Lavoro

Previdenza, criterio della cittadinanza per i lavoratori italiani di una società americana controllata da un'impresa del Bel Paese

La Cassazione ha confermato il diritto all'iscrizione all'Inps e condannato la società al pagamento dei contributi

di Camilla Insardà

La sentenza 17108/2022 della Cassazione si occupa della tutela pensionistica e previdenziale del lavoratore italiano all'estero. Il caso specifico è incentrato sulla presunta violazione di alcune disposizioni dell'Accordo bilaterale fra Stati Uniti e Italia in materia di sicurezza sociale, sottoscritto a Washington nel 1973 e ratificato dal nostro Paese con Legge 86/1975.

L'accordo Italia Usa sulla sicurezza sociale
Nel delineare i confini applicativi della Convenzione, l'articolo 2 afferma che essa riguarda le legislazioni di sicurezza sociale relative alle prestazioni per invalidità, vecchiaia e superstiti, aggiungendo alla lettera a) che, per quanto riguarda l'Italia, essa è applicabile alla legislazione sull'assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti e sui trattamenti previdenziali sostitutivi di questa, tra i quali il sito www.inps.it cita i fondi speciali previdenziali dello stesso Inps oppure i regimi speciali di assicurazione previsti per particolari categorie di lavoratori. Dal punto di vista soggettivo, invece, l'articolo 3 rende applicabile l'accordo ai lavoratori che possono far valere periodi di assicurazione sulla base della normativa di riferimento, i loro familiari o superstiti.
Con la pronuncia in commento n. 17108/2022, i giudici hanno confermato la decisione della Corte d'Appello di Roma, con cui era stato riconosciuto il diritto di alcuni cittadini italiani all'instaurazione di una posizione previdenziale presso l'Inps in relazione al rapporto d'impiego intercorso con una società televisiva americana, avente quale unica azionista un'impresa anch'essa italiana, con conseguente condanna della datrice di lavoro al versamento dei contributi previdenziali connessi alle retribuzioni accordate.
Nell'impugnare detta sentenza, la società ricorrente ha lamentato sia la violazione dell'articolo 7 dell'Accordo di Washington, dovendosi applicare non il III comma , ma il IV comma, sia l'omesso esame di una circostanza decisiva, data dal conseguente mancato esercizio da parte dei lavoratori resistenti dell'opzione per la legislazione italiana, in caso di "periodi di lavoro" trascorsi all'estero e che hanno dato origine all'applicabilità concorrente di entrambe le legislazioni previdenziali.
La norma citata si occupa, come da rubrica non ufficiale, dello "Svolgimento dell'attività lavorativa sul territorio di uno Stato contraente", sancendo al comma I il criterio generale della territorialità, secondo cui, salve le deroghe contemplate dal medesimo articolo, coloro che svolgono un'attività sul territorio di uno Stato contraente sono soggetti alla legislazione di quest'ultimo.
I commi II e III introducono il criterio derogatorio della cittadinanza, applicato anche dai giudici di merito nel caso di specie, secondo cui il lavoro svolto in Italia da un cittadino statunitense è disciplinato dalla normativa degli Stati Uniti, mentre quello svolto in America da un italiano è da ritenersi assoggettato alla legge italiana.
Venendo ora al criterio invocato dalla ricorrente, il comma IV stabilisce alcune deroghe ai suddetti principi "qualora periodi di lavoro siano soggetti alla legislazione di ambedue gli Stati". Afferma la lettera a) che al cittadino di uno Stato il quale, per un determinato periodo di lavoro, sarebbe assoggettato ad entrambe le legislazioni, è applicabile il criterio della cittadinanza, pertanto rimane soggetto alla normativa dello Stato di cui è cittadino e sottratto all'altra. La successiva lettera b) introduce la possibilità di opzione, sempre in caso di periodi di lavoro, consentendo al cittadino italiano o al possessore di doppia cittadinanza, quindi potenzialmente soggetto ad entrambe le normative, di scegliere la legislazione applicabile per tale periodo. Infine, ai sensi della lettera c), colui che non è cittadino italiano o statunitense, ma che per lo stesso periodo di lavoro è assoggettato alla legislazione concorrente di ambedue gli Stati, per tale periodo è assoggettato alla disciplina dello Stato in cui viene svolta l'attività.
Una prima differenza tra i criteri della territorialità e della cittadinanza e quelli dettati dal IV comma riguarda lo spiegamento del rapporto di lavoro: i primi tre commi, infatti, fanno un generale riferimento allo "svolgimento di un'attività" all'estero, senza soluzioni di continuità, mentre l'ultimo si riferisce unicamente a "periodi di lavoro". Come hanno giustamente osservato i giudici di legittimità nella sentenza n. 17108/2022, con tale locuzione si intende soltanto un'eventualità che può verificarsi nel corso di un rapporto di lavoro che espone il lavoratore ad un doppio regime previdenziale, il che comporta che l'opzione a carico del prestatore d'opera nel caso di cui alla lettera b) (così come in quello di cui alla lettera a)) del comma IV si riferisce unicamente a detti "periodi di lavoro", senza incidere sulla normativa previdenziale applicabile all'intero rapporto.

La decisione
Alla luce di questa panoramica, la Cassazione non ha potuto fare a meno di dichiarare l'infondatezza delle ragioni di ricorso e di confermare quanto già sostenuto dalla Corte territoriale, la quale ha ricondotto la fattispecie concreta – che vedeva come protagonisti lavoratori italiani presso una società americana, a sua volta controllata da un'impresa italiana – nell'ambito applicativo dell'articolo 7 comma III dell'Accordo, che prevede l'esclusione del criterio della territorialità a favore di quello della cittadinanza.
Da ritenersi inammissibile anche la seconda motivazione avanzata dalla ricorrente, relativa alla mancata opzione dei lavoratori a favore della disciplina previdenziale italiana e al comportamento concludente per l'applicazione della normativa statunitense.
A questo proposito, il Collegio ha evidenziato che l'esercizio dell'opzione posta a carico dei prestatori di lavoro richiede l'attivazione di una particolare procedura formale, descritta dal comma V dell'articolo 7, "il cui esito non è surrogabile da un comportamento concludente". In particolare, l'effettività delle esenzioni contemplate dalle disposizioni precedenti è subordinata alla certificazione dell'autorità competente (il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, per l'Italia, il Ministero della sanità, educazione e previdenza sociale, per gli Stati Uniti, secondo le precisazioni stabilite dall'art.1), la quale attesta che detti periodi di lavoro sono coperti dalla propria legge statale.
Alla luce di quanto sopra esposto, non sorprende, dunque, che la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza del 26 maggio 2022 n. 17108, abbia concluso per il rigetto del ricorso e per la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali a favore delle controparti.

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