Revoca della patente: il giudice può disporre la misura, il prefetto invece la deve applicare senza margini discrezionali

In tema di revoca della patente di guida possono convivere due modi differenti di apportare la sanzione. E allora mentre il giudice può disporre il ritiro del permesso di condurre, il prefetto deve procedere (senza che possa procedere discrezionalmente) all'applicazione delle pena accessoria. A tal proposito i Supremi giudici (sentenza n. 1666/23) hanno richiamato la decisione della Consulta n. 22/2018. Secondo quest'ultima la revoca amministrativa, diversamente dal "ritiro" della patente disposto dal giudice penale ai sensi dell'articolo 85 del Dpr n. 309/1990, non risponde a una funzione punitiva, retributiva o dissuasiva dalla commissione di illeciti, ma trova la sua ratio nell'individuazione di un perimetro di affidabilità morale del soggetto e nella selezione di ipotesi in presenza delle quali tale affidabilità viene meno.
Si legge, poi, nella decisione della Cassazione che il giudice che pronuncia la condanna per i reati può disporre la sospensione per un periodo non superiore a tre anni. Tale facoltà è legata alla circostanza che il togato si può trovare ad affrontare reati di lieve entità e di qui la possibilità e non il dovere di applicare la sanzione della revoca della patente. Il prefetto, invece, come ricordato, non ha questa facoltà di scelta in quanto, in assenza di requisiti morali di alcuni soggetti (come nel caso di condanna per droga), deve necessariamente procedere alla revoca della patente senza possibilità di modulare o addirittura non applicare la sanzione. Le due misure operano su piani diversi e rispondono a diverse finalità.
Quindi come scritto nella decisione della Cassazione il giudice penale ha la facoltà di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha, invece, il dovere di disporne la revoca.