Penale

Prevenzione, misure senza dubbi di genericità

di Giovanni Negri

Il sistema italiano di prevenzione regge. Anche all’impatto delle osservazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per questo va respinta la richiesta di rinvio alla Consulta avanzata dopo la recente sentenza De Tomaso. Sono queste le conclusioni cui approda la Corte di cassazione con una densa, quanto a motivazioni, pronuncia della Prima sezione penale, la n. 349, depositata ieri.

A corroborare la richiesta di incidente di legittimità costituzionale, il ricorso avanzato dalla difesa di una persona i cui beni erano stati sottoposti a confisca di prevenzione aveva valorizzato la sentenza del febbraio 2017 della Corte dei diritti dell’uomo nella quale si metteva in evidenza un deficit di chiarezza e precisione della disciplina italiana, con un eccesso di discrezionalità del giudice nella definizione della categoria della pericolosità generica. In altre parole,all’autorità giudiziaria verrebbe affidato un meccanismo basato su sospetti nel cui contesto la valutazione di pericolosità sociale finirebbe per essere l’esito di un giudizio avulso da fatti.

Tuttavia, la Cassazione mette nero su bianco di non condividere le conclusioni negative della Corte europea sulle fattispecie di «dedizione abituale a traffici delittuosi» e di «vivere abitualmente, anche in parte, con il provento di attività delittuose». Si tratta, invece, di casi che presentano comunque elementi di determinazione. Infatti, osserva la sentenza, parlare di traffici criminali o dei guadagni di attività illegali significa che,«pur senza indicare le fattispecie incriminatrici specifiche (...), il legislatore ha inteso prendere in esame la condizione di un soggetto che, seppure con valutazione incidentale operata dal giudice della prevenzione, ha in precedenza commesso dei “delitti” consistenti in attività di intermediazione in vendita di beni vietati (traffici delittuosi) o genericamente produttivi di reddito (provento di attività delittuose)».

Nella lettura della Cassazione cioè è l’autorità giudiziaria deputata all’applicazione della misura di prevenzione a dovere attribuire al soggetto interessato una pluralità di condotte passate (perchè è necessario il requisito dell’abitualità) che siano comunque aderenti a una previsione normativa penalmente rilevante. È necessario argomentare allora sulla realizzazione di attività criminali non episodiche ma relative almeno a un significativo periodo di vita della persona interessata, su attività in grado di produrre proventi o caratterizzate da un particolare modo di operare (il traffico criminale), sulla destinazione almeno parziale dei guadagni a soddisfare i bisogni di sostentamento della persona interessata e della sua famiglia.

E per la Corte, questo approccio non rende più esile il confine tra misure di prevenzione e misure di sicurezza adottate dopo il reato: infatti la misura di prevenzione rimane comunque ancorata non tanto a un pregresso giudizio di colpevolezza, quanto piuttosto a un valutazione complessiva della condotta in un arco di tempo determinato, in particolare per la confisca disgiunta.

Corte di cassazione - Sentenza 349/2018

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