Civile

Non è nullo il contratto bancario chiamato dalle parti "assicurazione sulla vita" ma che consiste in un investimento

Per la Cassazione l'aspetto formale non conta. Quel che rileva, invece, è che l'investitore e gli intermediari non abbiano violato le norme imperative in materia

di Giampaolo Piagnerelli

Un contratto bancario formalmente chiamato "assicurazione sulla vita" può avere una vera e propria finalità di investimento se le parti hanno raggiunto l'accordo sulla sostanza del negozio. Lo chiarisce la Cassazione con l'ordinanza n. 9446/22.

Il caso esaminato
Nel 2006 un soggetto ha stipulato con una società bancaria un contratto formalmente qualificato come "assicurazione sulla vita". Il contratto prevedeva che il premio versato dal contraente fosse investito in fondi speculativi e non era previsto un rendimento minimo e non comportava la garanzia di restituzione almeno del capitale investito. Il premio versato dal contraente era stato indirizzato presso due fondi di investimento divenuti illiquidi. Nel 2008 - allorchè l'attore ha esercitato il diritto di riscatto - ha ricevuto la restituzione di una somma largamente inferiore rispetto a quella investita. Alla luce di ciò l'investitore ha chiesto che fosse dichiarato nullo il contratto per violazione delle norme che disciplinano gli obblighi informativi precontrattuali e gli obblighi di diligenza gravanti sugli intermediari. Nei precedenti gradi di merito la richiesta è stata respinta. L'investitore ha presentato, quindi, ricorso in Cassazione ricordando di avere stipulato un contratto formalmente qualificato "assicurazione" ma che in verità costituiva un vero e proprio contratto di investimento e ritenendo pertanto che tale circostanza rendesse il contratto nullo.

La decisione della Cassazione
Secondo i Supremi giudici, invece, un contratto di investimento è valido e lecito e non diventa nullo solo perché le parti lo abbiano qualificato "assicurazione sulla vita", a condizione naturalmente che non siano state violate altre norme sostanziali. Pertanto il fatto che le parti abbiano definito "assicurazione sulla vita" un contratto che tale non era, non rende di per sé nullo il negozio, se esso non contrasti con norme imperative, o se l'erroneità della qualificazione formale non abbia tratto in inganno le parti. Ma non è questo il caso perché l'attore sapeva benissimo cosa si celasse dietro il contratto di assicurazione e quindi l'appello è stato rigettato anche dalla Cassazione.

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