Penale

Reato per il praticante che esercita oltre i sei anni

Per la Cassazione scatta l'esercizio abusivo della professione per il praticante avvocato che esercita oltre i sei anni

di Marina Crisafi

Scatta il reato di esercizio abusivo della professione per il praticante avvocato che esercita oltre il termine di sei anni. È quanto si evince dalla sentenza n. 23608/2022 della sesta sezione penale della Cassazione.

La vicenda
La Corte si è pronunciata sulla responsabilità dell’imputato ex art. 348 c.p.
, per aver esercitato la professione nonostante la scadenza dei sei anni dall'iscrizione nel registro dei praticanti avvocati.

A ricorrere al Palazzaccio è la parte civile che dalla condanna del professionista aveva subito sia un danno patrimoniale - avendo dovuto sopportare i costi della difesa rispetto a un'azione che non poteva essere promossa da un difensore non abilitato all'esercizio della professione e in considerazione dell'inesistenza degli atti processuali posti in essere da detto difensore - che non patrimoniale in relazione alle frasi offensive dell'onore e della reputazione pronunciate nei suoi confronti dallo stesso professionista nel corso del dibattimento e non assistite da "immunità giudiziale", stante il carattere abusivo della professione.

La decisione
Rigettate le altre doglianze per manifesta infondatezza e genericità, la Corte si è quindi pronunciata sul reato ex art. 348 c.p., ritenendo, concordemente con la ricostruzione dei giudici di merito, che l’imputato avesse esercitato abusivamente la professione di praticante avvocato in quanto, «pur essendo scaduto il termine di sei anni previsto dall'art. 8, comma 2, R.D.L. 27 novembre 1993, n. 1578 dall'iscrizione nel registro dei Praticanti Avvocati del foro di Avellino, proseguiva nella difesa delle parti civili, costituitesi nel procedimento a carico del padre del ricorrente, presenziando alle udienze, compiendo attività istruttoria e rassegnando le conclusioni».

Per cui, la sentenza impugnata, secondo gli Ermellini, ha revocato, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, le statuizioni civili disposte in favore della parte civile, ritenendo che il comportamento dell'imputato avesse arrecato un danno solo ai propri assistiti, stante la nullità delle attività difensive da lui svolte, mentre non risultava provato alcun danno patrimoniale o non patrimoniale, posto che le parti civili si sarebbero comunque fatte assistere da un difensore, sicché la perdita dell'abilitazione dell’imputato si poneva come un fatto neutro rispetto allo svolgimento del processo ed alla sua conclusione.

Da qui l’inammissibilità del ricorso e la condanna della parte civile anche al pagamento delle spese processuali.

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