Amministrativo

Rateizzazione somme dopo la cessazione del lavoro, per il Tar è illegittima

Il Tar Lazio con l'ordinanza n. 6223 del 2022 solleva questione di costituzionalità delle norme che condizionano il pagamento di questi importi a una dilazione temporale e a una "capillare" rateizzazione

di Simona Gatti

La rateizzazione delle somme dovute al dipendente dopo la cessazione del lavoro potrebbe essere illegittima. Il Tar Lazio con l'ordinanza n. 6223 del 2022 solleva questione di costituzionalità delle norme che, modificate dalla legge di stabilità 2014, condizionano il pagamento di questi importi a una dilazione temporale e a una "capillare" rateizzazione.

La violazione riguarderebbe i canoni di sufficienza e adeguatezza della retribuzione e anche la tempestività della corresponsione. Secondo i giudici della sezione terza-quater "E' rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'articolo 36 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, convertito in legge n. 140 del 1997, e dell'art. 12, comma 7, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010 (quali da ultimo modificati dall'art. 1, comma 484, della legge n. 147 del 2013), che stabiliscono una dilazione del termine di pagamento delle somme spettanti al pubblico dipendente per effetto della cessazione del rapporto di servizio e una loro capillare rateizzazione, trattandosi di una previsione non più contingente che ha assunto, ormai, carattere strutturale e che comprime, in maniera irragionevole e sproporzionata, i diritti dei lavoratori pubblici".

La Consulta quindi è chiamata in causa e dovrà esprimersi in particolare sulla vicenda di un dirigente della Polizia di Stato, cessato dal servizio per sopraggiunti limiti d'età, che ha domandato l'accertamento del proprio diritto a percepire il trattamento di fine servizio senza rate, con conseguenti condanne del ministero dell'Interno e dell'Inps. Egli aveva infatti ricevuto solo il pagamento della prima rata e ciò proprio in applicazione delle norme che il Tar censura.
Nel dettaglio, l'articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, convertito dalla legge n. 140 del 1997, stabilisce che, in caso di collocamento a riposo del pubblico dipendente, l'ente erogatore provvede alla liquidazione dei trattamenti dovuti "decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro" e provvede, altresì, alla corresponsione delle somme "entro i successivi tre mesi, decorsi i quali sono dovuti gli interessi". L'articolo 12, comma 7, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, stabilisce però le soglie della rateizzazione, calibrate sull'ammontare complessivo dovuto.
In questo caso l'Inps ha notificato al ricorrente un "prospetto di liquidazione" dal quale si evince che il pagamento avverrà in tre rate: la prima corrisponde all'importo che gli è stato pagato a luglio 2021, mentre per le altre non vi è alcuna indicazione.

Il Tar nel rimettere la questione ai giudici delle leggi insiste in particolare sui principi dell'articolo 36 della Costituzione che riconosce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare e a sé e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa e in tale contesto il Collegio pone l'accento sulla tempestività dell'erogazione.
La retribuzione, si legge nell'ordinanza, "non deve mai perdere il suo collegamento con la prestazione lavorativa svolta e, dall'altro, deve essere adeguata e sufficiente ai sensi dell'art. 36 Cost."; ciò, "avendo a riguardo non solo alla entità della retribuzione, ma anche alla tempestività della sua corresponsione"; ed è dunque evidente che "una retribuzione corrisposta con ampio ritardo ha per il lavoratore una utilità inferiore a quella corrisposta tempestivamente e proprio il carattere di retribuzione differita riconosciuta alle indennità di fine rapporto, comporta la necessità che anche queste ultime debbano essere corrisposte tempestivamente e non possano essere diluite strutturalmente oltre la fuoriuscita dal mondo del lavoro"

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