Professione e Mercato

Avvocati, patto quota lite vietato anche per le attività stragiudiziali

Il Cnf conferma la sanzione per un legale che aveva chiesto un maxicompenso per il risarcimento del danno in un sinistro agganciando il dovuto anche al risultato

di Francesco Machina Grifeo

Interessante e articolata (ben 16 pagine) decisione del Consiglio nazionale forense sulla determinazione del compenso del professionista. Con la sentenza n. 206 del 9 novembre 2022, pubblicata il 16 marzo 2023 (pres. f.f. Stoppani, rel. Di Campli), il Cnf ribadisce il divieto di patto quota lite affermando che va esteso anche alle attività stragiudiziali e chiarendo che la proporzionalità e la ragionevolezza rimangono gli elementi cardine per la definizione del dovuto a prescindere anche dalla eventuale liceità civilistica dell'accordo, che non funge da scudo rispetto alla responsabilità disciplinare.

Il Cnf ha dunque confermato la sanzione della sospensione per due mesi di un avvocato che per il risarcimento del danno patito dal marito per l'incidente mortale della moglie, aveva previsto, con scrittura privata, che gli spettava ‘il riconoscimento degli onorari di patrocinio come liquidati dall'assicurazione oltre una percentuale del 10% su quanto verrà liquidato per il risarcimento del danno parentale'. Percentuale poi pretesa nel dicembre 2015 a mezzo di diffida (per l'importo di € 24.449,78, corrispondente al 10% della liquidazione del danno di € 192.700,00 oltre accessori fiscali e previdenziali). Dopo aver ricevuto dall'assicurazione del responsabile del sinistro € 16.875,04 al lordo di accessori fiscali e previdenziali, così arrivando alla somma complessiva di € 32.570,00 oltre accessori, pari a sei volte il compenso tabellare e a circa un sesto del risarcimento.

Una cifra già giudicata dal Consiglio di disciplina del Veneto "manifestamente sproporzionata rispetto alla non complessità e durata dell'attività svolta". Infatti, la responsabilità dell'investitore era pacifica considerato che la donna era stata travolta sulle strisce pedonali alla presenza di una pattuglia di carabinieri; mentre il risarcimento era inferiore a quello tabellare per la perdita del coniuge.

L'avvocato ricorrente ha però sostenuto che si trattava di una somma omnicomprensiva che teneva conto di tutte le attività svolte come le "pratiche inerenti i rapporti con l'assicurazione della controparte", il nulla osta del PM per la cremazione della salma, l'estrazione di vari certificati in Comune ecc. Per il Cnf, tuttavia, le attività svolte dall'avvocato in favore del vedovo al di fuori di quelle inerenti alla pratica risarcitoria non attengono alla professione forense ma a rapporti personali.

Inoltre, sempre per la ricorrente, l'accordo intercorso non costituiva un patto di quota lite, in quanto riferito al denaro, bene generico e fungibile. Ed il divieto non si applicherebbe all'attività stragiudiziale. A questo punto la decisione ricostruisce il quadro normativo. Va premesso, si legge, che per l'art. 13 della legge n. 247/2012 «sono vietati i patti con i quali l'avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa», pur essendo valida la pattuizione con cui si determini il compenso «a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione». La percentuale, dunque, può essere rapportata al valore dei beni o agli interessi litigiosi, ma non al risultato. In tal senso deve infatti interpretarsi l'inciso «si prevede possa giovarsene» che, appunto, evoca un rapporto con ciò che si prevede e non con ciò che costituisce il consuntivo della prestazione professionale (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 26 del 18 marzo 2014).

Ed è questa, prosegue il Cnf, la differenza tra il consentito e il non consentito, "cioè legare il compenso al valore della controversia o all'esito previsto (consentito) piuttosto che al risultato (non consentito)". Mentre a nulla vale distinguere i beni fungibili da quelli infungibili. Infatti, ciò che è vietato è pattuire il compenso che sia una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa che nel caso del risarcimento del danno è, di norma, l'equivalente in denaro cosicché, come nella fattispecie, la ragione litigiosa è il denar o e il compenso pari ad una percentuale del denaro è una quota della lite.

Anche l'eccezione relativa all'inapplicabilità del divieto all'attività stragiudiziale è però inconferente. Infatti, argomenta il Cnf, il quarto comma dell'art. 13 della legge 247/2012 fa riferimento sia al bene oggetto della prestazione che alla res litigiosa. "Sembra a questo Collegio che la doppia previsione sia nel senso che il divieto di patto di quota lite sia applicabile sia all'attività stragiudiziale, quando si fa riferimento alla prestazione, sia all'attività giudiziale, quando si fa riferimento alla ragione litigiosa".

Né conta il fatto che l'attività stragiudiziale non è riservata agli iscritti agli albi "in quanto i principi di libertà, autonomia e indipendenza (art. 2 l. 247/2012) connotano l'attività professionale in ogni suo aspetto, sia in quella giudiziale che in quella stragiudiziale nel rispetto del principio costituzionale di inviolabilità del diritto di difesa in ogni contesto (art. 24 cost.), distinguendo tale attività da quella di ogni altro soggetto che possa prestarla per quanto non riservato agli iscritti agli albi". Ciò anche per l'evidente ragione che l'attività difensiva dell'avvocato non può essere ispirata a principi commerciali com'è quella che può essere esercitata in via stragiudiziale da coloro che non sono iscritti agli albi.

Infine, la proporzione e la ragionevolezza nella pattuizione del compenso rimangono "l'essenza comportamentale richiesta all'avvocato, indipendentemente dalle modalità di determinazione del corrispettivo a lui spettante, sicché l'eventuale patto di quota lite non può comunque derogare al divieto deontologico di richiedere compensi manifestamente sproporzionati". Dunque, la manifesta sproporzione del compenso costituiva illecito deontologico anche nell'intervallo temporale nel quale il divieto di patto di quota lite era stato abrogato.

In conclusione, il dovuto (in base a quanto disposto dalla tabella n. 25, allegata al DM n. 55/2014) è pari ad € 2.160,00 (valore minimo), € 4.320,00 (valore medio), € 7.776,00 (valore massimo), a fronte di un compenso richiesto di € 40.000,00 circa.

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