Comunitario e Internazionale

I diritti violati delle donne afgane: dal Ministero delle donne al Ministero della prevenzione del Vizio

di Fabio Marco Fabbri, Rosita Ponticiello*

In venti anni la donna aveva lentamente, ma progressivamente, acquisito diritti, realizzato modesti sogni, programmato un futuro a medio termine, ma dopo poche ore dalla conquista di Kabul i nuovi padroni dell'Afganistan hanno annichilito ogni speranza e prospettiva annientando i progressi compiuti. 

La cultura, sotto ogni sua forma, sulla quale molte ragazze si erano gettate come segno di ricrescita, è diventata interdetta, il lavoro è ormai vietato, ma l'aspetto forse più drammatico è la costrizione a contrarre matrimonio, dal menarca in poi (Al Bukari, raccolta hadith), con qualsiasi uomo gli venga imposto.  Inoltre dopo la repentina fase di "assestamento sociale", per le donne è sorta anche la concreta possibilità di essere uccise a causa della loro resistenza.

Potremmo affermare che la storia si ripete? Sicuramente sì.

Quando i talebani hanno governato questo Paese, tra il 1996 e il 2001, hanno imposto la loro versione, molto soggettiva, della legge islamica, della sharia: interdizione al lavoro e allo studio, obbligo di indossare il burqa in pubblico, divieto di uscire di casa se non accompagnati da un mahram, un accompagnatore maschio della loro famiglia. 

Sempre nel periodo talebano, in caso di adulterio, zina, confermato da quattro testimoni maschi sempre amici del marito, fu applicata spesso la lapidazione a morte, ma nel caso di colpe meno "offensive per la società maschile", anche la fustigazione; tutte condanne eseguite platealmente nelle piazze e negli stadi.

Oggi, i negozi dove si vendono i burqa sono sempre pieni, le giovani donne raccontano di aver nascosto diplomi e documenti d'identità per paura che il loro curricula possa essere un fattore di persecuzione.

Tuttavia in alcune regioni le giovani sono rientrate a scuola, ma solo di grado "elementare" o nelle Università "private", sempre coperte dal burka e divise dai maschi; le scuole superiori pubbliche sono chiuse. 

Quelle giovani donne che riprendono a studiare, con la tunica nera ed il velo, osservano percorsi di studio condizionati e molto spesso dedicati all'istruzione al "matrimonio"; ma meglio di niente! La paura è comunque incancellabile.

Muska Dastageer, docente all'Università americana dell'Afghanistan, inaugurata cinque anni dopo la partenza dei talebani, spiega che: "la paura resta in te come un uccello nero".

Alla promessa talebana che avrebbero rispettato i Diritti umani nel rispetto dei "valori islamici", quando avrebbero ripreso il potere, non ha creduto nessun afgano, soprattutto le donne.

Meno chi si occupa di tale disciplina che ravvisa un netto contrasto tra i Diritti umani e ciò che i talebani intendono per "valori islamici". La donna afgana soffre senza dubbio della sua nuova condizione, ma la sofferenza maggiore la patiscono quelle che per vent'anni hanno frequentato l'università, quelle che hanno ricoperto incarichi di responsabilità, soprattutto in politica, nel giornalismo e anche all'interno dell'avvocatura, della magistratura e delle forze di sicurezza; queste donne sono oggi ingabbiate e soffrono di gravi problemi legati allo stress ed alla depressione.

Testimonianze narrano di numerosi casi di suicidio proprio a carico di queste categorie di donne.

Così a Kabul, il Ministero delle Donne è stato da un paio di mesi trasformato in Ministero della e della prevenzione del Vizio, dove gli agenti del Ministero si sono fatti subito notare per la dedizione a frustare le donne che camminavano da sole.

Tra le loro responsabilità anche quella dell'applicazione "soggettiva" e strumentale, di altre interpretazioni dell'Islam, come l'obbligo di assistere alle preghiere e il divieto di radersi per gli uomini.

A completamento, da domenica 21 novembre, i talebani hanno imposto nuove regole alla televisione; infatti il Ministero talebano per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, ha imposto alle stazioni televisive afgane di non trasmettere più serie dove sono presenti le donne, in osservanza delle nuove "linee guida religiose". 

Il documento di domenica ha sottolineato che: "Le televisioni dovrebbero evitare di mostrare soap opera e serie in cui hanno recitato donne". Esige inoltre che le giornaliste indossino sullo schermo "il velo islamico", già solitamente indossato sulle televisioni afghane, ma l'indirizzo sembra che vada verso una copertura più pesante. Ha precisato Hakif Mohajir, portavoce del ministero, "Non si tratta di regole, ma di direttive religiose". 
Le televisioni afgane sono anche invitate ad evitare programmi "contrari ai valori islamici e afgani" così come quelli che insultano la religione o "mostrano il profeta e i suoi compagni". Per quanto riguarda gli uomini, dovrebbero essere coperti dal petto alle ginocchia. 

Un chiaro segnale di come la distinzione tra "regole" e "direttive religiose" colloca l'applicazione del Corano prevalentemente come Testo giuridico.

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*A cura di Fabio Marco Fabbri, Storico e Giornalista
Rosita Ponticiello, Coordinatrice Commissione Pari Opportunità UNCC

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