Penale

Frode in commercio, punito il falso cartellino

di Andrea Alberto Moramarco

L'offerta in vendita di pesce fresco come pescato in mare in una certa zona, ma in realtà proveniente da allevamento, costituisce condotta idonea ad integrare gli estremi del tentativo di frode in commercio, indipendentemente dalla contrattazione effettuata o meno con il cliente per l'acquisto della merce. Difatti, l'esposizione del cartellino identificativo del pesce, riportante provenienza e prezzo, equivale ad un'offerta al pubblico, rendendo così superfluo l'eventuale contrattazione. Ad affermarlo è il Tribunale di Lecce con la sentenza 1187/2017.

Il caso - La vicenda prende le mosse da un controllo igienico-sanitario effettuato dai Nas dei Carabinieri presso il reparto pescheria di un supermercato in provincia di Lecce, diretto ad «ispezionare la merce esposta in vendita e verificare la veridicità e la corrispondenza delle informazioni riportate sui cartelli di vendita in riferimento allo stato fisico, all'origine, alla provenienza e alla qualità della merce». I due ufficiali che eseguivano il controllo notavano che le indicazioni presenti sui cartelli identificativi delle specie ittiche “orate” e “spigole” esposte in vendita riportavano che il prodotto era fresco e pescato nella zona FAO 37 (Mediterraneo occidentale). Tuttavia, a seguito di più approfonditi controlli emergeva che, in realtà, il pesce proveniva da allevamenti greci. Di conseguenza, il legale rappresentante della società che gestiva la pescheria del supermercato, assente al momento dei controlli, veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di frode in commercio tentata.

La decisione - Il Tribunale, data per certa la difformità tra i prodotti offerti e le caratteristiche dichiarate, condanna il titolare della pescheria e spiega quando si configura il reato previsto dall'articolo 515 del codice penale. Ebbene, per la configurabilità della forma tentata di tale delitto «non è necessaria la sussistenza di una contrattazione finalizzata alla vendita, essendo sufficiente l'accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite». In altri termini, spiega il giudice, non rileva che non ci sia stata contrattazione con la clientela, «in quanto l'esposizione del cartellino identificativo, riportante provenienza e prezzo, equivale ad un offerta al pubblico, rendendo superfluo l'assenza di contrattazione». La semplice offerta, dunque, è sufficiente ad integrare gli estremi del tentativo di frode in commercio.
Inoltre, quanto all'individuazione del titolare della pescheria quale responsabile dell'azione criminosa, per il Tribunale non rileva in alcun modo la circostanza che a sistemare la merce sugli scaffali e ad apporre i cartellini fosse stato un dipendente dell'esercizio commerciale. Infatti, sul titolare di un esercizio commerciale grava l'obbligo di impartire ai propri dipendenti precise disposizioni di leale e scrupoloso comportamento commerciale, nonché di vigilare sull'osservanza di tali disposizioni: in difetto, scatta la responsabilità penale «sia allorquando alla condotta omissiva si accompagni la consapevolezza che da essa possano scaturire gli eventi tipici del reato, sia quando si sia agito accettando il rischio che tali eventi si verifichino».

Tribunale di Lecce - Sezione II penale - Sentenza 15 maggio 2017 n. 1187

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