Penale

Va alla Consulta il trattamento sanzionatorio per illeciti non lievi sulle droghe pesanti

di Giuseppe Amato

La Cassazione ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 73, comma 1, del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309, per contrasto con gli articoli 25, 3 e 27 della Costituzione, in relazione al trattamento sanzionatorio “minimo” previsto per le droghe “pesanti”, a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della stessa Corte costituzionale.

L'inquadramento - La questione si collega alla notissima decisione con cui la Corte costituzionale «ha dichiarato l'illegittimità costituzionale – per violazione dell'articolo 77, comma 2, della Costituzione, che regola la procedura di conversione dei decreti-legge – degli articoli 4-bis e 4-vicies ter del decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272, come convertito con modificazioni dall'articolo 1 della legge 21 febbraio 2006 n. 49, così rimuovendo le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del Dpr 9 ottobre 1990, n. 309» (sentenza 12 febbraio-25 febbraio 2014 n. 32).

A seguito della dichiarazione di incostituzionalità, come del resto precisato dalla stessa Corte costituzionale in parte motiva, è tornata nuovamente vigente la disciplina dei reati sugli stupefacenti contenuta nel Dpr n. 309 del 1990, nella versione precedente alla novella del 2006 (nel testo cioè introdotto dalla legge Vassalli-Iervolino).

Per l'effetto, per le droghe “pesanti” il ritorno alla previgente disciplina del 1990 si risolve in un aggravamento sanzionatorio quanto alla pena della reclusione: la legge Fini-Giovanardi aveva rideterminato la pena stabilita nel comma 1 dell'articolo 73 stabilendo nella misura da «sei a venti anni di reclusione», mentre, ora, si torna alla pena della reclusione da «otto a venti anni».
Al contrario, per le droghe “leggere”, il trattamento sanzionatorio è più favorevole, essendo prevista, nel preesistente comma 4 dell'articolo 73, “riattivato” dalla sentenza costituzionale, una pena detentiva «da due a sei anni di reclusione» notevolmente inferiore a quella introdotta (con l'omologato regime penale di droghe “pesanti” e “leggere”) dall'articolo 73 nel testo della Fini-Giovanardi.

Il dubbio della Corte remittente - La Cassazione qui dubita della costituzionalità del minimo edittale di otto anni di reclusione, per le droghe “pesanti”, siccome in (asserito) contrasto con plurimi parametri di costituzionalità.
In primo luogo, con l'articolo 25, comma 2, laddove sancisce il principio di riserva di legge in materia penale. Si sostiene che l'esercizio della funzione legislativa a opera della giustizia costituzionale incontra il limite della riserva di legge in materia penale e, quindi, del principio affermato nella richiamata disposizione costituzionale secondo il quale gli interventi in materia penale tesi ad ampliare l'area di un'incriminazione ovvero a inasprirne le sanzioni possono essere legittimamente compiuti soltanto a opera del legislatore parlamentare.
La sentenza n. 32 del 2014 avrebbe in sostanza violato questo parametro di costituzionalità, reintroducendo la disciplina sanzionatoria (in malam partem) relativa al trattamento delle droghe “pesanti” anteriore alla legge Fini-Giovanardi.
La reintrodotta disciplina sanzionatoria relativa al minimo edittale per le droghe “pesanti”, inoltre, sarebbe incostituzionale pure per difetto di ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione), e ciò viene desunto non solo dal raffronto con la pena prevista per le ipotesi “lievi” di cui al comma 5 dell'articolo 73 del Dpr n. 309 del 1990, ma anche con quella comminata dal comma 4 dello stesso articolo per le droghe “leggere”. L'irragionevolezza sarebbe dimostrata anche dal novum normativo introdotto dal legislatore del 2014 che, nel riformulare il comma 5 dell'articolo 73 (dapprima con la legge 21 febbraio 2014 n. 10, di conversione del decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146, poi con la legge 16 maggio 2014 n. 79, di conversione del decreto legge 20 marzo 2014 n. 36), ha previsto una disciplina unitaria per le condotte di lieve entità aventi a oggetto sia le droghe “pesanti” che quelle “leggere”.

Ulteriore vizio di costituzionalità viene poi ravvisato rispetto al principio di proporzionalità, con riferimento alle situazioni che, pur non consentendo l'inquadramento nel paradigma dell'ipotesi attenuata di cui al comma 5 dell'articolo 73, non si presentino di rilevante gravità, rispetto alle quali il giudice sarebbe pur sempre “costretto” a infliggere pene di entità eccessiva.

Le aspettative - La Corte remittente evoca la possibilità che la Corte costituzionale, con la declaratoria di incostituzionalità, coltivi la soluzione obbligata di ripristinare - per la pena detentiva - il minimo di sei anni previsto dalla legge Fini-Giovanardi pur se dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 32 del 2014. Mentre, si sostiene, nessuna conseguenza dovrebbe essere tratta per la pena pecuniaria, giacché, per effetto della declaratoria di incostituzionalità, ne è derivata la riduzione nel minimo edittale da 26.000 a 25.822 euro.
In definitiva, a quanto è dato capire, il giudice remittente confida in un intervento caducatorio della Corte costituzionale che conduca a un nuovo assetto sanzionatorio frutto di una combinazione tra quanto previsto dalla legge Fini- Giovanardi del 2006 (per la pena pecuniaria) e quanto previsto dalla legge precedente Vassalli-Iervolino (quanto alla pena detentiva).

La prognosi decisoria - A prima lettura, vi è lo spazio per qualche riflessione, anche di ordine sistematico, sugli effetti pratici che deriverebbero dall'accoglimento della questione di costituzionalità, e può focalizzarsi l'attenzione sui profili che - ci sembra - dovrebbero condurre la Corte costituzionale a non condividere i dubbi di costituzionalità.

Sotto il primo profilo, senza voler esserne condizionati quanto all'apprezzamento del merito della censura, non è revocabile in dubbio che l'accoglimento della questione avrebbe effetti pesantissimi sui processi in corso, perché si imporrebbe una rinnovata valutazione del trattamento sanzionatorio: anche laddove ci si trovasse, in Cassazione, di fronte a un'impugnazione inammissibile sarebbe imposto un annullamento con rinvio, per una rinnovata valutazione sul trattamento sanzionatorio (si vedano sezioni Unite, 26 giugno 2015, Della Fazia, nonché, sezioni Unite, 26 febbraio 2015, Jazouli).

È una considerazione di fatto, ovviamente irrilevante ai fini della soluzione della questione, da cui però non si può prescindere quando si voglia avere attenzione alla condizione di estremo disagio in cui versano gli uffici giudiziari, soprattutto quelli di secondo grado e la stessa Corte di legittimità.

Le ragioni che dovrebbero militare per un non accoglimento - Venendo invece ai profili di costituzionalità, l'impressione è che si tratti di questione che potrebbe non trovare accoglimento per una serie di convergenti ragioni.

In primo luogo, è difficilmente sostenibile l'assunto secondo cui sia stata la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 ad avere violato il disposto dell'articolo 25, comma 2, del Costituzione, per avere introdotto una disciplina sanzionatoria in malam partem che non ha trovato la propria fonte nella determinazione del legislatore parlamentare.
In realtà, la sanzione prevista per il reato di cui all'articolo 73, comma 1, è stata introdotta dal legislatore, con la legge Vassalli-Iervolino: la Corte si è limitata a “far rivivere” tale disposizione, solo perché ha dichiarato incostituzionale, per ragioni formali, la legge del 2006. L'effetto sanzionatorio che ne è derivato è stata la inevitabile conseguenza della decisione della Corte, il cui contenuto era del resto obbligato: una volta “caduta” la legge del 2006, non poteva non rivivere quella precedente; mentre sarebbe stato arbitrario pretendere che la Corte costituzionale intervenisse sulla disciplina tornata in vigore - come oggi preteso dalla Cassazione - rimodulando la disciplina sanzionatoria attraverso - paradossalmente - il recupero parziale in parte qua (ergo, solo relativamente al minimo edittale della pena detentiva prevista per le droghe “pesanti”) della disciplina appena dichiarata incostituzionale.

Non va poi dimenticato che il regime attuale delle sostanze stupefacenti è comunque passato al vaglio del legislatore che è ampiamente intervenuto nel 2014 - tra l'altro anche sul trattamento sanzionatorio, attraverso una rimodulazione del “fatto di lieve entità” - ma senza essersi in alcun modo interessato della pena prevista dal comma 1 dell'articolo 73, così indirettamente “accettando” gli esiti della declaratoria di incostituzionalità prodotta dalla sentenza n. 32 del 2014.
Non è anzi da trascurare che, proprio l'intervento normativo successivo alla sentenza n. 32 del 2014, in particolare quello realizzato con il decreto legge n. 36 del 2014, convertito dalla legge n. 79 del 2014, attesta della scelta del legislatore di confermare la suddivisione tabellare delle sostanze vietate, distinguendo tra droghe “pesanti” [tabelle I e III] e droghe “leggere” [tabelle II e IV], con la conseguente configurabilità di due distinti reati (previsti, rispettivamente, dai commi 1 e 4, dell'articolo 73 del Dpr n. 309 del 1990): questa scelta non è stata accompagnata da alcuna modifica del trattamento sanzionatorio (come invece si è fatto per l'ipotesi attenuata del comma 5 dell'articolo 73), dimostrando, almeno implicitamente, l'intenzione del legislatore di assicurare una diversificazione sanzionatoria tra droghe “pesanti” e droghe “leggere” e, soprattutto, di condividere l'evidente diversità dei limiti edittali minimi e massimi previsti.

A supporto della fondatezza della questione, sotto il profilo del rispetto del principio di ragionevolezza, neppure potrebbe valere l'attuale disciplina del “fatto lieve” di cui al comma 5 dell'articolo 73, che, con i plurimi interventi normativi del 2014 (da ultimo con il decreto legge n. 36, convertito dalla legge n. 79), vede un trattamento sanzionatorio identico per le droghe “pesanti” e per quelle “leggere”: è situazione di cui si poteva dubitare della ragionevolezza, ma proprio la Corte costituzionale, con la sentenza n. 23 del 2016, ha escluso qualsivoglia profilo di incostituzionalità, evidenziando tra l'altro che, proprio la costruzione del fatto lieve come reato autonomo, ha dimostrato l'insussistenza di alcuna esigenza che avrebbe dovuto portare a mantenere una simmetria sanzionatoria tra fatti di lieve entità e quelli non lievi.
Ergo, proprio la Corte costituzionale ha confermato la legittimità della scelta sanzionatoria vigente, sia relativa ai fatti lievi, sia relativa ai fatti non lievi.

A ciò si deve aggiungere un ulteriore considerazione, relativa alla pretesa della Corte remittente in ordine alla decisione che si auspica venga adottata dalla Corte costituzionale. Se ne è già accennato: il giudice delle leggi, a quando è dato capire, dovrebbe “reintrodurre” o, meglio, costruire ex novo un trattamento sanzionatorio del tutto arbitrario, perché frutto, quanto alla pena detentiva, della normativa del 1990, e, quanto alla pena pecuniaria, della legge Fini-Giovanardi, pur già dichiarata incostituzionale. È pur vero che si tratterebbe di «grandezze già rinvenibili nell'ordinamento», ma non sembra dubitabile che la Corte costituzionale sembra richiesta di un compito che non le è proprio, pacificamente: quello di realizzare comunque un intervento additivo in materia penale, ma in assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate.

In definitiva, il sistema attuale non è irragionevole, e se deve essere cambiato, il compito è esclusivamente del legislatore.
Per ora, al giudice resta la possibilità (doverosità) di muoversi, sotto il profilo sanzionatorio, nel range di pena attualmente vigente ed è in questa prospettiva che può e deve trovare la sanzione adeguata (anche) per i fatti non lievi (ossia non inquadrabili nel paradigma del comma 5 dell'articolo 73), che tuttavia non si presentino, per ragioni oggettive o soggettive, di particolare gravità.

Corte di cassazione - Sezione VI penale - Ordinanza 12 gennaio 2017 n. 1418

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©