La dequalificazione non integra il mobbing
Perché la condotta venga inquadrata nel mobbing è necessario un comportamento datoriale vessatorio preordinato alla prevaricazione
La dequalificazione lavorativa se non accompagnata da ulteriori intenti vessatori non integra la condotta di mobbing. Lo chiarisce la Cassazione con ordinanza n. 17974/22.
A tal proposito la Corte d'appello di Bari, in riforma, della decisione del Tribunale di Bari ha rigettato la domanda proposta da un lavoratore avente a oggetto la condanna dell'Università al risarcimento del danno "da dequalificazione professionale, demansionamento e forzata inoperosità, perdita di chance, esistenziale e da mobbing".
La Cassazione ha respinto il ricorso in quanto i pregiudizi lamentati dal ricorrente erano solamente il frutto di screzi e conflitti interpersonali nell'ambiente di lavoro, in particolare con la persona che ne aveva promosso l'attività con il coinvolgimento in compiti eccedenti la qualifica rivestita ma non caratterizzati, per la loro stessa natura, da volontà persecutoria, e come tali, idonei a escludere il mobbing.
Pertanto – si legge nella decisione - l'accertata esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, non rappresenta una condizione sufficiente a integrare il mobbing, essendo necessario a tal fine che il lavoratore alleghi e provi con ulteriori e concreti elementi che i comportamenti datoriali costituiscano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione.
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di Vincenzo Candido Renna e Pierandrea Fulgenzi *