Immobili

Non si può aprire una veduta verso la cosa comune nel cortile fra edifici con proprietari diversi

Lo ha ribadito la sezione III della Cassazione con la sentenza 7971/2022

di Mario Finocchiaro

Ove sia accertata la comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi ed allorché fra il cortile e le singole unità immobiliari di proprietà esclusiva non sussista quel collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale, che costituisce il fondamento della condominialità dell'area scoperta, ai sensi dell'articolo 1117 Cc, l'apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell'articolo 905 Cc. Il partecipante alla comunione del cortile non può, in sostanza, aprire una veduta verso la cosa comune a vantaggio dell'immobile di sua esclusiva proprietà, finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'articolo 1102 Cc, il quale non è applicabile ai rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi, che sono piuttosto disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite. Questo il principio espresso dalla sezione II della Cassazione con la sentenza 11 marzo 2022 n. 7971 .

I precedenti conformi
Questione variamente risolta in sede di legittimità, come osservato in motivazione, nella pronunzia in rassegna.
Nello stesso senso della decisione in commento, tra le altre, Cassazione, sentenze 21 ottobre 2019, n. 26807; 4 luglio 2018, n. 17480; 21 maggio 2008, n. 12989.
Analogamente, il partecipante alla comunione non può, senza il consenso degli altri, servirsi della cosa comune ai fini dell'utilizzazione di altro immobile di sua esclusiva proprietà distinto dai fondi al servizio dei quali questa sia stato originariamente destinata, perché il relativo uso verrebbe in tal guisa a risolversi nell'imposizione di fatto di una vera e propria servitù a carico della cosa comune e a favore dell'anzidetto immobile. Ne deriva che l'obbligo stabilito dall'articolo 905 Cc di rispettare le distanze per l'apertura di vedute dirette sussiste anche nel caso in cui lo spazio tra edifici vicini sia costituito da un cortile comune la cui la presenza impone a carico dei proprietari dei fabbricati frontistanti dei limiti ancora più severi di quelli fissati dalle norme sulle distanze, in quanto l'esecuzione di nuove costruzione (porte a piano terreno, finestre e balconi) non può alterare la destinazione del cortile consistente nel dare luce ed aria agli edifici su di esso prospettanti, Cassazione, sentenze 20 giugno 2000, n. 8397 e 25 agosto 1994, n. 7511 (secondo cui l'obbligo di rispettare le distanze stabilite dall'articolo 905 Cc per l'apertura di vedute dirette sussiste anche nel caso in cui lo spazio tra edifici vicini sia costituito da un cortile comune, la cui presenza impone a carico dei proprietari dei fabbricati frontistanti dei limiti ancora più severi di quelli fissati dalle norme sulle distanze, in quanto l'esecuzione di nuove costruzioni non può alterare la destinazione del cortile consistente nel dare luce ed aria agli edifici su di esso prospettanti), nonché 28 maggio 1976, n. 3092.

E quelli difformi
Diversamente, secondo altro indirizzo, quando un cortile è comune a due corpi di fabbrica e manca una disciplina contrattuale vincolante per i comproprietari al riguardo, il relativo uso è assoggettato alle norme sulla comunione in generale, e in particolare alla disciplina di cui all'articolo 1102 primo comma Cc, in base al quale ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la destinazione e non ne impedisca il pari uso agli altri comunisti. L'apertura di finestre su area di proprietà comune ed indivisa tra le parti costituisce, pertanto, opera inidonea all'esercizio di un diritto di servitù di veduta, sia per il principio nemini res sua servit, sia per la considerazione che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, ben sono fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva, Cassazione, ordinanza 14 giugno 2019, n. 16069, in Italgiureweb, 2021, in motivazione (ove conforme è indicata, altresì, Cassazione, sentenza 9 giugno 2010, n 13874).
In quest'ultimo senso, quando un cortile è comune a due corpi di fabbrica e manca una disciplina contrattuale vincolante per i comproprietari al riguardo, il relativo uso è assoggettato alle norme sulla comunione in generale, e in particolare alla disciplina di cui all'art. 1102, primo comma, Cc, in base al quale ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la destinazione e non ne impedisca il pari uso agli altri comunisti. L'apertura di finestre su area di proprietà comune ed indivisa tra le parti costituisce, pertanto, opera inidonea all'esercizio di un diritto di servitù di veduta, sia per il principio nemini res sua servit, sia per la considerazione che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, ben sono fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva, Cassazione, sentenza 26 febbraio 2007, n. 4386.
Sempre nel senso che l'apertura di finestre su area di proprietà comune ed indivisa tra le parti costituisce opera inidonea all'esercizio di un diritto di servitù di veduta, sia per il principio nemini res sua servit, che per la considerazione che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono ben fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta, pertanto, anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva, con il solo limite, posto dall'art.1102 Cc, di non alterare la destinazione del bene comune o di non impedirne l'uso da parte degli altri comproprietari, Cassazione, sentenza 19 ottobre 2005, n. 20200.

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