Penale

Non punibile chi si oppone ad atti del pubblico ufficiale che per dati oggettivi ritiene arbitrari

Con la sentenza 45245/2021 la Corte di Cassazione ha evidenziato che il bilanciamento tra i diritti individuali e il dovere dello Stato di perseguire i delitti si pone sul delicato e labile confine tra il lecito e l'illecito agire della pubblica autorità

di Pietro Alessio Palumbo


Il nostro codice penale prevede espressamente che non è punibile chi abbia opposto resistenza a un pubblico ufficiale se quest'ultimo abbia ecceduto arbitrariamente dai limiti delle sue attribuzioni. Con la sentenza 45245/2021 la Corte di Cassazione ha evidenziato che il bilanciamento tra i diritti individuali e il dovere dello Stato di perseguire i delitti si pone sul delicato e labile confine tra il lecito e l'illecito agire della pubblica autorità.
A ben vedere già il codice penale del 1889 prevedeva una causa di giustificazione analoga a quella oggi vigente; poi abolita dal codice penale del 1930 che la riteneva una implicazione ordinaria della legittima difesa; e reintrodotta nel 1944 anche con finalità simboliche di "liberazione" da un regime autoritario.
La fattispecie, soppressa di nuovo dall'ordinamento nel 2008, è stata infine reinserita nel vigente codice penale dal legislatore nel 2009 per mezzo dell'introduzione di una vera e propria scriminante posta a garanzia del diritto costituzionalmente tutelato di "reagire" all'atto abusivo, arbitrario, persecutorio, dell'agente pubblico.
L'esimente in parola, tuttavia, non è configurabile a fronte di una condotta meramente illegittima del pubblico ufficiale; presuppone il compimento da parte di quest'ultimo di un'attività ingiustamente "prepotente"; illegittimamente eccedente i limiti delle sue attribuzioni funzionali; e per ciò stesso fuoriuscente del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell'azione di controllo e prevenzione demandatagli dall'ordinamento. In altre parole è necessario che l'azione dell'agente qualificato, a causa dello "sviamento" dell'esercizio dell'autorità dagli scopi per cui essa è conferita oppure in ragione delle forme e delle modalità di realizzazione, si risolva in un "eccesso prevaricatorio", che rompa gli argini ordinamentali delle funzioni conferite all'agente pubblico; integrando un carattere abuso che come tale rende scusabile il comportamento proporzionalmente oppositivo da parte del privato.

Ai fini della configurabilità della causa di non punibilità, l'atto del pubblico ufficiale può ritenersi arbitrario quando sia del tutto ingiustificato o, peggio, vessatorio, ossia incongruo in relazione alla situazione di fatto nell'ambito della quale il funzionario sia chiamato a porlo in essere; ovvero quando, pur essendo sostanzialmente legittimo, l'atto sia tuttavia connotato da un macroscopico difetto di conformità tra le modalità impiegate e le finalità per le quali è attribuita la funzione stessa; risultando violati i doveri di correttezza e "civiltà" che sempre devono caratterizzare l'agire dei pubblici ufficiali. Peraltro arbitrarietà e sviamento dalle attribuzioni esprimono il medesimo fenomeno, sotto il profilo della illegittimità dell'atto in sé considerato e delle modalità con cui il pubblico ufficiale ha dato esecuzione all'atto.

Secondo la Suprema corte è inoltre possibile aderire all'opzione interpretativa favorevole all'applicabilità della regola "putativa" anche per la scriminante in parola. Il codice penale prevede che se il privato ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a suo favore. La dottrina maggioritaria qualifica la reazione legittima come una scriminante in senso tecnico, alla quale devono ritenersi collegati tutti gli effetti propri delle scriminanti per come stabiliti dall'ordinamento penale. Pertanto rileva anche l'erronea supposizione circa l'esistenza della scriminante, fondando detta esimente le sue radici nell'alveo del riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo del privato, costituzionalmente tutelato, alla resistenza individuale di fronte a un "sopruso".

In questa prospettiva interpretativa la causa di giustificazione in esame è espressiva della "libertà di opposizione" riconosciuta dall'ordinamento e originata dalla necessità di ripristinare, a seguito dell'atto arbitrario del pubblico agente, il corretto rapporto tra Stato e individuo. Dal che la causa di giustificazione in parola - fondata sul diritto costituzionalmente garantito del privato di reagire all'atto ingiusto del pubblico ufficiale - è configurabile anche quando il soggetto versi nel ragionevole, sensato, ancorché erroneo convincimento di trovarsi di fronte a un atto persecutorio e molesto. In ogni caso l'imputato che invochi l'applicazione della fattispecie in forma putativa ha un onere di allegazione molto marcato, non potendo basarsi la scriminante in esame su un mero criterio soggettivo; necessitano dati di fatto concreti, tangibili, palpabili, tali da giustificare l'inesatto ma plausibile convincimento del privato di trovarsi di fronte a una prevaricazione del pubblico ufficiale. L'accertamento relativo alla scriminante in forma putativa deve quindi essere condotto con un giudizio calato all'interno delle specifiche e peculiari circostanze effettive della vicenda.

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