Comunitario e Internazionale

Utero in affitto: sì all’allontanamento se non c'è legame biologico

di Marina Castellaneta

L’allontanamento del bambino dai genitori che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero è una misura conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Con la sentenza depositata ieri (ricorso n. 25358), la Grande Camera, massimo organo giurisdizionale della Corte europea per o diritti dell’uomo, dà ragione all’Italia e legittima il no al riconoscimento del legame genitoriale col figlio nato con l’ utero in affitto all’estero, vietata in Italia dalla legge 40/2004. Strasburgo ha ribaltato il giudizio della Camera.

Questi i fatti. Una coppia di cittadini italiani, dopo aver provato varie volte ad avere un figlio e dopo una lunga attesa per l’adozione, aveva deciso per la maternità surrogata in Russia, dove la pratica è ammessa. Il bimbo era stato registrato a Mosca come figlio della coppia, ma i due ricorrenti, rientrati in patria, non erano riusciti ad ottenere la trascrizione dell’atto di nascita nell’ufficio di stato civile. E il consolato italiano aveva segnalato la presenza di alcuni dati falsi nel fascicolo, facendo aprire un procedimento penale per alterazione dello stato civile. Era stata avviata, dopo l’allontanamento del bimbo, anche la procedura di adozione. Di qui il ricorso a Strasburgo. In “primo grado” la Camera aveva dato ragione alla coppia, ma la Grande Camera ha escluso la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, che assicura il diritto al rispetto della vita privata.

La Corte, chiarito che al centro dell’esame non è la trascrizione dell’atto di nascita ma l’allontanamento del minore, riconosce che la coppia aveva stretto legami familiari col bimbo immediatamente dopo la nascita (per sei mesi). Ma, tenendo conto dell’assenza di legami biologici, della breve durata del rapporto e della stessa incertezza del vincolo sotto il profilo giuridico, non ci sono le condizioni per configurare un diritto alla vita familiare, anche perché il rapporto non costituiva una famiglia de facto.

È vero che conta la qualità dei rapporti e non la quantità, ma la durata è rilevante e va presa in considerazione. I giudici hanno analizzato così la questione solo valutando il diritto alla vita privata. Sotto questo profilo, la Corte ammette che la decisione di allontanare il bimbo è stata un’ingerenza, ma non una violazione della Convenzione.

Questo perché l’ingerenza era prevista dalla legge italiana - che vieta la maternità surrogata - e le autorità nazionali hanno deciso solo dopo aver accertato che il bimbo non avrebbe sofferto un danno irreparabile. D’altra parte - osserva Strasburgo – gli Stati hanno competenza esclusiva nel riconoscere i legami sotto il profilo giuridico tra genitori e figli, con possibilità di tutelare il vincolo solo in caso di legami biologici o di adozione.

Rispettati anche gli standard di Strasburgo: i motivi che hanno portato all’ingerenza nel diritto alla vita privata dei genitori erano giustificati, rilevanti e sufficienti nonché necessari in una società democratica.

È vero che l’allontanamento e la dichiarazione di stato di abbandono del minore hanno avuto un impatto sui ricorrenti, ma le autorità italiane hanno giustamente messo in primo piano il bambino, escludendo danni irreparabili a seguito dell’allontanamento. Inoltre, lasciare il bimbo coi due ricorrenti avrebbe comportato la legalizzazione di una situazione in contrasto con regole di rilievo nell’ordinamento italiano. È così raggiunto un equilibrio tra gli interessi in gioco ed esclusa la violazione della Convenzione.

La sentenza avrà effetti ad ampio raggio e potrà servire a eliminare divergenze giurisprudenziali interne. Intanto ha suscitato varie reazioni politiche positive in Italia. Vengono prevalentemente dall’area cattolica (tra gli altri, Paola Binetti e Maurizio Lupi), leghista e dell’ex-ministro della Salute, Livia Turco. Evidenziano soprattutto che non esiste un diritto sancito dall’Ue a usare l’utero in affitto e che questa pratica nega la dignità del corpo femminile.

Corte europea dei diritti dell'Uomo – Grande Camera – Sentenza 24 gennaio 2017 – Ricorso n. 25358

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