Amministrativo

Vaccino per i sanitari, la scienza non dà ragioni per ripensare l'obbligo

Lo ha affermato il Consiglio di Stato con l'ordinanza n. 583 del 4 febbraio confermando la pronuncia cautelare del Tar Veneto

di Francesco Machina Grifeo

Alla luce dell'evoluzione della ricerca scientifica, non si ravvisano ragioni per rimeditare – come invece richiesto da parte appellante - i principi già espressi dalla giustizia amministrativa sull'obbligo vaccinale per i sanitari. Tale obbligo, del resto, trova la sua ratio nella e prevalenza accordata alla tutela della salute pubblica e, in particolare, degli utenti della sanità pubblica e privata. Lo ha affermato la III Sezione del Consiglio di Stato con l'ordinanza n. 583 del 4 febbraio confermando la pronuncia cautelare del Tar Veneto (Sezione Terza) n. 00552/2021 e respingendo il ricorso di una sanitaria che chiedeva la sospensione del procedimento di accertamento (notificato via pec) "avente ad oggetto l'adempimento all'obbligo vaccinale previsto dall'art. 4 del D.L. 1° aprile 2021, n. 44".

Nel bilanciamento degli interessi tra la salute pubblica e la libertà di autodeterminazione del singolo - argomenta il Collegio -, tutti costituzionalmente rilevanti e legati a diritti fondamentali, deve ritenersi assolutamente prevalente la tutela della salute pubblica e, in particolare, degli utenti della sanità pubblica e privata e ciò sotto un profilo di solidarietà sociale nei confronti "delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili, che sono bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo sono di frequente o di continuo a contatto con il personale sanitario o sociosanitario nei luoghi di cura e assistenza" (Cds n. 7045/2021).

Inoltre, l'obbligo vaccinale per il personale sanitario "è giustificato non solo dal principio di solidarietà verso i soggetti più fragili, cardine del sistema costituzionale (art. 2 Cost.), ma immanente e consustanziale alla stessa relazione di cura e di fiducia che si instaura tra paziente e personale sanitario, relazione che postula, come detto, la sicurezza delle cure, impedendo che, paradossalmente, chi deve curare e assistere divenga egli stesso veicolo di contagio e fonte di malattia" (Cds 7045/2021).

Dunque, considerato che anche sotto il profilo scientifico i principi espressi nella sentenza n. 7045/2021 restano validi e che le misure contestate dall'appellante "si inseriscono nel quadro di una strategia generale di contrasto alla pandemia e non risultano essere sproporzionate né discriminatorie, né lesive dei diritti fondamentali dei destinatari", il Consiglio di Stato ha ribadito che "il diritto all'autodeterminazione di quanti abbiano deciso di non vaccinarsi è da ritenersi recessivo rispetto alla tutela di beni supremi quale è la salute pubblica, specie in considerazione del fatto che il provvedimento di sospensione, ove adottato, non ha funzione sanzionatoria e non pregiudica in alcun modo il rapporto di lavoro".

Né tale soluzione legislativa, prosegue l'ordinanza, sembra allo stato violare le norme Costituzionali e sovrannazionali. Ed invero, come ha da tempo chiarito la giurisprudenza costituzionale in tema di tutela della salute ai sensi dell' art. 32 della Costituzione "la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell'ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990)", (Corte Costituzionale, sent. 5/2018).

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