Famiglia

Comunione legale - Rifiuto al coacquisto da parte del coniuge non intestatario, attestazione efficace se non generica

Centrale la mediazione "culturale" del notaio in sede di stipula

di Osvaldo Passafaro*

In costanza di materia notarile, è fatto ormai notorio – tra gli operatori del settore – l'avvicendarsi di dicotomie (dottrinali, prima che giurisprudenziali) tra tesi tendenzialmente estreme che, traducendosi in uno iato operativo, refluisce nell'antagonismo delle soluzioni praticabili.

Sicché, è giocoforza, all'interprete che sia chiamato a sposare l'uno piuttosto che l'altro orientamento, precludersi una "terza via", attraverso una sapiente opera logico/cronologica di individuazione e applicazione della posizione giurisprudenziale dominante.

La recente pronuncia n.35086/2022 , nondimeno, affrontando il delicato tema della natura negoziale (tesi minoritaria) piuttosto che ricognitiva (orientamento prevalente) della dichiarazione di "rifiuto al coacquisto" ex art.179, c.2, c.c., ben potrebbe costituire, in tal senso, un'eccezione degna di pregio.

La citata ordinanza, in effetti, movendo dal presupposto in virtù del quale, manente la comunione legale dei beni tra i coniugi, la sola dichiarazione del coniuge c.d. "non intestatario" prestata ai sensi dell'art.179, c.2, c.c., non valga a escludere l'inclusione del bene nel regime patrimoniale di cui sopra, pone l'accento sulla necessità di corredare il detto proposito di destinazione del bene a uso "personale" (lett. "c") ovvero "professionale" (lett. "d"), con elementi di natura oggettiva, quale, a titolo d'esempio: la provenienza esclusivamente personale del denaro impiegato, ai fini dell'adempimento dell'obbligazione del prezzo (lett. "f"); il che rappresenta una qualificazione giuridica, oltreché d'intenti, che conferisce rilevanza sostanziale alla dichiarazione del coniuge non acquirente.

Sulla base delle premesse logiche che precedono, non può che venire in rilievo la centralità della mediazione culturale (prima che professionale) cui, in sede di stipula, il pubblico ufficiale rogante è chiamato, rispetto ai comparenti costituiti in atto – anche quale logico corollario della funzione deflativa del contenzioso che pertiene all'attività notarile.

Difatti, in ossequio al disposto di cui all' art.47, c.2, L. n.89/1913 ("Legge notarile"), il notaio cura l'integrale compilazione dell'atto, sotto la propria responsabilità, "indagando" la volontà delle parti: indagine che, anche in aderenza al più generale Protocollo notarile n.2 (che non costituisce norma deontologica), non può limitarsi a un mero accertamento dell'idoneità psicofisica dei comparenti a esprimere una data volontà, ma, nella specie, deve avere a oggetto una concreta traduzione in risultato giuridico della finalità che le parti empiricamente perseguono (fermo restando il controllo c.d. "di legalità" ai sensi dell'art.28, L.N., di concerto con l'opera di adeguamento della volontà dei comparenti alla legge ex art.47 della citata legge).

Volendo, pertanto, declinare i suesposti principi alla fattispecie della dichiarazione di rifiuto al coacquisto formulata, in seno a un atto di compravendita, da parte del coniuge non intestatario, emerge che, alla luce della recente ordinanza n.35086/2022 della S.C., a conferire efficacia negoziale (e, non già, meramente ricognitiva) alla detta dichiarazione concorrerà bensì una minore genericità della stessa.

Genericità alla quale, in via principale, si potrà pacificamente ovviare per il tramite di una menzione quanto più possibile analitica circa la provenienza di natura esclusivamente personale del denaro impiegato dal coniuge acquirente, ai fini dell'adempimento del prezzo della compravendita. Menzione che, pur non dovendo convergere nella clausola che disciplina "prezzo e modalità di pagamento" della compravendita (c.d. "Bersani"), consentirà alla dichiarazione di rifiuto al coacquisto di scontare positivamente la delibazione circa l'esclusione del bene dal regime di comunione legale, previa opportuna e sostanziale verifica notarile, finalizzata alla conversione in uno schema giuridico adeguato dell'intento empirico perseguito dalle parti, tenendo in debito conto, dunque, il solco culturale che separa il profano dal diritto.

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*A cura dell'Avv. Osvaldo Passafaro, Studio Legale Talarico – Passafaro

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