Immobili

Vendita "a corpo", quando scatta il diritto alla riduzione del prezzo

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 29363 depositata oggi, chiarisce anche i criteri per la determinazione del nuovo prezzo

di Francesco Machina Grifeo

In un contratto di compravendita "a corpo", contenente però anche la misura del bene compravenduto, in presenza di una divergenza quantitativa maggiore di un ventesimo si applica il rimedio previsto dall'articolo 1538, primo comma, c.c.. e dunque scatta il diritto per l'acquirente di proporre una domanda di riduzione del corrispettivo. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 29363, prendendo posizione rispetto ad una diatriba giurisprudenziale e chiarendo che nella determinazione del nuovo prezzo si dovrà applicare un criterio proporzionale "corretto", che non corrisponde dunque alla misura esatta del bene.

Secondo la Corte di appello di Bologna, invece, l'indicazione dell'estensione del bene, nonostante fosse presente sia nel preliminare che nel definitivo, aveva valore "meramente indicativo, trattandosi comunque di vendita a corpo e non a misura". Mentre il rimedio previsto dall'articolo 1538 c.c. si applicherebbe soltanto all'ipotesi in cui una delle parti venga a conoscenza, in epoca successiva alla vendita, della minor consistenza del bene venduto. Nel caso affrontato invece le parti, dopo aver indicato le misure del cespite, avevano comunque stipulato il definitivo, così "rinunciando a sollevare eccezioni sulla non congruità del prezzo ed a richiedere la sua eventuale riduzione".

Una tesi bocciata dalla Suprema corte. I giudici ricordano che la descrizione contenuta nelle due pattuizioni, preliminare e definitiva, fa espresso riferimento sia alla superficie commerciale (400 mq.) sia a quella utile (372 mq.), per cui "non è possibile ricavare, dalla sola circostanza dell'avvenuta stipulazione del contratto definitivo, una intenzione diversa da quella espressa nel preliminare, espressamente confermata anche in sede di rogito di compravendita".

Alla fattispecie, dunque, si applica il rimedio previsto dall'articolo 1538 c.c., secondo cui: "Nei casi in cui il prezzo è determinato in relazione al corpo dell'immobile e non alla sua misura, sebbene questa sia stata indicate, non si fa luogo a diminuzione o a supplemento di prezzo, salvo che la misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto".

La Suprema corte ricorda però che questo articolo è soggetto a diverse interpretazioni. La prima delle quali presuppone che esso si applichi sempre, a meno che le parti ne abbiano escluso espressamente la vigenza. La seconda ipotesi, invece, demanda al giudice di merito l'interpretazione dell'effettiva volontà delle parti, ed ammette la possibilità di escludere la vigenza della clausola legale in esame anche in assenza di espressa pattuizione in tal senso. La terza, infine, fa derivare l'applicabilità del rimedio di cui si discute dalla semplice verifica dell'esistenza di una divergenza quantitativa superiore ad un ventesimo di quanto era stato pattuito tra le parti.

Per il Collegio è opportuno dare continuità alla prima tesi in quanto "da un lato assicura la precisa perimetrazione del rimedio in esame, limitato ai soli casi in cui la vendita sia conclusa 'a corpo' con espressa indicazione della misura del bene compravenduto". Dall'altro, "valorizza la volontà delle parti, desumibile – appunto – dall'indicazione della misura del bene, ma lascia alle stesse la facoltà di escludere l'efficacia della norma in esame, mediante inserzione di esplicita clausola nel loro regolamento negoziale".

La Prima sezione dunque afferma il seguente principio di diritto: "Qualora le parti concludano un contratto di compravendita 'a corpo' indicando, nell'ambito di esso, la misura del bene compravenduto, si applica il rimedio di cui all'art. 1538, primo comma, c.c., in presenza di una divergenza quantitativa della misura del bene maggiore di un ventesimo di quella indicata nel contratto. Resta salva la facoltà delle parti di escludere l'efficacia della norma dianzi richiamata, mediante specifica clausola negoziale, pur in presenza dei requisiti previsti per la sua applicabilità". Ne deriva che la Corte di Appello di Bologna ha errato nell'affermare che la stipulazione del contratto definitivo implicherebbe di per sé rinuncia ad avvalersi del rimedio specifico di cui all'articolo 1538, primo comma, c.c.

Ma qual è la regola da seguire nella determinazione del nuovo prezzo? Essa, prosegue la decisione, non deve seguire il criterio del valore di mercato (che si sovrapporrebbe all'equilibrio contrattuale raggiunto dai contraenti), né il criterio proporzionale "secco" (che cancellerebbe la volontà delle parti di vendere "a corpo", anziché "a misura"), dovendosi applicare, invece, un criterio proporzionale "corretto", che prescinda dall'esatta misurazione del bene, entro l'ambito per il quale è esclusa la revisione ex articolo 1538 c.c.".

In sede di rinvio, il giudice di merito dovrà dunque: 1) verificare l'esistenza di una compravendita "a corpo" con specifica indicazione, nel contratto, della misura del bene compravenduto; 2) verificare il superamento del limite quantitativo previsto dall'articolo 1538, primo comma, c.c. (un ventesimo della misura pattuita dai paciscenti); 3) riscontrare la presenza, o l'assenza, di clausola negoziale atta ad escludere il rimedio specifico di cui alla norma appena richiamata; 4) infine,operare la riduzione del corrispettivo previsto dalle parti, in funzione riequilibratoria del sinallagma contrattuale, senza modificare la natura del regolamento negoziale, e dunque senza trasformare, di fatto, la vendita "a corpo" in vendita "a misura".

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