Penale

L'odontoiatra che usa radiazioni ionizzanti senza stretto legame con un intervento impiantologico commette reato

La radiodiagnostica complementare all'intervento è legittima se contestuale, integrata e indilazionabile

di Paola Rossi

Condannato l'odontoiatra che sottopone 25 pazienti a radiazioni ionizzanti "Cone beam" senza addivenire per ben 12 di loro ad alcun intervento successivo. L'utilizzo dello strumento radiografico da parte del medico (che non assurge a laboratorio di analisi a tali esami autorizzato verso terzi) fa sì che si rientri nel campo della diagnostica complementare a un intervento. E va precisato che tale diagnostica complementare trova la propria giustificazione se è un asuilio diretto al chirurgo o all'odontoiatria nell'espletamento della prestazione medica principale, cioè l'intervento.

I criteri della diagnostica complementare
Perché l'impiego di strumenti diagnostici complementari all'intervento sia legttimo è necessario che si tratti di attività contestuali, integrate e indilazionabili rispetto alla prestazione medico-chirurgica principale.

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 36820/2022, ha respinto il ricorso del medico condannato in quanto dei tre criteri egli era riuscito a dimostrare la sussistenza solo di quello dell'integrazione con un intervento impiantologico susseguente, poi però di fatto non realizzatosi per la metà dei propri pazienti.

La norma
Il profilo di illegittimità della condotta del medico e della sua rilevanza penale deriva dall'articolo 14, comma 1, del Dlgs 187 /2000. La Cassazione chiarisce che tale norma una volta abrogata è di fatto riprodotta integralmente nel suo significato e per le conseguenze che determina a carico dei medici dall'articolo 213, comma 1, del Dlgs 101/2020. Di fatto determinando una assoluta identica fattispecie di reato senza alcuna soluzione di continuità.

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