Civile

Facebook condannata per il post diffamatorio

Il tribunale di Milano ha evidenziato la natura omissiva che si delinea quando il provider trascura di rimuovere contenuti di cui conosce la manifesta illiceità

di Giovanni Negri

Facebook deve rimuovere i post del cui contenuto diffamatorio è pienamente consapevole. In caso contrario deve essere sanzionata sul piano pecuniario. A questa conclusione approda il Tribunale di Milano, Prima sezione civile, con sentenza depositata ieri con la quale Facebook è condannata al risarcimento danni nei confronti di Snaitech per non avere tempestivamente cancellato una serie di contenuti diffamatori pubblicati nelle pagine «Truffa Snaitech» e «Snaitech Truffa». Nelle pagine venivano attribuiti a Snaitech numerosi reati, dalla truffa alla minaccia, dalla corruzione all’induzione a violare la legge, elemento evidentemente lesivo dell’onore e della reputazione, nel caso esaminato, certo non giustificato dall’esercizio del diritto di critica.

Il Tribunale allora chiarisce innanzitutto la responsabilità che può essere attribuita a Facebook, evidenziandone la natura omissiva che si delinea quando il provider trascura di rimuovere contenuti di cui conosce la manifesta illiceità. Facebook riveste in questo modo una posizione di garanzia, in base alla quale è certo estraneo alla originaria commissione dell’illecito e tuttavia ne diventa giuridicamente responsabile se evita, per inerzia, di prolungarne le conseguenze. «In altre parole – osserva la sentenza -, all’hosting provider si rimprovera una condotta commissiva mediante omissione e, quindi, di aver concorso nel comportamento lesivo altrui a consumazione permanente».

Quanto alla conoscenza da parte di Facebook della natura illecita delle pagine pubblicate, determinante è il fatto che Snaitech avesse, a due riprese, segnalato al social network i contenuti denigratori chiedendone la rimozione. Tanto basta al Tribunale per potere affermare che Facebook fosse a conoscenza della diffusione sulla propria piattaforma di contenuti giudicati diffamatori. L’autore del contenuto pubblicato sulla piattaforma Facebook aveva attribuito a Snaitech la responsabilità di reati sulla base di semplici convinzioni personali, «infatti, dai documenti versati in atti emerge che le sentenze a cui l’autore dei contenuti ha fatto verosimilmente riferimento non hanno accertato la commissione di alcun delitto da parte degli attori».

Non soccorre l’esercizio del diritto di critica. In caso contrario, infatti, «si attribuirebbe a ciascuno il diritto di attribuire prima, e diffondere poi, anche tramite social network, notizie in merito alla perpetrazione di reati sulla base di mere intime convinzioni». Respinta poi anche la tesi della difesa Facebook che sosteneva la necessità di un provvedimento dell’autorità giudiziaria che certificasse l’illiceità dei contenuti a monte per giustificarne a valle la rimozione. Non è così, afferma la sentenza, perché la legge (decreto legislativo n. 70 del 2003, articolo 16) non lo prevede. Anzi, era stato lo stesso social network a rimuovere i contenuti, sia pure tardivamente, essendosi verosimilmente reso conto, seppure in ritardo, della loro illiceità.

Su natura e perimetro del danno risarcibile, il Tribunale non ritiene determinante l’esigua quantità dei post e lo scarso riscontro degli stessi in un arco temporale contenuto, circa tre mesi. «Va, infatti, rilevato – si legge nella pronuncia - che la capacità diffusiva di una informazione condivisa tramite la piattaforma di un social network travalica spesso i limiti della stessa. Infatti, un contenuto ivi pubblicato è certamente idoneo ad essere immagazzinato in dispositivi personali e riprodotto indipendentemente dalla volontà del gestore della piattaforma nonché trasmesso ad un’indefinita platea di soggetti; e ciò si verifica a prescindere dalle interazioni concretamente verificabili a margine del contenuto (condivisioni sulla piattaforma, “mi piace” ovvero commenti allo stesso da parte degli utenti)».

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