Famiglia

Interdizione per il soggetto affetto da sindrome di Down con oligofrenia di grado medio elevato

Dall'esame dell'interdicendo per il tribunale di Aosta è emerso che il soggetto non fosse in grado di orientarsi nella realtà

di Valeria Cianciolo

L'amministrazione di sostegno è l'istituto di elezione per la tutela della persona inferma o menomata e dei suoi interessi, mentre solo ove tale misura si riveli inadeguata alla concreta situazione, per la complessità dell'attività da gestire o per impedire al soggetto di compiere atti pregiudizievoli per sé anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione o in ogni altra ipotesi in cui si pone un'analoga esigenza, potrebbe farsi luogo alla misura più radicale della interdizione.

 

Il caso

Dall'esame dell'interdicendo, affetto da "Sindrome di Down con oligofrenia di grado medio elevato e grave balbuzie", è emerso come il medesimo non fosse in grado di orientarsi nella realtà, non riuscendo a rispondere alle domande formulate e non fosse in grado di accudire a sé stesso né di svolgere autonomamente le comuni attività della vita quotidiana e di relazione. Trovandosi in condizione di abituale infermità di mente, il Tribunale di Aosta con la sentenza 3 febbraio 2021 ha ritenuto che fosse da giustificare una pronuncia di interdizione.

E’ ormai assodato dalla giurisprudenza che la sfera di applicazione dell’amministrazione di sostegno vada individuata con riguardo non già al diverso e meno intenso grado di infermità o di impossibilità di provvedere ai propri interessi da parte del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle concrete esigenze del soggetto medesimo. Si tratta di un criterio che sicuramente risulta di una certa efficacia in molte situazioni, ma non del tutto appagante, perché non pochi dubbi vi sono sul quando e sul come attuare l’interdizione che pur con le sue rigidità, potrebbe essere l’unico strumento in grado di proteggere convenientemente gli interessi dell’infermo. Ma quanto ne siamo certi?

La questione

L'amministrazione di sostegno, introdotta nell'ordinamento dalla legge 9 gennaio 2004 n. 6, ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire. In questo si distingue dall’ interdizione e dall’ inabilitazione, che non sono stati abrogati, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la riforma degli articoli 414 e 417 del codice civile.

L’ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilita di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene all'apprezzamento del Giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento (Cassazione 26 ottobre 2011, n. 22332, in Banca Dati Pluris On Line).

Lo scopo della misura prevista dalla legge n. 6 del 2004 è quella di dare a chi si trovi nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minore misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, proprio in virtù di tale specifica funzione, dagli altri istituti previsti a tutela degl'incapaci, che si è ricordato più sopra. (cfr. Cassazione 11 settembre 2015, n. 17962 e Cassazione 26 ottobre 2011, n. 22332, in Banca Dati Pluris On Line): il giudice chiamato a pronunciarsi sulla pronuncia di interdizione o di inabilitazione ovvero per la revoca delle misure in essere, oltre a valutare le condizioni psico-fisiche della persona deve considerare l’adeguatezza della misura proposta in relazione alle esigenze di tutela della stessa persona inferma di mente (art. 414 c.c., come novellato dall’articolo 4 della legge n. 6/2004). Ciò è stato ribadito dalla pronuncia della Corte costituzionale con la pronuncia n. 440 del 9 dicembre 2005, richiamata dalla sentenza in commento, nella quale si esplicita che la complessiva disciplina inserita dalla legge n. 6 del 2004 sulle preesistenti norme del codice civile affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie, e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità.

La giurisprudenza di legittimità (Cassazione 12 giugno 2006, n. 13584, in Banca Dati Pluris On Line) precisa che la disabilità non costituisce un elemento discriminante tra la misura dell’amministrazione di sostegno e l’interdizione e l’inabilitazione, in quanto, al giudice di merito spetta attraverso un’analisi della condizione del beneficiario, stabilire quale sia la migliore misura, per la tutela e per il sostegno della persona.

Quale criterio che guidi il giudice nel valutare se l’interdizione giudiziale si presenti come l’unica necessaria, alla luce dell’articolo 414 del Cc, o se la più adeguata protezione dell’infermo possa concretamente realizzarsi attraverso l’amministrazione di sostegno, si è proposta la consistenza e la complessità del patrimonio dell’interessato. (Cassazione, sezione I, 26 luglio 2013, n. 18171: “Non è viziata la decisione del giudice del merito che, nel prudente apprezzamento delle circostanze, abbia dichiarato l’interdizione di un soggetto, in luogo che applicare la disciplina dell’amministrazione di sostegno, avendo escluso la possibilità di operare una distinzione tra le attività da limitare ed affidare ad un terzo e quelle realizzabili dal soggetto, in ragione della peculiare situazione anagrafica e fisio-psichica del medesimo (nella specie, ultranovantacinquenne), valutata in correlazione con la complessità delle decisioni anche quotidiane imposte dall’ampiezza, consistenza e natura composita del suo patrimonio caratterizzato anche da rilevanti partecipazioni azionarie”.)

Si è sposata dunque, da una parte di giurisprudenza (ne è prova la Cassazione n. 18171 del 2013 sopra citata) questa linea di demarcazione patrimonialistica che esclude, nell’assenza di un patrimonio da gestire, l’interdizione giudiziale, essendo proporzionato, appunto, per siffatte necessità, il mezzo dell’amministrazione di sostegno. Ma è un criterio corretto? Possono sempre nominarsi due amministratori: uno che cura il profilo personale del beneficiario ed un altro quello economico.

La proposta di considerare la consistenza e la complessità del patrimonio del soggetto incapace, e di propendere, quindi, per la sua interdizione giudiziale, quando concorra l’assoluta gravità e abitualità dell’infermità, è insoddisfacente e certamente non spiegherebbe la scelta fatta dal Tribunale di Aosta che ha valutato l’interdizione giudiziale senza fare alcuna valutazione in merito al patrimonio dell’interdicendo.

Vi sono però altre decisioni giudiziali che hanno ritenuto che l’amministratore di sostegno non può integralmente sostituirsi al beneficiario: se la persona da assistere non abbia alcuna capacità residua, deve ricorrersi allo strumento dell’interdizione giudiziale, non potendo trovare applicazione l’istituto dell’amministrazione di sostegno, che potrebbe assicurare assistenza, solo per singoli e specifici atti. Si è sostenuto, inoltre, che l’amministrazione di sostegno è misura ordinaria da adottare a tutela dei soggetti con un deficit psichico di grado lieve, o con menomazioni fisiche o psichiche tali da impedire loro un’ottimale cura dei proprî interessi, specie se la persona non abbia patrimonio immobiliare. In altri termini, l’interdizione è quella misura che se pur residuale, deve essere adottata al fine di tutelare la persona priva di ogni freno inibitorio e di capacità critica, con danno per sè stessa e per i terzi.

E’ un panorama variegato quello che si prospetta sul tema. Ad esempio, nel 2018 la Suprema Corte (Cassazione, ordinanza 7 marzo 2018, n. 5492) ha affermato che atteso che la prodigalità configura autonoma causa d’inabilitazione, ai sensi dell’art. 415, comma 2, cod. civ., indipendentemente da una sua derivazione da specifica malattia o comunque infermità, può adottarsi la misura di protezione dell’amministrazione di sostegno, nell’interesse del beneficiario, anche in presenza dei presupposti di interdizione o di inabilitazione e dunque anche quando ricorra tale condizione.” E’ la stessa legge che collega l’inabilitazione alla ricorrenza di un pregiudizio economico per il soggetto o per la sua famiglia. Se ne dovrebbe dedurre, dunque, che l’individuo, per quanto prodigo o dipendente dal consumo d’alcool o stupefacenti, in assenza della prospettiva d’indigenza, non possa essere inabilitato, a meno che non risulti affetto da una menomazione psichica.

Forse, la cosa dovrebbe guardarsi da un’altra angolazione: il dissipare il patrimonio dovrebbe essere causa di amministrazione di sostegno perché alla perdita del patrimonio e all’indigenza consegue la perdita della propria autonomia. Come nel caso dei ludopatici.

La novella del 2004 ha il merito di aver avviato in maniera compiuta, nel nostro ordinamento, un nuovo movimento culturale nell’area della tutela legale offerta alle persone prive di autonomia, proponendone una definizione radicalmente trasformata, che, abbandonata quella di infermo, ne abbraccia una assai ampia: quella di soggetto in tutto o in parte privo di autonomia, ossia, di un soggetto “fragile”, anche se si auspica da tempo una riforma legislativa finalizzata al rafforzamento dell’amministrazione di sostegno e all’abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione.

E le poche cose dette fin qui ne sono prova.

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