Civile

Covid, centri accoglienza obbligati al distanziamento

di Patrizia Maciocchi

Nei centri di accoglienza per richiedenti asilo doveva essere rispettato il distanziamento previsto dalla misure anti Covid. Senza nessuna possibilità di bilanciare il diritto fondamentale alla salute con altre esigenze dettate dalla difficoltà di gestione dei Cas. Nessun potere pubblico può infatti incidere sul diritto alla salute. Un diritto che non può essere degradato a interesse legittimo e sulla cui lesione - in caso di mancato rispetto della normativa nazionale - si deve esprimere il giudice ordinario e non quello amministrativo. Le Sezioni unite (Ordinanza 4873) accolgono il ricorso dell’associazione per gli studi giuridici per l’immigrazione. I ricorrenti , in contrasto con il ministero dell’Interno , affermano che spetta al giudice ordinario esprimersi sul sovraffollamento di un Cas, che avrebbe impedito, per l’inadeguatezza della struttura di rispettare le norme di contenimento per la pandemia, in assenza di trasferimenti. Una controversia rispetto alla quale il Tribunale di Bologna aveva dichiarato il suo difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo: decisione che le Sezioni unite bocciano. Per il Supremo collegio la parola non spetta al giudice amministrativo perché dall’esame delle leggi e delle circolari dettate per il contenimento del virus, risulta chiaro che la Pa non aveva alcun margine di discrezionalità nell’applicare o meno il distanziamento. Il diritto alla salute, nello specifico assicurato dal metro di distanza, è insito nelle norme che non consentono alcun bilanciamento di diritti fondamentali. I principi costituzionali di uguaglianza e parità impediscono di giustificare qualunque compressione pur nell’eccezionalità e nelle difficoltà insite nella gestione dei servizi di accoglienza.

La giurisdizione del giudice ordinario non sta quindi nella negazione dell’esistenza di un potere amministrativo nella gestione dei centri, ma nel fatto che tale potere «è talmente circoscritto e vincolato che l’amministrazione è unicamente tenuta ad eseguire un comportamento prefissato dal quadro normativo di riferimento». Sarà allora il giudice ordinario a decidere se la Pa , con la sua attività improntata al principio del neminem ledere, ha rispettato le norme. E, in caso contrario, decidere per la condanna sia al risarcimento danni sia a mettere in atto azioni positive.

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