Lavoro

Regime degli impatriati: osservazioni critiche sui chiarimenti offerti dall'Agenzia delle Entrate in merito alle modalità di fruizione dell'agevolazione

di Vittorio Giordano e Fabio Spinelli Barrile**


L'agevolazione per i c.d. impatriati, introdotta dall'art. 16 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (di seguito "d.lgs. 147/2015"), sta riscuotendo un notevole interesse in ragione del sostanzioso abbattimento dell'imponibile in favore dei lavoratori dipendenti ed autonomi che trasferiscono la propria residenza fiscale nel territorio dello Stato dopo essere stati per almeno due anni residenti all'estero.

Tale regime, come successivamente integrato e modificato, prevede come noto che i redditi di lavoro dipendente, i redditi a questi assimilati, i redditi di lavoro autonomo e, a decorrere dal periodo d'imposta 2020, i redditi d'impresa prodotti in Italia dai c.d. impatriati concorrano alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 o al 10 per cento del loro ammontare per il periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza in Italia e per i quattro periodi d'imposta successivi. Tale significativa riduzione è tuttavia accordata dalla legge a condizione che i lavoratori non risultino fiscalmente residenti nel territorio dello Stato nei due periodi d'imposta precedenti al rimpatrio, si impegnino a rimanervi per almeno due anni, e l'attività lavorativa sia prestata prevalentemente in Italia.

L'appetibilità dell'agevolazione in discorso, inoltre, è stata altresì incrementata, per un verso, dalla possibilità di godere di una estensione del beneficio per ulteriori cinque periodi d'imposta al ricorrere di determinate condizioni previste dalla legge, e, per altro, dall'ampliamento della platea dei destinatari dell'agevolazione, che, a decorrere dal periodo d'imposta 2020, può essere fruita anche dai cittadini italiani non iscritti all'AIRE che abbiano avuto la propria residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni nel biennio precedente al trasferimento.

Senonché l'art. 16 del d.lgs. 147/2015 non indica gli adempimenti dichiarativi che il contribuente deve porre in essere affinché possa fruire dell'agevolazione. Tali adempimenti non sono indicati neppure nel decreto del 26 maggio 2016 del Ministero dell'Economia e delle Finanze che, a norma del comma terzo del citato art. 16, detta le disposizioni attuative del regime in parola.

Mossa forse dall'esigenza di colmare ciò che potrebbe esserle sembrata una lacuna del testo, l'Agenzia delle Entrate nelle circolari 17/E del 23 maggio 2017 e 33/E del 28 dicembre 2020 ha dunque espresso la tesi secondo cui il lavoratore dipendente che intenda beneficiare dell'agevolazione in esame "deve presentare una richiesta scritta al datore di lavoro, il quale applica il beneficio dal periodo di paga successivo alla richiesta e, in sede di conguaglio, dalla data dell'assunzione, mediante applicazione delle ritenute sull'imponibile ridotto alla percentuale di reddito tassabile" oppure, nel caso in cui il sostituto d'imposta non abbia potuto riconoscere il beneficio fiscale, indicare il reddito di lavoro dipendente in misura ridotta "direttamente nella dichiarazione dei redditi", ovviamente a condizione che sussistano i requisiti previsti dalla norma. Diversamente, invece, i lavoratori autonomi "possono accedere al regime fiscale agevolato direttamente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi o, in alternativa, fruirne in sede di applicazione della ritenuta d'acconto operata dal committente sui compensi percepiti".
Sempre secondo l'Agenzia delle Entrate, il lavoratore, ove non abbia formulato alcuna richiesta al proprio datore di lavoro o non si sia avvalso dell'agevolazione al momento della presentazione della dichiarazione, sarebbe legittimato a beneficiare del regime degli impatriati solo a condizione che presenti una dichiarazione c.d. "correttiva nei termini", purché chiaramente non sia ancora scaduto il termine di presentazione della dichiarazione, o al più tardi mediante una dichiarazione c.d. "tardiva" o c.d. "integrativa" e, quindi, a patto che non siano trascorsi più di novanta giorni dalla scadenza di detto termine. Ed infatti, secondo l'Amministrazione finanziaria "trascorso il suddetto periodo, è preclusa la possibilità di indicare il reddito agevolabile in misura ridotta" posto che "trattandosi di un regime opzionale" sarebbe "preclusa la possibilità di presentare una dichiarazione dei redditi c.d. "integrativa a favore" oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza ordinaria".

Ebbene, in base all'interpretazione dell'Amministrazione, decorsi novanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione, al lavoratore sarebbe dunque precluso il godimento dell'agevolazione per il periodo d'imposta in cui non ha dato evidenza di volerne godere, ferma restando "la possibilità per il contribuente di fruire del regime in esame per i restanti periodi di imposta del quinquennio agevolabile, con le modalità su esposte, applicando il regime in base alle disposizioni in vigore nel periodo di imposta in cui ha trasferito la residenza fiscale in Italia".

Senonché i chiarimenti offerti dall'Agenzia delle Entrate non sembrano condivisibili, posto che, secondo la tesi sostenuta da quest'ultima, il contribuente che, pur in possesso dei requisiti di cui all'art. 16 del d.lgs. 147/2015, ometta di dare evidenza del beneficio fiscale con le modalità suindicate incorrerebbe in un'ipotesi di decadenza. Ciò comporterebbe che, ad esempio, il contribuente che nutra dubbi sulla spettanza dell'agevolazione non potrebbe prudentemente applicare in dichiarazione il regime ordinario di tassazione e poi presentare istanza per il rimborso delle imposte pagate in eccesso in quanto, così facendo, avrebbe definitivamente rinunciato all'agevolazione, nonostante il comportamento così tenuto sia commendevole dal punto di vista dell'etica fiscale. Ed infatti una simile interpretazione rischia di discostarsi dalla costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, secondo cui "il comportamento fiscale più corretto" è quello adottato dal contribuente che "provvedendo immediatamente al pagamento dell'imposta nel maggiore importo accertato, ovvero versando direttamente l'imposta calcolata senza tener conto dell'agevolazione fiscale … abbia successivamente adito il giudice tributario per far valere il suo diritto all'agevolazione fiscale e quindi il conseguente diritto al rimborso, impugnando l'atto impositivo ovvero (in mancanza di questo) il diniego del rimborso tempestivamente richiesto" (cfr. Corte Cost. 11 ottobre 2000, n. 416).

In particolare, a non persuadere sono soprattutto i presupposti logici da cui l'Agenzia delle Entrate muove per sostenere la propria tesi.

In primo luogo, non risulta del tutto convincente la qualificazione del regime agevolativo per gli impatriati come opzionale. L'Amministrazione finanziaria, infatti, sembra desumere la sussistenza dell'opzione esclusivamente dalla circostanza che si tratti di un regime di favore per i suoi beneficiari, comportando una tassazione inferiore rispetto a quella ordinariamente applicabile. Senonché, a ben vedere, tale tesi "prova troppo" in quanto finirebbe per qualificare come opzionali tutti i regimi derogatori in melius rispetto alla fiscalità ordinaria ancorché la loro applicazione sia automatica al ricorrere delle fattispecie previste dalla legge. Al contrario, un regime per essere qualificato "opzionale" deve sottendere una scelta in capo al contribuente che origina, necessariamente, dalla ponderazione tra le opportunità e i sacrifici che deriverebbero dall'eventuale adesione. In questo senso depone altresì la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l'esercizio dell'opzione "integra un atto volontario, frutto di scelta da parte del contribuente" (cfr. ex multis Cass., Sez. Trib., 8 giugno 2018, n. 14947, in merito all'esercizio dell'opzione per l'applicazione delle imposte sostitutive relative alla rivalutazione dei beni di impresa; Cass., Sez. Trib., 21 dicembre 2018, n. 33281, in tema di condono fiscale; e Cass., Sez. Trib., 13 luglio 2018, n. 18712, con riferimento alla rivalutazione ai valori di acquisto delle partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati).

Il regime in questione non sembra avere nessuna di tali caratteristiche, in quanto la sua applicabilità sembra dipendere esclusivamente dal fatto che il lavoratore acquisisca la residenza fiscale in Italia e possegga gli ulteriori rerequisiti richiesti dall'art. 16 del d.lgs. 147/2015, apparendo perciò come il regime fiscale ordinario per i contribuenti che si trovino nelle relative condizioni. Se proprio si voglia ravvisare una scelta in capo al contribuente, infatti, l'unica alternativa che questi è tenuto a ponderare è solo quella se trasferirsi o meno in Italia, ma tale decisione viene effettuata a monte delle valutazioni circa le conseguenze fiscali che ne possano derivare. Inoltre, il regime in commento, ove prescelto, non comporta alcun sacrificio di altri diritti fiscali altrimenti spettanti (ad es. rinuncia a deduzioni, detrazioni, etc.), sicché non è dato comprendere la ragione per la quale il legislatore dovrebbe porre il contribuente dinanzi ad una opzione, essendo indubbiamente più vantaggioso il regime previsto per gli impatriati rispetto all'applicazione delle ordinarie regole di tassazione delle persone fisiche.

Peraltro, stupisce rilevare come a tale conclusione sembrava essere giunta la stessa Amministrazione finanziaria, laddove nella circolare 17/E del 23 maggio 2017, al fine di chiarire la non cumulabilità tra l'agevolazione in discorso e gli "incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia" previsti dalla Legge 30 dicembre 2010 n. 238 (di seguito "Legge 238/2010"), affermava che "un lavoratore trasferitosi in Italia nel settembre del 2015", poiché beneficiario soltanto dell'agevolazione per gli impatriati, "può accedere di diritto al beneficio, e non su opzione ex articolo 16, comma 4, del d.lgs. n. 147 del 2015". Ed infatti, nel testo dell'art. 16 del d.lgs. 147/2015 non vi è alcun supporto letterale che possa avvalorare la tesi secondo cui l'esenzione disposta in favore dei soggetti impatriati costituirebbe un regime opzionale. La parola opzione, invero, ricorre una sola volta nella predetta disposizione, e segnatamente al comma quarto, laddove è specificato che i soggetti destinatari della Legge 238/2010 possono alternativamente "optare, con le modalità definite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate …. per il regime agevolativo di cui al presente articolo". Di talché, sembrerebbe pacifico, così come desumibile dalle stesse indicazioni dell'Agenzia delle Entrate, che il legislatore abbia introdotto un regime opzionale soltanto per i destinatari della Legge 238/2010 al fine di coordinare gli incentivi fiscali da essa previsti con il regime per gli impatriati. Ed infatti, soltanto in relazione a tali destinatari è possibile riscontrare le caratteristiche tipiche dell'opzione, posto che sono chiamati ad esprimere una scelta circa l'agevolazione di cui usufruire a seguito del rientro in Italia.

In secondo luogo, la tesi dell'Agenzia delle Entrate appare insoddisfacente anche nell'ipotesi in cui si riconducesse il beneficio in esame ad un regime opzionale. Anzitutto, l'Amministrazione non commenta la circostanza che, a norma del terzo comma dell'art. 16 del d.lgs. 147/2015, le "causa di decadenza dal beneficio" sono quelle espressamente previste dalle norme attuative contenute nel decreto del 26 maggio 2016 del Ministero dell'Economia e delle Finanze, il quale tuttavia tace sulle ipotesi di omessa o incompleta dichiarazione dei redditi da parte del contribuente. Senonché, la stessa Amministrazione finanziaria ha sovente rimarcato la circostanza secondo cui la mancata indicazione in dichiarazione può comportare la decadenza dall'agevolazione soltanto laddove tale adempimento sia espressamente richiesto dalla norma agevolativa. Ed infatti, a titolo meramente esemplificativo, con riferimento al credito di imposta per attività̀ di ricerca e sviluppo, l'Agenzia delle Entrate, con la circolare 13/E del 27 aprile 2017, ha considerato che l'inosservanza degli obblighi dichiarativi "non pregiudichi il diritto alla spettanza dell'agevolazione e la relativa fruizione" posto che la legge non prevede l'indicazione in dichiarazione a pena di decadenza dal diritto all'agevolazione e, pertanto, "dal suddetto adempimento, quindi, non dipende né il momento in cui sorge il diritto al credito di imposta né quello a partire è possibile la sua fruizione, stante l'automaticità̀ del riconoscimento del credito stesso a seguito dell'effettuazione delle spese agevolate".

Ravvisando, tuttavia, l'esigenza di una principio generale che "copra" la fattispecie e avalli la conclusione cui perviene, l'Agenzia delle Entrate sostiene che le modalità dichiarative sopra indicate avrebbero natura di adempimento "sostanziale", escludendosi perciò la possibilità di una successiva remissio in bonis la quale – come noto – è condizionata alla duplice circostanza che "il contribuente abbia tenuto un comportamento coerente con il regime opzionale scelto" e l'adempimento "normativamente richiesto" abbia natura solo "formale" (cfr. circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020 che cita a sua volta la circolare n. 38/E del 28 settembre 2012). Senonché, così esprimendosi, l'Amministrazione finanziaria non si accorge che è essa stessa ad affermare che l'adempimento deve, appunto, essere "normativamente richiesto" e che, tuttavia, la disciplina qui in commento – come si è già detto - assolutamente tace su un simile adempimento. Peraltro, l'Agenzia delle Entrate neppure si interroga sulla questione se, richiedendo invece la legge espressamente che il contribuente che intenda avvalersi del beneficio in questione debba rimpatriare in Italia, svolgendo prevalentemente ivi la sua attività lavorativa, il soddisfacimento di tali requisiti non costituisca esso stesso un comportamento concludente che manifesta la volontà di fruire del beneficio e che, pertanto, sia equipollente all'esercizio espresso dell'opzione secondo un modulo analogo a quello stabilito dall'art. 1 del d.P.R. 10 novembre 1997, n. 442.

Né, d'altronde, potrebbe ritenersi che il non aver posto in essere gli adempimenti dichiarativi equivalga, in qualche modo, all'espressione di una volontà di non avvalersi del beneficio. Che dal silenzio serbato in dichiarazione si possa desumere una volontà negativa è la stessa prassi amministrativa ad escluderlo laddove, con riferimento ad altri regimi agevolativi, si è detto "che la mancata indicazione nella dichiarazione originaria della" agevolazione "non può essere sic et simpliciter interpretata come espressione della volontà di rinunciare alla fruizione del beneficio" e perciò, diversamente dall'ipotesi in cui il contribuente intenda modificare un'opzione già espressa, tale mancata esposizione non è di ostacolo alla possibilità ad avvalersi del beneficio fiscale in sede di dichiarazione integrativa o con la presentazione di una istanza di rimborso (cfr. in tema di agevolazione c.d. "Tremonti Ambientale" la risoluzione n. 132/E del 20 dicembre 2010 e la risoluzione n. 58/E del 20 luglio 2016).

In conclusione, le modalità di fruizione del beneficio fiscale, così come delineate nei documenti di prassi dell'Amministrazione finanziaria, oltre a destare non poche perplessità per le ragioni fin qui esposte, rischiano di contraddire la stessa ratio dell'agevolazione, volta ad "attrarre in Italia il capitale umano qualificato necessario all'internazionalizzazione delle imprese che operano in Italia" (cfr. la relazione illustrativa al d.lgs. 147/2015). Una agevolazione, come quella di specie, che ha quale presupposto il trasferimento della residenza fiscale, infatti, si presta fisiologicamente ad incertezze applicative oltre a presupporre una radicale scelta di vita da parte di chi ne fruisce. Ebbene, in tale contesto di incertezza, non consentire ai contribuenti di usufruire della dichiarazione c.d. integrativa oltre il termine di novanta giorni o di procedere al pagamento dell'imposta in misura ordinaria, salvo richiedere successivamente il rimborso, rischia di esporre lavoratori e sostituti d'imposta ad una scelta irragionevole. Tali soggetti, invero, saranno spesso costretti o a non avvalersi dell'agevolazione oppure ad usufruire del beneficio fiscale anche nei casi in cui la sua applicazione appaia incerta, con la conseguenza che, nel primo caso, i destinatari dell'agevolazione sarebbero disincentivati a trasferirsi in Italia, mentre, nel secondo, lavoratori e sostituti d'imposta rischierebbero di essere assoggettati al recupero di imposta e all'applicazione delle sanzioni. È chiaro, dunque, che in entrambe le ipotesi diventerebbe più complesso attrarre capitale umano in Italia, vanificandosi così la stessa finalità della disciplina in commento.

* Partner di Giordano-Merolle Studio Legale Tributario ** Associate di Giordano-Merolle Studio Legale Tributario

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©