Civile

Sempre incandidabile chi approfitta del ruolo

Per la legge Severino, è incandidabile alla carica di sindaco il mandatario della Siae che patteggia per truffa, falso ideologico e uso indebito di strumenti di pagamento una pena complessiva superiore ai sei mesi

di Patrizia Maciocchi

Per la legge Severino, è incandidabile alla carica di sindaco il mandatario della Siae che patteggia per truffa, falso ideologico e uso indebito di strumenti di pagamento una pena complessiva superiore ai sei mesi. Perché scatti l’incandidabilità (articolo 10 lettera d) del Dlgs 235/2012) basta che i reati contestati siano stati commessi materialmente approfittando del ruolo rivestito. Nello specifico la qualità di mandatario Siae, che aveva consentito di entrare in possesso delle somme destinate all’Ente. La Cassazione, con la sentenza 38054 del 29 dicembre scorso, si esprime malgrado la carenza di interesse dovuta alle dimissioni dalla carica di primo cittadino del ricorrente, avvenute già in appello. La Corte territoriale, che aveva esaminato la controversia ai fini della soccombenza virtuale, aveva respinto la tesi della difesa, secondo la quale, la pena stabilita, in seguito al patteggiamento, aveva superato i sei mesi, perché era stata affermata erroneamente, una continuazione tra i reati, commessi come mandatario per conto della Siae, con un abuso di potere, che non c’era stato.

Per la Suprema corte la decisione è corretta. La norma esaminata- che collega l’incandidabilità alle cariche elettive degli enti territoriali e locali, alla condanna alla reclusione superiore ai sei mesi «per uno o più delitti», commessi con abuso di poteri - non si presta ad un frazionamento della pena tra il reato principale e i reati cosiddetti satellite. Né è rilevante l’eterogeneità delle fattispecie criminose e il fatto che solo alcune «avevano come elemento costitutivo la commissione ad opera di pubblici ufficiali o pubblici impiegati o incaricati di un pubblico servizio». Conta il nesso strumentale tra i reati di falso e quello di truffa aggravata in danno dell’ente pubblico. L’abuso dei poteri o la violazione dei doveri c’è dunque «se la commissione del fatto è stata soltanto agevolata dalle qualità soggettive dell’agente». Irrilevante anche il mancato accertamento della prevalenza delle aggravanti.

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