Penale

Ingiusta detenzione non sempre indennizzata

di Patrizia Maciocchi

La reticenza, la menzogna e il silenzio da parte dell’imputato sono scelte difensive legittime, che possono però “pesare” in negativo sulla richiesta di indennizzo per ingiusta detenzione. Su queste basi la Cassazione (sentenza 42014) ha respinto la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione, avanzata da Raffaele Sollecito per i 4 anni di carcere in relazione alla morte della studentessa inglese Meredith kercher, accusa dalla quale era stato poi assolto. Per la Suprema corte è corretto il verdetto della Corte d’Appello che aveva respinto la domanda, chiarendo che le versioni contraddittorie, che hanno sempre trovato una smentita, e il falso alibi fornito hanno inciso sulla scelta dei giudici di applicare severe misure cautelari. Secondo la difesa le contraddizioni e le “bugie” dette dal ricorrente dovrebbero essere considerate ininfluenti a fronte del fatto che le porte del carcere per Sollecito si erano aperte sulla scia di “clamorose defaillances o amnesie investigative o colpevoli omissioni di attività di indagine».

La Cassazione spiega però che l’assoluzione è solo il presupposto per presentare istanza di riparazione ma non è sufficiente per il suo accoglimento. L’esito positivo c’è soltanto se l’interessato non ha in nessun modo “influito” nella custodia cautelare subìta con dolo o colpa grave. La Suprema corte ricorda che mentre il giudice del processo penale deve accertare il reato, quello della riparazione, pur dovendo operare sullo stesso materiale ,segue un altro iter verificando quanto l’imputato ha inciso, anche in concorso con l’errore altrui, sulla sua detenzione.

Corte di cassazione – Sezione IV – Sentenza 14 settembre 2017 n.42014

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