Civile

Notai sempre responsabili dell'identità dei contraenti, non basta il controllo dei documenti

Per la Cassazione, ordinanza 15490/2023 la legge professionale impone al notaio di essere certo della identità personale delle parti

di Francesco Machina Grifeo

Scatta la responsabilità professionale del notaio per aver dato seguito ad una compravendita immobiliare ed alla stipula del relativo mutuo senza accorgersi che le generalità delle parti sedute al tavolo in realtà non erano quella riportate nei documenti che erano stati contraffatti, così come le firme in calce alla procura speciale a vendere. Per la Cassazione, ordinanza 15490/2023 che ha respinto il ricorso di uno dei due professionisti coinvolti (l'altro è deceduto nelle more del giudizio), la semplice verifica dei documento n on è sufficiente a tenere indenne il notaio da responsabilità.

In primo grado, il Tribunale di Roma con sentenza non definitiva (n. 25330/2009) aveva dichiarato la falsità delle sottoscrizioni apposte sulla procura a vendere, sull'atto di compravendita e sul mutuo ipotecario; successivamente, con la sentenza che ha definito il giudizio, ha dichiarato la nullità dell'atto di compravendita immobiliare, ha ordinato la cancellazione della relativa trascrizione, ha dichiarato la nullità dell'atto di mutuo ipotecario, e infine ha ordinato la cancellazione dell'iscrizione ipotecaria. Proposto ricorso, la Corte d'appello l'ha rigettato.

A seguito di un nuovo ricorso da parte del notaio sopravvissuto che sosteneva l'assenza di responsabilità, per avere prima dei rogiti esaminato vari di documenti: carta di identità, patente e passaporto; la Suprema corte con la decisione odierna ha ribadito che il notaio, contrariamente a quanto richiesto dalla legge professionale, non ha accertato l'identità personale delle parti con la diligenza dovuta.

Per la giurisprudenza di legittimità, prosegue la decisione, «[l]'art. 49 della l. notarile (nel testo fissato dall'art. 1 della l. n. 333 del 1976) secondo il quale il notaio deve essere certo della identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento dell'attestazione, con la valutazione di "tutti gli elementi" atti a formare il suo convincimento, contemplando, in caso contrario, il ricorso a due fidefacienti da lui conosciuti, va interpretato nel senso che il professionista, nell'attestare l'identità personale delle parti, deve trovarsi in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identità, conseguibile, senza la necessaria pregressa conoscenza personale delle parti stesse, attraverso le regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento, anche di natura presuntiva, purché, in quest'ultimo caso, si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti".

Mentre nella fattispecie concreta, secondo quanto accertato in appello, "il notaio ha identificato le parti sulla base delle carte di identità (successivamente risultate non autentiche), che ha fotocopiato, dell'esistenza di una procura speciale a vendere (la cui sottoscrizione poi è risultata apocrifa) e facendo affidamento sulla presenza all'atto dei funzionari bancari e di intermediazione con i quali le parti avevano intrattenuto pregressi rapporti". In tal modo però non ha assolto all'obbligo di adeguata diligenza professionale sancito dall'articolo 49 della legge notarile "poiché la sua certezza soggettiva della identità delle parti, raggiunta al momento dell'attestazione, non è stata conseguita attraverso elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti". Tanto più che - chiosa la sentenza della Corte d'appello a cui si rifà la Suprema corte – "la semplice richiesta alle parti di mostrare un certificato anagrafico avrebbe consentito al notaio di accorgersi della falsità dei documenti d'identità esibiti dai contraenti in considerazione della discordanza, ad esempio, tra il numero di iscrizione all'anagrafe comunale riportato sulla carta di identità (falsa) di Perrotta e quello recato dalla certificazione anagrafica (autentica)".

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