Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 21 e il 25 novembre 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settima le Corti d'Appello si sono pronunciate in tema di trasparenza bancaria, sinistri stradali che coinvolgono un veicolo con targa di prova, rilascio di un immobile occupato, usucapione e, infine, transazione.
Da parte loro i Tribunali si sono soffermati sul rapporto di lavoro subordinato, sulla cessione di credito, sulle clausole vessatorie, sul risarcimento del danno biologico e infine, sull'apparenza del diritto.


BANCHE
Istituti di credito - Documentazione bancaria - Conservazione e disponibilità

(Dlgs 385/1993 , articolo 119)
Adita in tema di contratti bancari la Corte d'Appello di Firenze, nella sentenza qui in esame, si sofferma (tra l'altro) sulla corretta esegesi della norma ex articolo 119, IV, Dlgs n. 385/1993 (TUB) secondo cui, espressamente: "il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione".
Tale disposizione – precisa l'adita Corte - ha lo scopo di realizzare il principio di trasparenza dell'attività bancaria, rendendo chiaro e comprensibile all'utente medio il funzionamento del rapporto con la banca, consentendo la piena conoscenza dei costi gravanti sul rapporto nella fase di esecuzione.
Il diritto potestativo del correntista di ottenere una specifica prestazione da parte della banca discende direttamente dalla legge, in attuazione dell'obbligo di correttezza e solidarietà in cui si sostanza il principio di buona fede, essendo l'obbligazione idonea a preservare gli interessi del correntista, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a carico della banca.
Per la concreta realizzazione di tale assetto di interessi è richiesta alla banca una peculiare diligenza nella conservazione e nel mantenimento della disponibilità della documentazione, diligenza che non sussiste nel caso in cui la stessa banca semplicemente dismetta il relativo archivio in favore di un altro soggetto.
In caso contrario, infatti, ricadrebbero sul cliente, esso sì incolpevole, le conseguenze delle scelte gestorie poste in essere dalla banca con la conseguenza di rendere meramente teorico il diritto riconosciuto allo stesso quale correntista.
Corte di Appello di Firenze, sezione II, sentenza 22 novembre 2022 n. 2613

CIRCOLAZIONE STRADALE
Sinistri stradali – Veicolo con targa di prova – Responsabilità civile – Assicuratore del veicolo
(Dpr 474/2021, articolo 1)
La Corte d'Appello di Milano è chiamata a pronunciarsi in tema di risarcimento danni da sinistro stradale quando uno dei veicoli coinvolti rechi la targa di prova.
Precisa così che l'autorizzazione ministeriale alla circolazione con targa di prova, regolata dall'articolo 1 Dpr n. 474/2001, è consentita ai veicoli privi della carta di circolazione e non immatricolati la cui circolazione sia necessaria per prove tecniche, sperimentali o costruttive o per dimostrazioni finalizzate alla vendita, previa stipula di polizza assicurativa per la responsabilità civile da parte dei titolari della specifica autorizzazione (officine, concessionari, costruttori, ecc.), con la quale viene assicurato ogni veicolo dotato della targa di prova.
Nel caso in cui un veicolo già immatricolato, regolarmente targato e munito di copertura assicurativa per la Rca – e circolante con targa di prova del titolare dell'officina di riparazione per essere controllato o a scopo dimostrativo o per collaudo - abbia cagionato danni, di questi risponde solo l'assicuratore del mezzo e non quello della targa di prova in quanto la finalità di quest'ultima non è quella di sostituirsi all'assicurazione del veicolo, bensì quella di munire di copertura assicurativa i veicoli non ancora immatricolati.
La targa di prova rappresenta, in definitiva, una deroga alla previa immatricolazione e alla documentazione propedeutica alla "messa in circolazione", ma se l'auto è già in regola con i due presupposti (carta di circolazione e immatricolazione), la deroga non è funzionale allo scopo.
Tale veicolo, pertanto, gode della normale polizza assicurativa della quale è titolare il suo proprietario. Polizza che opera, normalmente, quale che sia il conducente del veicolo assicurato.
Ritiene così l'adita Corte che l'apposizione della targa di prova e la relativa specifica assicurazione, diversa da quella della responsabilità civile, non operano nel caso in cui il veicolo sia stato già immatricolato, in quanto detto mezzo gode della polizza assicurativa per la Rca, stipulata dal suo proprietario.
Corte di Appello di Milano, sezione II, sentenza 22 novembre 2022 n. 3670

IMMOBILI
Immobile occupato – Rilascio - Esecuzione in forma specifica
(Cpc, articoli 404, 619)
È affermazione di diritto della Corte d'Appello di Bari quella secondo cui nell'esecuzione per consegna o rilascio, avviata in forza di sentenza resa inter alios, ove il terzo lamenti una lesione della sua situazione soggettiva che gli derivi non già da un errore sorto nel procedimento esecutivo, bensì direttamente dalla sentenza che ha accertato un diritto incompatibile con quello da lui vantato, non può proporre l'opposizione di terzo all'esecuzione, ai sensi dell'articolo 619 c.p.c., ma deve impugnare il provvedimento stesso con l'opposizione di terzo ordinaria, ai sensi dell'articolo 404, I, c.p.c..
Scopo dell'esecuzione in forma specifica è, invero, quello di adeguare la situazione di fatto a quella giuridica consacrata nel titolo, immettendo l'avente diritto nel possesso o nella detenzione della cosa.
Ciò spiega perché – sempre secondo l'adita Corte pugliese - l'ordine contenuto in una sentenza di condanna al rilascio di un immobile spiega efficacia nei confronti, non solo del destinatario della relativa statuizione, ma anche di chiunque si trovi a detenere il bene nel momento in cui la sentenza stessa venga coattivamente eseguita.
La statuizione, dunque, non può essere contrastata, ed elusa, opponendo un eventuale titolo giustificativo della disponibilità del bene in contestazione, diverso da quello preso in esame dalla pronuncia giurisdizionale, mentre il possessore o detentore, qualora ritenga lesi i suoi diritti dal provvedimento di rilascio, può provvedere alla loro tutela mediante l'opposizione di terzo ex articolo 404 c.p.c., salva sempre un'autonoma azione di accertamento.
È, altresì, esclusa la possibilità di una riqualificazione delle due azioni attese le diversità di tipo strutturale e funzionale: sia per la competenza (l'una da proporsi dinanzi al Giudice dell'esecuzione, l'altra dinanzi al Giudice che ha emesso l'arresto pregiudicante) sia per le decisive differenze di "causa petendi" e "petitum".
Corte di Appello di Bari, sezione I, sentenza 23 novembre 2022 n. 1705

USUCAPIONE
Usucapione – Possesso ad usucapionem – Atti idonei
(Cc, articolo 1158)
La Corte d'Appello di Roma, adita in materia di usucapione, precisa in sentenza come, ai fini della configurabilità del possesso ad usucapionem, si renda necessaria la sussistenza di un comportamento possessorio continuo e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di un diritto reale.
Precisamente, elementi costitutivi dell'acquisto della proprietà ex articolo 1158 c.c. sono il possesso pacifico (determinato dal comportamento acquiescente e dismissivo del proprietario), pubblico (ossia acquistato in modo non clandestino ovvero a clandestinità terminata), continuo e non interrotto (con l'intenzione di esercitarlo per tutto il tempo all'uopo previsto dalla legge).
Gli atti idonei al possesso ad usucapionem vanno valutati in relazione alla natura e destinazione del bene, purché siano tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria, in contrapposizione all'inerzia del titolare.
E così la mera coltivazione del terreno non configura un potere dominicale e, quindi, un possesso uti domini, idoneo ai fini dell'acquisto per usucapione, poiché tale attività è pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale, o sulla mera tolleranza del proprietario, e non esprime di per sé un'attività idonea a realizzare un'esclusione dei terzi dal godimento del bene, espressione tipica del diritto di proprietà.
Al contempo non esprime di per sé l'esercizio di un potere dominicale la realizzazione di piccole costruzioni (baracche), che possono essere realizzate da chiunque (non necessariamente dal proprietario) si occupi della coltivazione del terreno e dell'allevamento di piccoli animali.
Con la precisazione che chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve provare tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus, ma anche dell'animus.
In materia di prova si precisa, invero, che la domanda di usucapione è soggetta alla dimostrazione quanto mai rigorosa in ordine all'inizio, alla durata ed alle modalità del possesso ad usucapionem.
Corte di Appello di Roma, sezione VII, sentenza 23 novembre 2022 n. 7472


CONTRATTI
Contratto di transazione – Requisiti - Forma scritta
(Cc, articoli 1350, 1965, 1967)
La Corte d'Appello di Catanzaro afferma in sentenza (tra l'altro) il principio di diritto secondo cui la transazione (articolo 1965 c.c.) è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.
In particolare, si osserva come trattasi di un contratto consensuale, e a prestazioni corrispettive, la cui forma scritta è richiesta, in genere, ad probationem, salvo l'ipotesi in cui il contratto abbia ad oggetto i diritti di cui all'articolo 1350 c.c., nel qual caso è richiesta la forma scritta per la validità del contratto.
Il presupposto della res dubia che caratterizza la transazione è integrato non dalla incertezza obiettiva circa lo stato di fatto o di diritto, ma dalla sussistenza di discordanti valutazioni in ordine alle correlative situazioni giudiziali ed ai rispettivi diritti ed obblighi delle parti, con la conseguenza che nessuna incidenza sulla validità e sulla efficacia del negozio può attribuirsi all'accertamento ex post della assoluta infondatezza di una delle contrapposte pretese.
A mente dell'articolo 1967 c.c. la transazione deve essere provata per iscritto e ciò implica che deve escludersi che la stessa possa essere provata per presunzioni e per testi.
Il danneggiato, anche dopo aver transatto la lite con il danneggiante, può sempre domandare il risarcimento dei danni sopravvenuti e non ragionevolmente prevedibili al momento della transazione, a nulla rilevando che la transazione abbia previsto l'estinzione del diritto al risarcimento anche dei danni futuri, potendo tale previsione riguardare solo quelli, tra i danni futuri, ragionevolmente prevedibili al momento della stipula.
Una revisione successiva al primitivo assetto di interessi è quindi consentita solo laddove, al momento della prima liquidazione non erano obiettivamente accertabili, nell'ambito di una ragionevole previsione, elementi attuali capaci di determinare l'aggravamento futuro, o non erano conoscibili e/o prevedibili gli effetti dei medesimi ovvero non sussisteva ancora un evento manifestatosi successivamente, con efficacia concausale dell'aggravamento.
Con la precisazione che la conoscibilità esprime un concetto consustanziale alla manifestazione o esteriorizzazione di un danno già presente e dunque percepibile; la prevedibilità si riconnette alla presenza di elementi attuali che lasciano ragionevolmente prevedere l'aggravamento futuro.
Corte di Appello di Catanzaro, sezione I, sentenza 24 novembre 2022 n. 1340  

LAVORO
Rapporto di lavoro subordinato – Retribuzione – Lavoro straordinario – Onere della prova
(Cc, articolo 2697)
Nella sentenza in esame il Tribunale di Teramo afferma il principio di diritto a mente del quale, qualora il lavoratore agisca in giudizio per conseguire le retribuzioni allo stesso spettanti, ha l'onere di provare l'esistenza del rapporto di lavoro quale fatto costitutivo del diritto azionato.
Incombe poi sul datore di lavoro, il quale eventualmente eccepisca l'avvenuta corresponsione delle somme richieste, l'onere di fornire la prova di siffatta corresponsione.
Tale principio vale sia per la retribuzione mensile, sia per la 13ª e la 14ª mensilità - che costituiscono una sorta di retribuzione differita - sia per la corresponsione del Tfr, che integra parimenti una componente del trattamento economico, costituendo una sorta di accantonamento da parte del datore di lavoro.
Non solo. L'adito Giudice del lavoro applica il principio in esame anche quanto all'orario di lavoro.
Rammenta così che la prova relativa ai fatti costitutivi del diritto a compenso per lavoro straordinario è a carico del lavoratore ex articolo 2697 c.c. e deve rigorosamente riguardare sia l'orario normale di lavoro, ove diverso da quello legale, sia la prestazione di lavoro asseritamente eccedente quella ordinaria nonché la misura relativa, quanto meno in termini sufficientemente concreti e realistici, affinché possa riconoscersi il diritto alla corresponsione delle maggiorazioni retributive a titolo di straordinario, di indennità sostitutiva delle ferie o dei riposi compensativi non goduti, senza possibilità per il giudice di determinarla equitativamente.
Come noto, poi, a norma dell'articolo 2087 c.c., l'imprenditore è tenuto ad adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, si rivelino necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
Tale disposizione non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro - di natura contrattuale - va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge, o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, sicchè – anche in tale ipotesi - incombe ex articolo 2697, I, c.c. a carico del lavoratore - che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute - l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l'una e l'altra.
Tribunale di Teramo, sezione lavoro, sentenza 21 novembre 2022 n. 587

CESSIONE DEL CREDITO
Cessione del credito – Notificazione al debitore ceduto – Forma
(Cc, articolo 1264)
In tema di cessione del credito, afferma l'adito Tribunale di Torino, la notificazione al debitore ceduto, prevista dall'articolo 1264 c.c., non si identifica con quella effettuata ai sensi dell'ordinamento processuale, ma costituisce un atto a forma libera che, in quanto tale, può concretarsi in qualsivoglia atto idoneo a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio.
Precisamente, con la conclusione del contratto di cessione di credito, mediante lo scambio del consenso tra cedente e cessionario il credito si trasferisce dal patrimonio del cedente a quello del cessionario, che diviene creditore esclusivo del debitore ceduto, l'unico legittimato a pretendere (anche in via esecutiva) la prestazione nei confronti del medesimo, pur in mancanza della notificazione prevista all'articolo 1264 c.c., invero necessaria al solo fine di escludere l'efficacia liberatoria del pagamento dal debitore ceduto eventualmente effettuato in buona fede al cedente anziché al cessionario, nonché, in caso di cessioni diacroniche del medesimo credito, per risolvere il conflitto tra più cessionari, trovando applicazione in tal caso il principio della priorità temporale riconosciuta al primo notificante.
Dal momento in cui si verifica l'effetto traslativo dei crediti del cedente al cessionario quest'ultimo può pretendere l'adempimento dal debitore ceduto, che può tuttavia liberarsi pagando al creditore originario solo se non ha comunque conoscenza della cessione, giacché dall'accettazione o dalla notifica di questo negozio (che può avvenire con qualsiasi mezzo idoneo a fargli conoscere la mutata titolarità attiva del rapporto, senza necessità di trasmettergli l'originale o la copia autentica della cessione, purché possa conoscerne gli elementi identificativi e costitutivi) l'adempimento al cedente nonostante tale conoscenza non ha più efficacia liberatoria.
Posto che a seguito della cessione del credito, il debitore ceduto diviene obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui lo era nei confronti del creditore originario, ne consegue la possibilità per il ceduto di opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente, sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto anteriori alla cessione od anche posteriori al trasferimento, ma anteriori all'accettazione della cessione, o alla sua notifica, o alla sua conoscenza di fatto
Tribunale di Torino, sezione I, sentenza 21 novembre 2022 n. 4472

CLAUSOLE VESSATORIE
Clausole vessatorie – Illeggibilità – Conseguenze
(Cc, articoli 1341, 1342)
Il Tribunale di Catanzaro statuisce in punto di diritto che, chi ha sottoscritto clausole vessatorie che non siano leggibili per diversi motivi (sbiadite, piccole, colori non evidenti etc.), ha il dovere di richiedere lo stesso contratto con le stesse condizioni, ma leggibili: se ciò non avviene si assume il rischio di non sapere cosa ha firmato.
Le clausole vessatorie riguardano quelle ipotesi in cui uno dei contraenti, sfruttando la propria condizione di supremazia negoziale nell'equilibrio contrattuale, impone in via unilaterale alla controparte delle condizioni contrattuali deteriori rispetto a quelle che, altrimenti, sarebbero state ordinariamente applicabili al contratto.
Ciò si verifica, in particolare, in situazioni in cui la parte "forte" del rapporto è anche quella che predispone materialmente il contratto, al quale il contraente "debole" ha solo la facoltà di aderire.
La disciplina di riferimento, nel tessuto codicistico, è contenuta negli articoli 1341 e 1342 c.c., rispettivamente dedicati alle condizioni generali di contratto e alla disciplina dei contratti conclusi mediante moduli e formulari.
In questi casi, il codice (articolo 1341, II, richiamato a sua volta dall'articolo 1342) prevede una forma di tutela minima del contraente debole, richiedendo in via formale che alcune clausole particolarmente gravose non siano efficaci nei suoi confronti se non approvate espressamente per iscritto.
La ratio di tale disciplina risiede nella necessità di garantire che il contraente, che non abbia predisposto il contratto, sia stato comunque pienamente consapevole della disciplina del rapporto; in sintesi, che abbia quantomeno conosciuto ed accettato gli effetti di quelle clausole che incidono in modo così significativo sul rapporto contrattuale.
Con la precisazione secondo cui la mera attività di formulazione del regolamento contrattuale è da tenere distinta dalla predisposizione delle condizioni generali di contratto, le quali sono tali soltanto quando siano destinate a disciplinare una serie indefinita di rapporti contrattuali, e non già quando le clausole contrattuali siano elaborate da uno dei due contraenti in previsione e con riferimento ad un singolo, specifico negozio, a cui l'altro contraente possa, del tutto legittimamente, richiedere di apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto.
Tribunale di Catanzaro, sezione II, sentenza 23 novembre 2022 n. 1682

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Danno biologico – Natura giuridica – Risarcimento
(Cc, articolo 1226)
Secondo quanto afferma in sentenza il Tribunale di Milano, ai fini del risarcimento, il danno biologico deve essere considerato in relazione all'integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita; non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana.
E cioè a dire, il danno biologico consiste in una ordinaria compromissione delle attività quotidiane (gli aspetti dinamico relazionali) per cui esso non comprende i pregiudizi dinamico relazionali ma è esattamente il danno dinamico relazionale, cui segue anche il danno da sofferenza soggettiva interiore.
Con la precisazione che, in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione); ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.
Con riguardo al quantum della liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'articolo 1226 c.c. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché esaminati da differenti Uffici Giudiziari.
Garantisce una tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono. L'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito.
Tribunale di Milano, sezione X, sentenza 23 novembre 2022 n. 9209


PROCESSO CIVILE
Apparenza del diritto – Operatività – Limiti
(Cc, articoli 1189, 1393)
I principi di affidamento incolpevole e dell'apparenza del diritto possono essere invocati, secondo quanto afferma in sentenza l'adito Tribunale di Pisa, solo in tema di rappresentanza e solo laddove vi sia un rappresentante apparente che ingeneri nel terzo un legittimo affidamento.
Precisamente, il principio della cosiddetta apparenza del diritto si ha quando una situazione giuridica, in realtà inesistente, appare esistente ad un soggetto non a causa di un suo comportamento colposo, ma a causa del comportamento colposo del soggetto nei cui confronti l'apparenza è invocata: in tale ipotesi è tutelata la posizione del soggetto al quale la situazione giuridica sia apparsa, senza sua colpa, esistente.
Il principio dell'apparenza del diritto - che viene ricondotto a quello più generale della tutela dell'affidamento incolpevole del terzo - è di ampia applicazione e ben può essere invocato, in tema di rappresentanza, quando, indipendentemente dalla richiesta di giustificazione dei poteri del rappresentante, a norma dell'articolo 1393 c.c., non solo vi sia la buona fede del terzo, che abbia concluso atti con il falso rappresentante, ma sussista, altresì, un comportamento colposo del rappresentato, che sia tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente.
L'accertamento degli elementi oggettivi idonei a giustificare nel terzo la ragionevole convinzione della corrispondenza, a quella reale, della situazione apparente, costituisce tipica valutazione fatto, riservata al Giudice del merito e censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione.
Di conseguenza il principio dell'apparenza del diritto ex articolo 1189 c.c. trova applicazione quando sussistono uno stato di fatto difforme dalla situazione di diritto ed un errore scusabile del terzo circa la corrispondenza del primo alla realtà giuridica, sicché il Giudice deve procedere all'indagine non solo sulla buona fede del terzo ma anche sulla ragionevolezza del suo affidamento che non può essere invocato da chi versi in una situazione di colpa, riconducibile alla negligenza, per aver trascurato l'obbligo, derivante dalla stessa legge, oltre che dall'osservanza delle norme di comune prudenza, di accertarsi della realtà delle cose, facilmente controllabile.
Tribunale di Pisa, sentenza 24 novembre 2022 n. 1457

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