Penale

Autoriciclaggio per chi ruba gioielli e li vende al compra-oro

La vendita di beni provento di un furto deve essere inquadrata in "attività economica" idonea a integrare la condotta di autoriciclaggio

di Giampaolo Piagnerelli

Portare al compra-oro gioielli rubati per vederli trasformati in denaro integra una condotta di autoriciclaggio, in quanto il soggetto, compiendo un'attività economica (la vendita dei beni) ostacola l'identificazione della loro provenienza delittuosa (ex articolo 648-ter del cp). Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 36180/21.

I fatti
Il tribunale per il riesame delle misure cautelari di Brescia confermava l'ordinanza che aveva applicato alla ricorrente la misura cautelare in carcere, escludendo, tuttavia, la gravità indiziaria per il delitto di autoriciclaggio. Si contestava all'imputato di aver venduto a un compra-oro gioielli rubati ricavandone il prezzo dopo che i monili erano stati fusi. Secondo il tribunale la vendita di gioielli rubati non poteva integrare la condotta di autoriciclaggio. La decisione veniva impugnata dalla Pretura in Cassazione. Quest'ultima ha puntualizzato che la vendita di beni provento di un furto deve essere inquadrata in "attività economica" idonea a integrare la condotta di autoriciclaggio. Infatti tale attività - successiva alla condotta illecita furtiva – è funzionale alla dissimulazione della provenienza illecita dei beni in quanto l'immissione nel mercato degli stessi, attraverso la compravendita ostacola concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa (ex articolo 648-ter cp). La vendita trasforma i beni in denaro integrando sicuramente un'attività "economica" produttrice di reddito. Ritiene, pertanto, la Corte che l'immissione in commercio di beni provento di furto attraverso la vendita integri un'attività economica e dunque ove posta in essere dall'autore del furto, la stessa è idonea a configurare la condotta di autoriciclaggio come previsto dal codice penale.

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