Società

Revoca fallimento, per la revoca del fallimento il liquidatore paga il legale di tasca propria

Lo ha chiarito la Corte di cassazione con la ordinanza n. 3698 della II Sezione civile della Cassazione

di Francesco Machina Grifeo

In caso di cancellazione della società, l'incarico professionale conferito all'avvocato per la revoca del fallimento da parte dell'ex commissario liquidatore si intende dato a titolo personale. Ne consegue che il pagamento dei compensi non graverà sulla società fallita ma sarà direttamente in capo all'ex commissario. Lo ha chiarito la Corte di cassazione con la ordinanza n. 3698 depositata oggi respingendo il ricorso contro la condanna a pagare la parcella.

In primo grado invece il Tribunale di Brescia aveva dato ragione all'attuale ricorrente riconoscendone la carenza di legittimazione passiva. Nel ricorso in appello proposto da parte dell'avvocato, l'ex liquidatore si era costituito affermando di "non aver conferito all'avvocato alcun incarico a titolo personale e per conto proprio, ma quale rappresentante della società", ragione per cui si opponeva alla pretesa di pagamento eccependo il proprio "difetto di legittimazione passiva".

La Corte territoriale di Brescia, tuttavia, accoglieva l'appello condannando il liquidatore al pagamento di 5.190,40 euro e alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio. Osservava la Corte territoriale che nel novembre 2004, cioè all'epoca in cui l'attuale ricorrente aveva conferito all'avvocato l'incarico diretto a ottenere la revoca del fallimento della società, "quest'ultima era ormai cessata da ben 8 anni". E non vi era dubbio che la definitiva cessazione della società e la sua cancellazione dal Registro delle Imprese avesse comportato la definitiva cessazione dalla carica di liquidatore, "di tal guisa il mandato per agire in giudizio non poteva che essere stato conferito in proprio".

Nel ricorso in Cassazione il liquidatore ha sostenuto che dovesse trovare applicazione l'articolo 2495, comma 2, del Cc, come interpretato in epoca precedente all'introduzione della riforma del diritto societario, essendo la società stata cancellata dal Registro delle Imprese nell'anno 1996. Infatti, solo per le cancellazioni adempiute successivamente al 10 gennaio 2004 (data di entrata in vigore dell'articolo 4 del Dlgs n. 6/2003) poteva trovare applicazione il principio per cui la cancellazione dal Registro delle Imprese determina l'immediata estinzione della società, indipendentemente dall'esaurimento dei rapporti giuridici a essa facenti capo.

Un ragionamento bocciato dalla II Sezione civile che ricorda come la Corte di merito abbia ritenuto di ascrivere al ricorrente, in proprio e non quale liquidatore della società il conferimento del mandato all'avvocato, "considerato che le prestazioni professionali riguardavano l'opposizione alla sentenza di fallimento della società e l'esecuzione forzata ai danni degli eredi della creditrice istante; che nel novembre 2004, alla data del conferimento di incarico all'avvocato, la società era cessata da ben otto anni; che l'opposizione a sentenza di fallimento può essere proposta non solo dal debitore ma da qualunque interessato; che nell'atto introduttivo del giudizio per revoca del fallimento, lo stesso ricorrente aveva fatto valere il proprio interesse ad agire non per rivestire carica attuale nella società, ma per essere stato nel corso degli anni 90, prima amministratore e poi liquidatore, da cui l'interesse a neutralizzare ogni riferibilità tra la dichiarazione di fallimento e la propria persona".

Tanto rilevato, la Corte ha ritenuto provato che il mandato all'avvocato fosse stato conferito in proprio.

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