Famiglia

Divorzio, le spese voluttuarie possono far perdere il diritto all'assegno

All'assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa

di Giancarlo Cerrelli*

Un'intensa e costante attività di body building, accompagnata dall'inclinazione a effettuare spese voluttuarie, può costare caro fino al punto da far perdere il diritto all'assegno divorzile all'ex coniuge che ne beneficiava.

Può apparire una boutade, ma non lo è; infatti, questo è stato uno dei motivi, della decisione di revoca dell'assegno divorzile, sostenuti dalla Corte d'Appello di Roma Sez. minori, Sent., 17/03/2020, n. 1798, decisione poi confermata anche dalla Cassazione con ordinanza del 18/01/2023, n. 1482.

Il caso

Una signora già separata consensualmente ha interposto appello alla sentenza di divorzio emessa dal Tribunale di Velletri che, che dopo aver pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva posto a carico dell'ex marito l'obbligo di versare alla ex moglie, l'assegno divorzile di € 100 mensili e l'ulteriore somma di € 450 mensili per il contributo al mantenimento del figlio ormai maggiorenne, ma non ancora autonomo, così decurtando i maggiori importi fissati in sede di separazione consensuale.
L'ex marito, dal canto suo, propose appello incidentale chiedendo che fosse revocato l'assegno divorzile e quello per il contributo al mantenimento del figlio.

La Corte di Appello di Roma rigettando l'appello principale ha accolto, però, quello incidentale, revocando l'obbligo dell'ex marito dal versamento dell'assegno divorzile e di quello per il contributo al mantenimento del figlio.

A sostegno della propria decisione la Corte d'Appello ha osservato:
a) che il figlio, diplomatosi all'istituto tecnico industriale, aveva abbandonato l'occupazione offertogli dal padre nella propria officina per andare a lavorare, sia pur saltuariamente, con il compagno della madre nel campo dell'edilizia;
b) che la ex moglie disponeva di redditi provati dalle risultanze dei conti correnti e dalle spese sostenute, anche voluttuarie, nonché dalla capacità lavorativa dimostrata dal fatto che ella aveva letteralmente trasformato il proprio fisico dedicandosi ad una intensa e costante attività di body building.

Avverso tale sentenza della Corte di Appello la signora ha proposto ricorso per Cassazione denunciando la violazione della l. 898 del 70, art. 5 comma 6, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che il giudizio di una sua indipendenza economica sia frutto di una errata lettura delle risultanze del conto corrente e che il Tribunale non aveva tenuto conto del contributo dato dalla stessa alla vita familiare, alla ristrutturazione della casa coniugale, al pagamento del mutuo, delle spese sostenute per il contratto di locazione, delle condizioni di salute in cui l a stessa versava e della situazione reddituale dell'ex marito.
Tale motivo dalla Suprema Corte è stato ritenuto inammissibile.

Motivi della decisione

La Cassazione, nell'ordinanza in commento, ha ribadito la ormai consolidata interpretazione afferente alla norma sull'assegno di divorzio, sancita dalla sentenza a Sezioni Unite della Cassazione n. 18287/2018 , che riconosce una natura composita all'assegno e precisa i criteri e le modalità in forza dei quali il giudice deve accertare il diritto all'assegno e decidere il suo ammontare.

Secondo l'indirizzo delle Sezioni Unite il riconoscimento dell'assegno di divorzio richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi, o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma articolo 5 c. 6, L. 898/1970. Essi costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per l'attribuzione e la determinazione dell'assegno; in particolare alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, della considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi e in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto.

In altre parole, all'assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa.

La Cassazione precisa che "la natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi" (cfr. S.U 18287/2018,18287/2019 e 5603/2020).

Ciò che praticamente occorre verificare - per soddisfare il parametro composito assistenziale e perequativo compensativo, sancito dalla Suprema Corte - è in primo luogo, se il divorzio abbia prodotto, alla luce dell'esame comparativo delle condizioni economico patrimoniali delle parti, uno squilibrio effettivo e di non modesta entità. Solo ove tale disparità sia accertata, è necessario verificare se sia casualmente riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti la coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi.

La Cassazione, pertanto alla luce di tali motivazioni ha affermato non solo che la donna, al momento della dissoluzione del matrimonio, aveva la capacità di dedicarsi all'attività lavorativa, ma che la stessa, come si evince dalle risultanze del suo conto corrente e dalle spese sostenute anche voluttuarie, disponesse di redditi idonei a renderla economicamente autonoma ed in grado di sostenere i costi dell'abitazione presa in locazione.

Le spese voluttuarie

L'ordinanza in commento ha una certa rilevanza, in quanto, posto che l'assegno divorzile, come detto, ha eminentemente una funzione assistenziale, l'eventuale accertamento in giudizio che il richiedente sia solito sostenere spese voluttuarie, potrebbe inficiarne il riconoscimento, come nel caso in esame. Le spese voluttuarie le potremmo definire come quegli esborsi di denaro finalizzati a soddisfare esigenze secondarie, che vanno ben oltre i bisogni primari. Se, infatti, il soddisfacimento dei bisogni primari rientra tra le spese necessarie al sostentamento, si pensi al cibo o all'abitazione, altre spese come lo shopping compulsivo, ma anche la retta mensile costante per l'abbonamento in palestra, sono indizi di una certa capacità reddituale.

Nel caso di specie la richiesta da parte della donna del riconoscimento dell'assegno divorzile è stata rigettata, perché è stato accertato che "le sue entrate erano pari ad una media annua di circa Euro 21.500 complessivi, ben superiore ai corrispondenti importi degli assegni versatile dal coniuge, ma anche perché al tempo della separazione" – come ha sostenuto, a suo tempo, la Corte d'Appello di Roma - "ella aveva la ancora giovane età di soli trentasette anni e avendo letteralmente trasformato il proprio fisico dedicandosi ad intensa e costante attività di body building è fuor di dubbio che ella aveva ed ha la capacità di dedicarsi ad attività lavorativa".

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*A cura del Prof. Avv. Giancarlo Cerrelli

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