Penale

Social-network, se la persona offesa è presente non c'è diffamazione

Il criterio discretivo tra ingiuria e diffamazione va individuato nella presenza o meno dell'offeso tra i destinatari delle comunicazioni offensive

di Pietro Alessio Palumbo


Il criterio discretivo tra ingiuria e diffamazione va individuato nella presenza o meno dell'offeso tra i destinatari delle comunicazioni offensive. È quindi la nozione di "presenza" dell'offeso ad assurgere a criterio distintivo; implicando questa necessariamente la presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso e terzi; ovvero una situazione a essa sostanzialmente equiparabile realizzata con l'ausilio dei moderni sistemi tecnologici.

Secondo la Corte di Cassazione (sent.36193/2022) grazie alla interpretazione adeguatrice della normativa penalistica ai mezzi di comunicazione telematici attualmente in uso, non può dirsi modificata, nella sostanza, la linea di discrimine tra le due figure, dovendo porsi solo una particolare attenzione alle caratteristiche specifiche del programma e alle funzioni utilizzate nel caso concreto; restando fermo il criterio fondamentale della presenza, anche se virtuale, dell'offeso tra i soggetti destinatari.
Così se l'offesa è profferita nel corso di una riunione "a distanza", o "da remoto", tra più persone contestualmente collegate, tra le quali anche l'offeso, ricorrerà l'ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone, fatto depenalizzato.
Di contro, quando vengano in rilievo comunicazioni scritte o vocali, indirizzate all'offeso e ad altre persone non contestualmente presenti, secondo l'accezione estesa alla presenza "virtuale" o "da remoto", ricorreranno i presupposti della diffamazione.

La Suprema Corte ha evidenziato che l'invio di un messaggio elettronico dal contenuto offensivo, a una pluralità di destinatari integra il reato di diffamazione anche nell'eventualità che tra questi vi sia l'offeso, nel caso di non contestualità del recepimento del messaggio. Molti programmi mettono a disposizione degli utenti una variegata gamma di servizi: messaggistica istantanea (scritta o vocale), videochiamata, chiamate cd. "VoIP" (conversazione telefonica effettuate sfruttando la connessione internet). Sono state sviluppate diverse piattaforme per convocare riunioni a distanza tra un numero, anche rilevante, di persone presenti virtualmente. Le medesime piattaforme permettono di scrivere, durante la riunione, messaggi diretti a tutti i partecipanti, ovvero a uno o ad alcuni di essi. Per tale ragione il mero riferimento a una definizione generica (chat, call) o alla denominazione commerciale del programma è, di per sé, privo di significato e foriero di equivoci, laddove non accompagnato dalla indicazione delle caratteristiche precise dello strumento di comunicazione impiegato nel caso specifico. Occorre dunque ricostruire sempre l'accaduto.
D'altra parte per la Suprema Corte l'offesa diretta a una persona "presente" costituisce ingiuria anche quando sono presenti altre persone. L'offesa diretta a una persona "distante" costituisce ingiuria quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario. Se la comunicazione "a distanza" è indirizzata ad altre persone oltre all'offeso può configurarsi il reato di diffamazione. L'offesa riguardante una persona "assente" e comunicata ad almeno due persone presenti o distanti, integra la diffamazione.

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello aveva confermato la pronunzia di primo grado per il reato di diffamazione a mezzo Facebook. Avverso la decisione aveva proposto ricorso l'imputato tramite difensore di fiducia, lamentando violazione di legge. Secondo la difesa la sentenza avrebbe mal applicato la norma incriminatrice, valorizzando soltanto la presenza di più persone in quanto partecipi della chat, ma non anche l'elemento decisivo dato dal fatto che la persona offesa era presente, sia pure virtualmente, alle offese e aveva partecipato alla discussione, replicando. Pertanto il fatto avrebbe dovuto, al più, sussumersi nella fattispecie di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, attualmente depenalizzata, mentre per il reato di diffamazione sarebbe mancato l'ineliminabile requisito dell'assenza dell'offeso.
La Corte avrebbe inoltre travisato il fatto opinando che l'imputato stesso avesse dato inizio al contrasto. La semplice lettura delle frasi scritte sulla chat avrebbe dato conto che la risposta dell'imputato a una prima comunicazione della persona offesa non conteneva alcuna espressione offensiva nei confronti di quest'ultima; solo dopo accuse calunniose l'imputato aveva poi usato toni aspri.

La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il ricorso; invero sulla configurabilità della diffamazione nelle comunicazioni a distanza diretta a più persone oltre all'offeso, le coordinate non mutano se alla comunicazione tradizionale si sostituisce, per effetto dell'evoluzione tecnologica, l'invio di un messaggio elettronico che includa fra i destinatari sia la persona offesa, sia gli ulteriori soggetti portati a conoscenza dell'offesa. Si tratta a ben vedere di strumenti moderni che con superiore efficacia realizzano il medesimo risultato ottenuto con l'invio di comunicazioni tradizionali.

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