente la distinzione fra le disposizioni a titolo universale e a titolo particolare, o quella racchiusa nell'art. 625 cod. civ., riguardante l'erronea indicazione dell'erede o del legatario -, ma non esiste un insieme di norme regolanti l'interpretazione del testamento, differentemente a differenza di quanto previsto in tema di contratto, dagli artt. 1362 - 1371 cod. civ.
E' noto che l'interprete deve accertare, in conformità ai criteri enunciati dall'art. 1362 cod. civ., applicabili, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l'effettiva volontà del testatore, valutando congiuntamente l'elemento letterale e quello logico e in omaggio al canone di conservazione del testamento. L'interpretazione del testamento postula però, l'esistenza di una volontà di disporre post mortem, senza la quale non potrebbe parlarsi di testamento e, dunque, verrebbe meno l'oggetto stesso dell'attività interpretativa (Greco, Progetto di testamento, minuta di testamento, testamento olografo. Cenni per la distinzione, in Giur. compl. Cass. civ., 1953, V, 716 ss.): il che pare scontato, ma sul piano pratico presenta delle difficoltà.

Come accennato, la dichiarazione del de cuius in genere, è generica, ambigua, atecnica: ne discende l'impossibilità di desumere in modo certo una volontà di disporre dei propri beni per il tempo successivo alla morte. Il lavoro dell'interprete si fa delicato, specie se la dichiarazione è contenuta in un documento che normalmente non è una scheda testamentaria. E' il caso del testamento epistolare che "ha senso solo dal punto di vista sociale" (Pugliatti, Testamento epistolare e volontà testamentaria, in Temi, 1948, 302) e dove le ultime volontà non rimangono celate, ma vengono rivelate e, addirittura, affidate alle cure del destinatario. Probabilmente, la scheda testamentaria sottoposta all'esame dei giudici partenopei conteneva una raccomandazione: in questo caso, è necessario preliminarmente stabilire se la disposizione sia tale e allora in questo caso, non è vincolante ovvero se essa contenga un obbligo giuridicamente rilevante e, in quest'ultimo caso, procedere alla sua qualificazione.

La decisione
A quanto pare, la Corte d'Appello ha ritenuto la scrittura privata non come una scheda testamentaria, ma come una scheda che conteneva dei conteggi sulla base dei quali dovevano essere fatte ex post gli apporzionamenti fra i chiamati all'eredità. Non si tratta dunque di una clausola testamentaria sottoposta a un onere, ma di un'indicazione. Appunto di una raccomandazione che in quanto tale non è coercibile, ma la cui esecuzione è rimessa al prudente apprezzamento dei chiamati stessi. Alla stessa conclusione si arriva se si considera la scrittura come un progetto divisionale: è pacifico, infatti, che non sia ammissibile la salvaguardia di una volontà che potrebbe essere manchevole, così come in un progetto di testamento (Bonilini, Autonomia negoziale e diritto ereditario, in Riv. not., 2000, 805). D'altro canto, i diritti successori presentano caratteristiche peculiari, poiché l'attribuzione avviene anche ed essenzialmente in vista della realizzazione dell'interesse (non patrimoniale) del disponente alla prosecuzione, in capo ai successori da lui designati, delle situazioni di cui è titolare in vita.
In buona sostanza, è permesso al testatore di indirizzare le attribuzioni, sulla base delle finalità che intende in concreto realizzare, attraverso l'impiego di congegni per l'attuazione di un motivo personale, intimo rimettendosi comunque, al sentire morale dei destinatari. Sia d'esempio, un caso sottoposto alla giurisprudenza e risalente al 1998 che ha affermato che qualora il testatore esprima nel testamento delle indicazioni relative alla destinazione di denari e di titoli di sua proprietà per il mantenimento del figlio interdetto precisando che quei beni devono servire alla moglie, ma senza nulla dire in merito al mantenimento del figlio, anziché un vero e proprio onere si può ravvisare una semplice raccomandazione fatta dal testatore, nell'interesse dell'interdetto, e affidata alla coscienza della tutrice (la moglie), costituente perciò un mero dovere morale non coercibile. (Tribunale Orvieto, 11 febbraio 1998, in Rass. Giur. Umbra, 2000, 380).

E fin qui il problema interpretativo.Conseguentemente, gli elementi extra-testuali assumono diversa valenza: possono considerarsi mezzi di prova liberamente utilizzabili oppure ausili interpretativi (e non oggetto di interpretazione), che permettono di chiarire una volontà già manifestamente accertata come tale. In questo secondo senso, gli elementi estranei al testamento, quali indizi che ne possano facilitare l'interpretazione, dovrebbe essere limitato ai soli casi che presentino un collegamento con il testo. Nel caso in esame, le prove orali non sono state ammesse dal primo Giudice e non ripresentate in appello. Dunque, nessun ausilio era rimesso alla Corte se non la stretta interpretazione della scrittura in sé dalla quale non era possibile evincere alcuna volontà di testare da parte della de cuius.

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