Penale

Picchiare il figlio che va male a scuola fa scattare il maltrattamento in famiglia

Per la Cassazione, è configurato il più grave reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso di mezzi di correzione

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di Marina Crisafi

Reato più grave picchiare il figlio che va male a scuola. Non si tratta, infatti, di abuso di mezzi di correzione ma di maltrattamenti in famiglia. Lo ha chiarito la sesta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 17558/2023.

La vicenda
Nella vicenda, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Ravenna adiva il Palazzaccio avverso la sentenza che aveva riqualificato nel reato di cui all'articolo 571 c.p. l'originaria imputazione ex articolo 572 c.p. di un padre per le condotte violente poste in essere nei confronti del figlio minore e consistenti, tra l'altro, in calci sul sedere e colpi di cinta alla schiena per via dello scarso rendimento scolastico dello stesso.
Per il procuratore, era erroneo inquadrare come abuso di mezzi di correzione i comportamenti dell'uomo, escludendo l'abitualità delle condotte sulla base del solo dato relativo al numero dei comportamenti ed omettendo di considerare la sistematicità delle sopraffazioni fisiche e morali descritte dal figlio.

La decisione
Per gli Ermellini, il ricorso è fondato.
Il tribunale infatti, pur riconoscendo l'attendibilità delle dichiarazioni rese dal figlio, ha ritenuto di riqualificare le condotte nel reato di abuso di mezzi di correzione o di disciplina, considerando il carattere episodico delle condotte violente commesse nel periodo oggetto di contestazione e la loro correlazione al rendimento scolastico del minore.
Il collegio ritiene che la sentenza sia errata.
L'abuso (articolo 571 c.p.), infatti, precisano i giudici, "presuppone l'eccesso nell'uso di mezzi di correzione o di disciplina in sé giuridicamente leciti. Tali non possono, tuttavia, considerarsi gli atti che, pur ispirati da un ‘animus corrigendi' sono connotati dall'impiego di violenza fisica o psichica".
Invero, come già condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza, alla luce della linea evolutiva tracciata dalla Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, "le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l'esercizio lecito del potere correttivo ed educativo, che mai deve deprimere l'armonico sviluppo della personalità del minore (cfr. Cass. n. 13145/2022)".
Pertanto, ribadiscono dalla S.C., "l'uso di qualunque forma di violenza fisica o psicologica a scopi educativi esula dal perimetro applicativo dell'art. 571 c.p.; ciò sia per il primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di connivenza utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice".
Da qui l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte d'Appello.

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