Civile

Difensore d'ufficio, il tentativo di recupero del credito va compensato

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 7275 depositata oggi

di Francesco Machina Grifeo

Il difensore d'ufficio di un imputato in un processo penale ha diritto, in sede di esperimento della procedura di liquidazione dei propri compensi professionali, anche al rimborso delle spese, dei diritti e degli onorari relativi alle procedure di recupero del credito non andate a buon fine. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 7275 depositata oggi, accogliendo con rinvio il ricorso di un legale.

Per il Tribunale di Ferrara, in linea di principio, era dovuto il rimborso delle sole spese sostenute per l'attività di recupero e non anche degli onorari. Tuttavia nel caso specifico, in difetto di prove, non poteva accordarsi neppure quello.

Proposto ricorso, la II Sezione civile l'ha accolto affermando che la liquidazione anche degli onorari per l'attività professionale di recupero «risulta del tutto coerente con la lettera dell'art. 116 D.P.R. n. 115/2002 e con la sua stessa ratio, poiché l'estensione della liquidazione anche ai compensi e agli esborsi resisi necessari per la conseguente procedura esecutiva, ancorché rimasta infruttuosa, si giustifica per riferirsi strumentalmente e funzionalmente ad una precedente attività professionale comunque resa (anche) nell'interesse dello Stato».

La Corte ricorda poi che «il difensore d'ufficio non può ottenere la liquidazione dell'onorario a carico dell'erario senza dimostrare di aver effettuato un vano e non pretestuoso tentativo di recupero (nella specie attraverso l'emissione del decreto ingiuntivo, l'intimazione dell'atto di precetto ed il verbale di pignoramento immobiliare negativo), ma non è tenuto a provare anche l'impossidenza dell'assistito, che si risolverebbe in un onere eccessivo e non funzionale all'istituto della difesa d'ufficio» (Cass. n. 8359/2020).

E che in tema di opposizione avverso il provvedimento di liquidazione del compenso professionale, il giudice (di cui all'art. 15 del d.lgs. n. 150 del 2011) «ha il potere-dovere di richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione, dovendo la locuzione "può", contenuta in tale norma, essere intesa non come espressione di mera discrezionalità, bensì come potere-dovere di decidere causa cognita, senza limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull'onere della prova» (Cass. n. 23133/2021).

Da qui il duplice errore in cui è incorso il giudice dell'opposizione, il quale, investito della richiesta di rimborso comprensiva degli onorari, «invece di assumere posizioni di principio, avrebbe dovuto verificare se il difensore avesse dimostrato di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali; e dinanzi al dubbio sulla sufficienza della prova richiesta avrebbe dovuto fare uso dei poteri accordati dall'art. 15 del d.lgs. n. 150 del 2011».

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