Comunitario e Internazionale

Cgue, per i giudici di pace congedo annuale retribuito e protezione sociale e previdenziale

La Corte precisa inoltre la normativa italiana non è conforme al diritto dell'Unione nella parte in cui non prevede la possibilità di sanzionare in maniera effettiva e dissuasiva il rinnovo abusivo del mandato

Per i giudici di pace non è giustificata l'esclusione di qualsiasi diritto ad un congedo annuale retribuito e ad ogni forma di protezione sociale e previdenziale, quando ricorrono due condizioni: 1) che il giudice di pace rientri nella nozione di "lavoratore a tempo parziale" o di "lavoratore a tempo determinato", definite dagli accordi-quadro in materia; 2) che versi in una situazione comparabile a quella di in magistrato ordinario. Lo precisa la Cgue con la sentenza nella causa C-236/20 depositata oggi

La sentenza del 2018
La Corte riafferma innanzitutto i principi di diritto contenuti nella sentenza resa in data 16 luglio 2020 in materia di status dei Giudici di pace italiani (causa C-658/18). Con l'anzidetta pronuncia, la Corte aveva affermato che un giudice di pace potrebbe rientrare nella nozione di "lavoratore a tempo determinato" in presenza di determinate circostanze - quali ad esempio la nomina per un periodo limitato, lo svolgimento di prestazioni reali, effettive, non puramente marginali né accessorie- le quali devono essere verificate a cura del giudice nazionale.
La Corte aveva altresì ritenuto che una differenza di trattamento dei giudici di pace rispetto ai giudici ordinari, ai fini delle ferie retribuite, potesse essere giustificata da differenze obiettive tra le due categorie, in particolare la natura peculiare dei compiti e delle responsabilità affidate ai soli magistrati togati, nonché l'elevato livello della qualificazione professionale loro richiesta per la realizzazione di tali compiti e per l'assunzione di dette responsabilità.
La Corte aveva statuito, in sostanza, che (in linea di massima e fatta sempre salva la valutazione in concreto del giudice nazionale), le differenze di trattamento esistenti tra giudici di pace e giudici ordinari, compresa quella in materia di ferie annuali retribuite, potessero apparire adeguate e proporzionate rispetto all'obiettivo di differenziare diverse modalità di esercizio della funzione giudicante

Le ulteriori precisazione dell'attuale sentenza
Con la pronuncia odierna, la Corte aggiunge che le differenze obiettive tra le due categorie non giustificano l'esclusione dal congedo annuale o dalle altre forme di protezione sociale e previdenziale. La Corte ribadisce che spetta alla giurisdizione nazionale valutare se il ricorrente sia "lavoratrice a tempo determinato" ai sensi dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato o "lavoratrice a tempo parziale" ai sensi dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale.
Infine, in ordine alla proroga dei mandati, la Corte osserva che la normativa italiana prevede sia un limite al numero che alla durata dei mandati dei giudici di pace, in conformità alle prescrizioni europee, mentre non prevede alcun rimedio per l'ipotesi di rinnovo abusivo dei contratti a durata determinata, ma solo il –legittimo- divieto generale di trasformazione degli stessi in rapporto a tempo indeterminato per il settore pubblico. Conclude pertanto che la normativa italiana non è conforme al diritto dell'Unione nella parte in cui non prevede la possibilità di sanzionare in maniera effettiva e dissuasiva il rinnovo abusivo del mandato dei giudici di pace, sempre che questo rapporto sia configurabile come contratto di lavoro a tempo determinato.

La ricostruzione normativa
In Italia, la funzione di giudice di pace è esercitata da un magistrato onorario – spesso, un avvocato – nominato con decreto del Presidente della Repubblica per la durata di quattro anni. Inizialmente il mandato poteva essere rinnovato una sola volta, mentre oggi può essere prorogato per altre tre volte, per una durata totale di 16 anni.
Nell'esercizio delle loro funzioni, i giudici di pace fanno parte dell'ordine gi udiziario, anche se possono continuare a svolgere la professione di avvocati (purché in circondario diverso da quello ove ha sede l'ufficio al quale sono assegnati come giudici di pace).
Per l'esercizio delle funzioni di giudice di pace, lo Stato corrisponde, con cadenza mensile, delle indennità fisse a titolo di rimborso spese nonché delle indennità variabili parametrate al numero di udienze tenute e al numero di cause definite nel mese. Non godono di alcuna copertura sociale né previdenziale in ragione del loro incarico. Nei periodi in cui non lavorano,come nel periodo di ferie giudiziarie, i giudici di pace non ricevono alcun compenso.
I giudici ordinari (magistrati cosiddetti "togati", cioè professionali), sono assunti a tempo indeterminato dopo il superamento di un concorso pubblico, secondo una disposizione costituzionale; non possono esercitare alcuna altra professione, sono retribuiti con uno stipendio fisso e hanno diritto a 30 giorni di ferie retribuite all'anno.

Il caso esaminato
PG ha esercitato ininterrottamente le funzioni di giudice di pace dal 3 luglio 2002 al 31 maggio 2016. Si è rivolta al Tribunale Amministrativo Regionale dell'Emilia Romagna per chiedere il riconoscimento del suo status giuridico di impiegato pubblico, a tempo pieno o a tempo parziale, e dei suoi diritti economici, sociali e previdenziali.
Il Tribunale Amministrativo Regionale dell'Emilia Romagna ha adito la Corte di Giustizia per verificare la compatibilità con il diritto dell'Unione della normativa nazionale, secondo la quale i giudici di pace italiani non hanno diritto ad alcun congedo annuale retribuito, né ad alcun regime sociale e previdenziale, e sarebbero altresì privi di qualsivoglia rimedio giurisdizionale in caso di proroga abusiva del mandato a tempo determinato.

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