Amministrativo

Il Consiglio di Stato si pronuncia sull'obbligo delle imprese di dichiarare condanne risalenti nel tempo

Nota a sentenza Consiglio di Stato, Sez. V, 27 gennaio 2022, n. 575

di Daniele Archilletti*

"Il principio generale di proporzionalità dell'azione amministrativa, di derivazione unionale, impone di ritenere irrilevante il fatto costitutivo della causa di esclusione prevista dall'art. 80 comma 5, lett. c), del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, qualora esso sia stato commesso oltre tre anni prima dell'indizione della relativa procedura di gara. A opinare diversamente, infatti, si configurerebbe un obbligo dichiarativo generalizzato ed eccessivamente oneroso in capo all'operatore economico, poiché concernente vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa".

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha analizzato l'annosa questione degli oneri dichiarativi posti in capo all'operatore economico che prende parte a una procedura di evidenza pubblica, focalizzando la propria attenzione sul perimetro applicativo dell'art. 80, commi 5, lett. c) nonché 10 e 10-bis del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

La questione in esame è giunta all'attenzione del Supremo Consesso dopo che il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia si è pronunciato in ordine alla legittimità dell'annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione originariamente disposto in favore di un raggruppamento temporaneo d'imprese, motivato sulla base della mancata dichiarazione di una condanna alla reclusione di due anni e otto mesi per il reato di estorsione ex art. 629 c.p., inflitta al socio di maggioranza cessato dalla carica nell'anno antecedente alla data di pubblicazione della gara.

Tale condanna è stata ritenuta idonea a integrare il grave illecito professionale ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e, quindi, tale da non poter esonerare l'operatore economico interessato dai propri oneri dichiarativi.

Investito della controversia volta a ottenere l'annullamento e/o la riforma della sentenza resa dal giudice di primo grado, il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato e, quindi, meritevole di accoglimento l'appello proposto, basando il proprio percorso argomentativo sull'analisi delle disposizioni codicistiche e, in particolare, dell'art. 80, comma 5, lett. c) nonché dei commi 10 e 10-bis della medesima prescrizione normativa.

All'esito di tale analisi, il Consiglio di Stato ha rilevato, per un verso, che la prima delle citate norme non contempla un generale limite cronologico, superato il quale i fatti idonei a mettere in dubbio l'affidabilità o l'integrità professionale dell'operatore economico non potrebbero assumere rilevanza come gravi illeciti professionali; per altro verso, che i riferimenti alla durata dell'effetto giuridico impeditivo della partecipazione alle procedure di gara, contenuti nell'art. 80, commi 10 e 10-bis, si riferiscono, nel primo caso, all'ipotesi in cui la sentenza di condanna definitiva non abbia fissato la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione – o non sia intervenuta la riabilitazione – e, nel secondo caso, alla circostanza in cui sia intervenuto, nel corso di procedure di gara precedenti, un provvedimento di esclusione nei confronti dell'operatore economico.In forza di ciò, il Consiglio di Stato ha concluso affermando che l'assenza nell'ordinamento giuridico interno di una norma che fissa un limite cronologico di carattere generale entro il quale operi la rilevanza dei fatti valutabili nell'ambito delle cause di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c), impone il ricorso alla norma di cui all'art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE, alla quale la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha attribuito efficacia diretta nell'ordinamento interno, con conseguente immediata applicabilità (vds. Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2018, n. 6576; id., 5 marzo 2020, n. 1605; id., 12 marzo 2020, n. 1774).

Secondo tale disposizione, il periodo di esclusione per i motivi di cui al relativo paragrafo 4 (all'interno del quale rientrano sia la causa di esclusione per gravi illeciti professionali [lett. c)], sia quella delle «false dichiarazioni […] richieste per verificare l'assenza di motivi di esclusione» [lett. h)]) non può essere superiore a «tre anni dalla data del fatto in questione». Ciò trova conferma, peraltro, nella giurisprudenza della Corte di giustizia U.E., a mente della quale, «ai sensi dell'articolo 57, paragrafo 7, della direttiva 2014/24, gli Stati membri determinano il periodo massimo di esclusione […] detto periodo non può, se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, nei casi di esclusione di cui all'articolo 57, paragrafo 4, di tale direttiva, superare i tre anni dalla data del fatto in questione» (cfr. Corte Giust. Sez. IV, 24 ottobre 2018, C-124/17).Con la decisione in commento, dunque, il Consiglio di Stato, nel bilanciare gli interessi privati e pubblici venuti in rilievo, ha ragionevolmente attributo prevalenza ai primi, in quanto, pur essendo dominante l'indirizzo giurisprudenziale volto ad attribuire all'art. 80, comma 5, lett. c), il rigoroso significato di norma di chiusura, idonea a imporre agli operatori economici un obbligo dichiarativo esteso a tutte le informazioni inerenti alle proprie vicende professionali (vds. Cons. Stato, V, 11 giugno 2018, n. 3592; id., 25 luglio 2018, n. 4532; id., 19 novembre 2018, n. 6530), non può non rilevarsi come, in assenza di un preciso limite di operatività, si finirebbe per configurare un obbligo dichiarativo generalizzato ed eccessivamente oneroso a carico degli operatori economici stessi, poiché tale da imporre «loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa» (vds. Cons. Stato, Sez. V, 22 luglio 2019, n. 5171; cfr. id., 3 settembre 2018, n. 5142).

Si tratta di una pronuncia che, dettando una linea decisamente favorevole per i privati – i quali nel caso contrario sarebbero costretti a fornire una complessa quanto ingiustificabile probatio diabolica in ordine a vicende professionali remote – consente di nutrire ampie speranze circa potenziali investimenti nel mercato interno da parte di imprese straniere, molto spesso scoraggiate dai rigidi e formalistici vincoli posti dall'ordinamento domestico.

*a cura dell'avv. Daniele Archilletti, Lipani Catricalà & Partners

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